Coronavirus, perché in Italia si muore più che in altri Paesi di tutto il mondo

Non c’è un ceppo più letale del virus. L'imperdonabile ritardo della vaccinazione degli over 80. Conta anche il peso degli anziani nella popolazione e nella società

TASSO LETALITÀ CORONAVIRUS

Stando ai dati, e alla loro progressione, in Italia il tasso di letalità per covid-19, la malattia causata dal coronavirus, è del  3,03 per cento. Una percentuale molto alta soprattutto se confrontata al 2,9% del Regno Unito (127.284 deceduti su 4.380.167 di contagiati, all’11 aprile), al 2,6% tedesco (78.295 moti su 2.990.724 contagiati), al 2,2% spagnolo (76.328 deceduti su 3.347.512 7 contagiati) e al 1,9% francese (98.202 morti su 5.000.314 malati). Le ragioni di una differenza così marcata sono molteplici e nessuna, presa singolarmente, è in grado di spiegarne le ragioni. Per prima cosa va detto che in Italia non si è diffuso un ceppo più letale, quindi a parità di pericolosità vanno analizzati altri fattori. Tra questi ci possono essere: il ritardo nel vaccinare le categorie più a rischio, l’età media della popolazione italiana, l’organizzazione del nostro sistema sanitario, il ruolo centrale giocato dagli anziani nella nostra società e una tendenza più accentuata al contatto fisico.

ALTA LETALITÀ ANZIANI CORONAVIRUS

Nella prima fase della pandemia, quindi da marzo a maggio del 2020, può aver inciso anche un diverso criterio nel conteggio dei positivi. Nel momento della piena emergenza, infatti, l’Italia ha deciso di sottoporre a tampone solo coloro che manifestavano sintomi gravi, ragione per la quale il conteggio dei positivi è  stato inevitabilmente molto più basso dei reali casi. Il covid-19, infatti, come abbiamo imparato, può manifestarsi senza sintomi o in forma molto più leggera senza costringere chi lo contrae a ricorrere a specifiche cure mediche in ospedale e quindi a fare un tampone. Questa sottostima ha comportato un’impennata della percentuale dei morti in relazione al numero totale dei contagiati. Tesi non astratta e da bar dello sport: uno studio pubblicato sulla rivista Science e condotto lo scorso anno, quando ancora i tamponi erano un bene molto scarso, ha stimato almeno 5-10 positivi non trovati per ogni positivo censito. E anche un modello matematico sviluppato dall’Istat ha confermato un rapporto molto vicino a 1 a 10 tra contagiati accertati e contagiati reali in Italia . Uno sfasamento che nel corso dei mesi abbiamo corretto, aumentando in modo esponenziale il numero dei tamponi, ma che in parte droga ancora oggi la proporzione tra morti e contagiati. In questo caso quindi, una delle risposte alla domanda “perché in Italia si muore di più per Covid?” potrebbe essere: perché ci sono stati più contagi.

A tal proposito è utile ricordare che esiste una differenza sostanziale tra tasso di letalità e quello di mortalità. Il primo si ottiene con il rapporto tra contagiati e morti a causa della malattia mentre quello di mortalità si ottiene dividendo il numero dei decessi per covid con quello di tutti coloro che potenzialmente possono entrarci in contatto, ossia tutta la popolazione.

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COVID PERCHÈ IN ITALIA SI MUORE DI PIÙ

In Italia, come in tutti gli altri Paesi, le statistiche dicono che la gran parte dei deceduti ha oltre 70 anni e la quasi totalità ha un quadro clinico compromesso. L’ultimo report dell’Istituto superiore di sanità (30 marzo) fissa a 81 anni l’età media dei pazienti deceduti tra coloro che sono risultati positivi al Covid con il tampone. Oltre il 61% dei decessi totali è di persone «over 80», il 24% riguarda i 70-79enni. Questi dati spiegano in maniera evidente quali siano i soggetti più a rischio e che quindi avrebbero dovuto avere una priorità assoluta nelle vaccinazioni. Le cronache di questi mesi, però, nonostante un cambio di governo e l’avvicendamento del generale Figliuolo a capo della struttura commissariale al posto di Domenico Arcuri, ci raccontano della grande difficoltà da parte di diverse regioni nel vaccinare gli anziani. In molti casi il colpevole è l’inefficienza e la scarsità dei vaccini ma in molti altri ha inciso una gestione criminale delle dosi che sono andate a vantaggio di categorie non a rischio o, ancor più grave, di schiere di furbetti.

Questa mancanza è quindi tra i principali indiziati di colpevolezza. Nei Paesi, come Israele e Gran Bretagna, dove a tutti gli anziani è stata garantita almeno una dose del vaccino le morti sono letteralmente crollate, permettendo anche un graduale ritorno alla normalità.

TROPPI MORTI COVID IN ITALIA

Messo da parte il tema vaccinale, che da solo risolverebbe in gran parte il problema, concentriamoci sui fattori che finora ci hanno condannato a una letalità così alta rispetto agli altri Paesi. Partendo dal presupposto che la fetta di popolazione più a rischio è quella anziana, perché spesso ha altre patologie e perché ha capacità di reazione più ridotte, il numero molto alto di morti registrato in Italia si può spiegare anche con il fatto che la nostra popolazione è tra le più vecchie al mondo. Basti pensare, ad esempio, che nel nostro Paese una persona su quattro ha più di 65 anni, mentre in Cina è una su otto. Elemento che è stato sottolineato nelle prime fasi della pandemia anche da Mike Ryan, capo del Programma di emergenze sanitarie dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che ha dichiarato: «Di solito siamo abituati a pensare che gli italiani siano fra i popoli più longevi, ma sfortunatamente in questa crisi avere una popolazione anziana non aiuta».

COVID E SERVIZIO SANITARIO

Abbiamo capito, parlano i numeri, che l’epicentro di questa tragedia è stata la Lombardia. La regione dove si è verificato, fin dagli inizi del contagio, un fenomeno che potrebbe essere diventato determinante nel portarci a un tasso di letalità così alto. La diffusione del virus attraverso i focolai degli ospedali. L’errore è stato duplice, da parte dei ricoverati e dei medici che li hanno accettati per lo meno nella fase iniziale della crisi. Come poi è stato detto a gran voce, il ricovero con il covid è quasi sempre inutile e controproducente: il virus si può curare da casa (a meno che non ci siano complicazioni tali da giustificare il ricovero) e l’ospedale, trattandosi di un posto  frequentato da molte persone con difese immunitarie basse, è uno dei luoghi privilegiati per il contagio. Un errore che è stato fatto in tutta Italia e che condanna la politica: un definitivo protocollo per le cure domiciliari è stato approvato solo nell’aprile del 2021, un anno dopo lo scoppio della pandemia. Oltre a questo fattore va detto che ha inciso anche un’organizzazione del sistema sanitario, con la diffusione sul territorio dei medici di base, che si è rivelato essere non altezza. Un’incapacità che è sicuramente figlia dei continui tagli alla Sanità avvenuti dalla crisi del 2008 in poi.

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COVID E INQUINAMENTO

Per quanto riguarda le regioni del Nord, in particolare Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, in questi mesi sta prendendo piede anche un’ipotesi che ha a che fare con l’inquinamento atmosferico. L’esito letale del covid-19 passa, infatti, per una polmonite. Patologia che colpisce più facilmente persone con polmoni deboli, come gli abitanti della pianura padana, esposti ai rischi e ai danni di un elevatissimo inquinamento, e i fumatori. Piccolo dettaglio a sostegno di questa spiegazione: i morti sono più uomini che donne. Come i fumatori.

COVID-19 ITALIA

In questi mesi, diversi studi hanno fatto risalire l’unicità dei numeri italiani anche a dei fattori sociali che ci differenzierebbero da altri Paesi. Ad esempio, secondo un team di ricercatori di Oxford, il ruolo centrale che hanno gli anziani nella nostra società favorirebbe il contagio. Rispetto ad altri Paesi, in Italia molti vivono con i genitori fino a tardi e i nonni hanno un ruolo fondamentale di ammortizzatore sociale, badando ad esempio ai nipoti mentre i genitori lavorano. Questo tipo di promiscuità, con gli anziani che vivono a stretto contatto con i giovani (molti dei quali potrebbero essere asintomatici), soprattutto in fase iniziale, avrebbe accelerato la capacità del virus di raggiungere le persone più avanti con l’età. Conclusione alla quale sono giunti anche due ricercatori, Moritz Kuhn e Christian Bayer economisti dell’Università di Bonn. Inoltre, secondo il professor Raffaele Antonelli Incalzi, presidente della Società italiana di gerontologia e primario di Geriatria al Campus biomedico di Roma, “influisce anche la maggiore attenzione, in Italia, alla salute degli anziani”. Per lo specialista, intervistato da Grazia Longo su ‘la Stampa’, “essendo più seguiti e tutelati, a fronte di malattie note e quindi più facilmente combattibili, ora che il nemico è l’ignoto covid, gli anziani diventato molto più esposti e vulnerabili“. Infine, altro aspetto da tenere in grande considerazione sarebbe la tendenza nei Paesi mediterranei ad avere un maggior contatto fisico. Quindi saluti con baci sulle guance e abbracci, prima che fosse deciso di imporre il distanziamento sociale come forma di prevenzione, sarebbero stati un moltiplicatore decisivo. Quel che è certo, però, è che al momento non c’è nulla di certo e che ha poco senso paragonare situazioni e contesti diversi. Per avere delle risposte certe in grado di rispondere a queste domande bisognerà attendere quindi che la tempesta passi.

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