
Michael T. Klare, TomDispatch, Stati Uniti www.internazionale.it
A proposito di energia, c’è
una buona notizia: grazie
all’aumento del prezzo
del greggio e al peggioramento
delle condizioni
economiche mondiali,
l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea)
ha annunciato che nel 2011 la domanda di
petrolio a livello globale non aumenterà
com’era stato previsto. Una notizia che potrebbe
far scendere un po’ i prezzi della
benzina. A maggio l’Iea ha abbassato la sua
stima sul consumo di petrolio nel 2011 di
190mila barili al giorno, portandola a 89,2
milioni. I prezzi al dettaglio non raggiungeranno
i livelli stratosferici previsti all’inizio
di quest’anno, anche se rimarranno più alti
di quanto siano mai stati dopo il picco raggiunto
nel 2008, poco prima della crisi economica
globale.
La cattiva notizia è che nelle ultime settimane
i problemi energetici del mondo si
sono aggravati ancora di più. Nel sottosuolo
le riserve di fonti energetiche “tradizionali”
come il petrolio, il gas naturale e il
carbone si stanno esaurendo. E in supericie,
gli errori di calcolo e di geopolitica degli
esseri umani stanno limitando la produzione
e la disponibilità di alcune fonti di energia.
Le prospettive energetiche sono sempre
più cupe. Non potremmo sopportare
un’eventuale crisi energetica perché l’economia
mondiale è strutturata in modo tale
da non poter rallentare la produzione. Per
soddisfare le esigenze delle potenze industriali
più vecchie, come gli Stati Uniti, e
saziare la fame di quelle emergenti, come
la Cina, la produzione di energia deve aumentare
ogni anno. Secondo le proiezioni
del dipartimento dell’energia statunitense,
per poter soddisfare la domanda mondiale
di energia la produzione dovrebbe aumentare
entro il 2025 del 29 per cento e raggiungere
i 187mila miliardi di chilowattora. E
anche se il consumo di energia rallenterà,
non riuscire a soddisfare la richiesta mondiale
rischia di dare l’impressione di una
penuria che farebbe comunque aumentare
i prezzi.
Ma tre importanti novità stanno cambiando
il modo in cui vivremo nel prossimo
futuro.
Primavera araba
Il primo e il più grave shock petrolifero
dell’anno è stato provocato dalle rivolte in
Egitto e Tunisia, e dalla primavera araba
esplosa in Medio Oriente. Né l’Egitto né la
Tunisia erano grandi produttori di petrolio,
ma le onde d’urto politiche scatenate dalle
rivolte hanno raggiunto altri paesi della regione
produttori di greggio, come la Libia,
l’Oman e l’Arabia Saudita. Per il momento i
leader politici sauditi e omaniani sono riusciti
a calmare le proteste, ma la produzione
libica, che di solito è di 1,7 milioni di barili
al giorno, è scesa quasi a zero.
Non è possibile sottovalutare l’importanza
di quello che è successo la scorsa primavera
e che continua a scuotere il mercato
dell’energia. In altre zone chiave della regione
la produzione di petrolio sta diminuendo,
perciò l’Arabia Saudita e i paesi del
Golfo sono destinati a fornire una quota
sempre maggiore del greggio che serve al
mondo. Quest’aumento di produttività non
si veriicherà se quei paesi non investiranno
enormi somme per costruire nuove riserve,
soprattutto della varietà detta “petrolio dificile”,
che richiede infrastrutture molto più
costose di quelle usate per estrarre il “petrolio
facile”.
Il Wall Street Journal ha scritto che la
speranza di soddisfare la domanda mondiale
di energia del futuro si basa sulla di-
sponibilità dei sauditi a investire centinaia
di miliardi di dollari nei depositi di greggio
pesante che ancora rimangono. Ma davanti
alla crescita della popolazione e alla prospettiva
di una rivolta giovanile come quella
egiziana, il governo saudita sembra più
propenso a investire in opere pubbliche che
generano posti di lavoro e in armamenti,
invece che in nuove strutture per estrarre il
petrolio difficile. Le altre monarchie del
Golfo stanno facendo lo stesso, ma non
sappiamo se questi sforzi saranno suicienti.
“L’Arabia Saudita è una bomba a orologeria”,
ha dichiarato Jaafar al Taje, direttore
della Manaar energy consulting.
Oggi il mondo può sopportare la prolungata
mancanza del petrolio libico. L’Arabia
Saudita e un gruppetto di altri produttori
hanno un’eccedenza di produzione suiciente
a compensarla. Ma se l’Arabia Saudita
esplodesse, “il prezzo del petrolio salirebbe
a 200 o 300 dollari al barile”, ha dichiarato
il 5 aprile l’ex ministro del petrolio
del regno, lo sceicco Zaki Yamani.
Il secondo evento importante del 2011
si è veriicato l’11 marzo, quando un terremoto
e uno tsunami di potenza inaspettata
hanno colpito il Giappone. Il duplice attacco
della natura ha danneggiato o distrutto
una parte signiicativa delle infrastrutture
energetiche del Giappone settentrionale. E
ha danneggiato l’impianto numero 1 di Fukushima
determinando una perdita permanente
di 6.800 megawatt di capacità di
generare elettricità. Questo, a sua volta, ha
costretto il Giappone ad aumentare le sue
importazioni di petrolio, carbone e gas naturale,
aggravando la situazione mondiale.
Con Fukushima e le altre centrali nucleari
fuorigioco, le importazioni di petrolio del
Giappone potrebbero aumentare di 238mila
barili al giorno e quelle di gas naturale di
33 milioni di metri cubi al giorno.
Quali saranno gli efetti a lungo termine
dello tsunami? Il 10 maggio il primo ministro
giapponese Naoto Kan ha dichiarato
che bisogna “rivedere completamente” la
politica energetica del paese. Gran parte
dell’energia che il Giappone userà in futuro
verrà dal petrolio, dal carbone e dal gas
d’importazione. Il disastro di Fukushima, e
la scoperta degli errori di progettazione e di
manutenzione della centrale, hanno innescato
un efetto a catena e hanno spinto altri
paesi a sospendere i progetti di costruzione
di nuovi impianti nucleari o di mantenimento
di quelli esistenti.
Il 14 marzo la cancelliera tedesca Angela
Merkel ha annunciato la chiusura di due
degli impianti più vecchi del paese e la sospensione
dei piani per prolungare la vita di
altri quindici. Il 30 maggio Merkel ha promesso
di chiudere tutte le centrali esistenti
entro il 2022, una decisione che secondo gli
esperti farà aumentare il consumo dei combustibili
fossili. Il 16 marzo la Cina ha annunciato
che smetterà di concedere permessi
per la costruzione di nuovi reattori
ino a quando non avrà rivisto le procedure
di sicurezza. L’India e gli Stati Uniti stanno
rivedendo le procedure di sicurezza degli
impianti e ridimensionando i loro ambiziosi
progetti nucleari. Inine, il 25 maggio la
Svizzera ha fatto sapere che entro il 2034
chiuderanno gli ultimi impianti esistenti.
Il peso della siccità
Il terzo evento del 2011, anche se meno legato
degli altri due alla produzione d’energia,
è la siccità da record che ha colpito
molte zone del pianeta. Di solito una siccità
prolungata danneggia la produzione di grano,
questo fa salire il prezzo degli alimenti
e crea più malcontento sociale. La siccità in
Australia, in Cina, in Russia, in alcune zone
del Medio Oriente, del Sudamerica, degli
Stati Uniti e dell’Europa settentrionale ha
contribuito all’aumento del prezzo dei prodotti
alimentari, che a sua volta è stato uno
dei fattori all’origine delle rivolte scoppiate
in Nordafrica, nell’Africa orientale e in Medio
Oriente.
La siccità può ridurre anche il livello
delle acque dei grandi sistemi luviali e portare
a un calo di produzione delle centrali
idroelettriche. Il problema più grande si sta
verificando in Cina. Secondo il China
Daily, tra gennaio e aprile nel bacino di drenaggio
dello Chang Jiang il livello delle
piogge è sceso del 40 per cento rispetto alla
media degli ultimi cinquant’anni. Il risultato
è una diminuzione della produzione
idroelettrica e della fornitura di elettricità
in tutta la Cina centrale. Per produrre elettricità
i cinesi stanno bruciando carbone,
ma le miniere non soddisfano più le necessità
del paese, che deve importarlo.
L’aumento della domanda combinata
all’insuicienza dell’oferta ha prodotto un
picco del prezzo del carbone. E in mancanza
di un adeguato aumento della produzione
di elettricità (stabilita dal governo), molte
aziende pubbliche cinesi la stanno razionando
per non comprare carbone troppo
costoso. Le industrie fanno sempre più aidamento
sui generatori diesel, e questo a
sua volta determina un aumento della domanda
di petrolio importato, facendo pressione
sul prezzo globale dei carburanti.
Cos’altro c’è all’orizzonte? Anche se
l’Iea ha previsto per il prossimo futuro una
riduzione del consumo di petrolio, la richiesta
mondiale di energia continua a superare
l’aumento della produzione. E lo
squilibrio rimarrà. Prendiamo il petrolio.
Molti analisti sostengono che l’era del “petrolio
facile” è inita e che il mondo dovrà
contare sempre di più sul “petrolio diicile”.
Il pianeta ne contiene una gran quantità
– nel sottosuolo in profondità, al largo
delle coste e in formazioni geologiche diicili
come le sabbie bituminose del Canada
e i ghiacci dell’Artide che si stanno sciogliendo.
Ma estrarre e rainare il petrolio
diicile sarà più costoso e più rischioso per
l’uomo e per l’ambiente. L’instabilità dei
paesi mediorientali e la diicoltà di estrazione
fanno prevedere che il prezzo del
greggio aumenterà. Negli ultimi mesi la
diminuzione della produzione di energia
nucleare e idroelettrica ha fatto salire anche
il prezzo del carbone. Molti paesi incoraggiano
lo sviluppo delle energie rinnovabili,
ma stanno procedendo troppo lentamente
o su scala troppo piccola per sostituire
in poco tempo le vecchie tecnologie.
L’unica speranza sembra essere l’aumento
dell’estrazione di gas naturale dalle
rocce scistose degli Stati Uniti con il metodo
della fratturazione idraulica. Secondo i
suoi sostenitori, il gas di scisto potrà coprire
una grossa fetta dei bisogni energetici
degli statunitensi, danneggiando meno
l’ambiente rispetto al carbone e al petrolio
(perché emette meno anidride carbonica
per unità di energia rilasciata). Ma molti
mettono in guardia contro i danni che le
sostanze tossiche usate nel processo di
fratturazione potrebbero causare alle forniture
idriche locali. Molti stati hanno imposto
dei limiti all’uso di questa tecnica e il
12 maggio l’assemblea nazionale francese
ha approvato il divieto di usare l’idrofratturazione
in Francia.
Tutte le strategie per prolungare la vita
del petrolio, del carbone e del gas naturale
comportano gravi rischi economici e ambientali
e costi altissimi, come d’altra parte
l’uso dei combustibili fossili di qualsiasi tipo.
Con i giacimenti di petrolio del Texas,
del Venezuela e del Medio Oriente ormai
esauriti o impoveriti, il futuro del petrolio
dipende da fonti di qualità scadente come
le sabbie bituminose, il petrolio di scisto e il
greggio ultrapesante, la cui estrazione richiede
molta energia e la cui lavorazione
produce ulteriori gas serra e devasta l’ambiente.
Il caso del gas di scisto è esemplare.
Può essere estratto solo da formazioni scistose
sotterranee usando esplosivi e acqua
pressurizzata mescolata a sostanze chimiche
tossiche.
Inoltre, per ottenere la quantità di petrolio
necessaria, bisognerebbe scavare
decine di migliaia di pozzi in tutti gli Stati
Uniti, con il rischio di provocare una catastrofe
ambientale. Anche il futuro del carbone
è aidato a tecniche pericolose, come
l’uso di esplosivi per rimuovere cime montuose
e la dispersione del materiale roccioso
in eccesso e dei riiuti tossici nelle valli
sottostanti. L’aumento nell’uso di carbone
influirebbe anche sul cambiamento climatico,
perché il carbone emette più CO2 del
petrolio e del gas naturale. Il futuro energetico
del pianeta sarà segnato da crisi ricorrenti,
prezzi sempre più alti e un’insoddisfazione
generale.
Se non smettiamo di pensare che abbiamo
il diritto inalienabile a una crescita illimitata
e non accogliamo la promessa delle
energie rinnovabili il nostro futuro sarà
molto cupo.