I lavori di domani: ritorna la manutenzione

Quali saranno i lavori di domani? Un’onda lunga che, come al solito, parte dall’America indica in modo inequivocabile il gran ritorno delle attività manuali. E della manutenzione. Uno studio elaborato dalla Georgetown Univeristy Center on Education and Workplace,  per esempio, segnala un aumento a due cifre di giardinieri, muratori, cuochi, addetti alla ristorazione. Di specialisti […]

Quali saranno i lavori di domani? Un’onda lunga che, come al solito, parte dall’America indica in modo inequivocabile il gran ritorno delle attività manuali. E della manutenzione. Uno studio elaborato dalla Georgetown Univeristy Center on Education and Workplace,  per esempio, segnala un aumento a due cifre di giardinieri, muratori, cuochi, addetti alla ristorazione. Di specialisti nelle  riparazioni. La Grande Crisi, ancora in pieno svolgimento, lascerà una traccia profonda anche nel mercato del lavoro, decimando settori ormai saturi (come per esempio l’informatica) e offrendo nuove opportunità per le occupazioni manuali che negli ultimi anni sono state disprezzate o considerate attività di serie B.

Se questo è lo scenario, l’Italia, e in particolare le regioni meridionali, partono con un grande vantaggio e due handicap. La carta che possiamo giocare, specie per dare una prospettiva a quei 30 giovani su 100 alla ricerca di un lavoro, è quella della riscoperta delle attività artigianali. Tutte, senza eccezione. Appartengono alla nostra tradizione, fatta appunto di manualità, creatività e competenza. Pensate ai sarti che stanno scomparendo, laddove i figli non intendono proseguire la tradizione dei genitori, o anche più semplicemente a idraulici, muratori e appunto giardinieri. Non abbiamo nulla da imparare, ma solo da riscoprire, dando a questi mestieri la dignità che hanno sempre meritato.

E veniamo agli handicap. Il primo riguarda il nostro sistema di formazione, dalle università agli istituti tecnici e professionali. Da tempo le aziende lamentano la mancanza di personale qualificato proprio per attività manuali e denunciano il corto circuito tra l’università che sforna disoccupati, per esempio in inutili facoltà di Scienze della comunicazione, e il sistema economico, alla ricerca di queste figure professionali. Lo stesso discorso vale per quei corsi regionali fantasma di formazione professionale, fonti di sprechi e di clientele, e per gli istituti tecnici che finora abbiamo snobbato, ritenendoli un passo indietro nella crescita sociale. Da qui un’offerta e una domanda di lavoro che non riescono ad incrociarsi e uno scarso aumento dell’occupazione, laddove il lavoro ci sarebbe.

Il secondo handicap è culturale. Abbiamo creato un clima di tale ostilità nei confronti del lavoro manuale, da renderlo una riserva indiana degli immigrati. Una prova statistica? Tra la fine del 2007 e la fine del 2010, in piena recessione, gli immigrati hanno conquistato in Italia 500mila posti di lavoro in quei mestieri che noi italiani abbiamo abbandonato. Magari per rincorrere il sogno impossibile di un’occupazione in settori maturi e senza sbocchi. Come vedete, la Grande Crisi è un’opportunità per un cambiamento di paradigma anche nel mercato del lavoro. A partire dalla riscoperta del lavoro manuale e della manutenzione di oggetti che spesso sprechiamo solo perché nessuno è in grado di ripararli.

 

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