Centri antiviolenza: così le donne sono lasciate da sole di fronte alla violenza

Pochi soldi, distribuiti male, che arrivano a destinazione sempre con enorme ritardo. Troppo volontariato e le donne che chiedono aiuto finiscono per non fidarsi
FONDI DESTINATI AI CENTRI ANTIVIOLENZA

I femminicidi aumentano, come le norme per contrastarli. Una spirale di sprechi, dove manca un impegno serio e concreto sullo strumento più importante per proteggere le donne: i centri antiviolenza. Qui verrebbe la voglia di aprire e chiudere l’argomento con l’antico motto, le chiacchere stanno a zero, ma il tema è troppo importante, le vite sprecate sono troppe, per arrendersi. Quindi ripartiamodai Centri antiviolenza per capire cosa non funziona e va corretto. E premettendo un dato: al momento ne risultano attivi 106 (ma non esiste nessuna certezza che lo siano davvero) rispetto ai 182 del 2021. Siamo andati indietro, invece di fare crescere la rete, e nonostante un aumento dei fondi che restano davvero poco più di una mancia: 30 milioni di euro, compresi i soldi che vanno alle case rifugio.

Prevenire, proteggere, perseguire i colpevoli. I centri antiviolenza sono un’ottima idea, l’unica davvero concreta e utile, per combattere la violenza contro le donne. E lo hanno capito innanzitutto le vittime visto che durante il primo lockdown, quando i maltrattamenti sono aumentati ai livelli più alti di sempre, anche le chiamate ai centri sono cresciute del 73 per cento. Nel 2022 nel centri antiviolenza sono state accolte 20.711 donne (la metà tra i 30 e i 49 anni), un numero non certo basso, che però non migliora la sicurezza delle donne a rischio e innanzitutto la loro consapevolezza di reagire nel modo più determinato: denunciando l’aggressore. Questa funzione dei centri antiviolenza evapora, come dimostra il fatto che soltanto una donna su sette vittima di un femminicidio aveva denunciato la persona che l’avrebbe assassinata. E oltre sei donne su dieci, uccise dalla mano violenta e criminale dell’uomo, non avevano mai parlato a nessuno delle precedenti violenze subite.

A CHE COSA SERVONO I CENTRI ANTIVIOLENZA

A cosa servono i centri antiviolenza? La loro funzione più importante non dovrebbe essere quella di un’ultima spiaggia, quando ormai è quasi sempre troppo tardi, ma di una prima frontiera, al servizio delle donne. Un luogo dove le donne trovano sostegno psicologico, aiuto, supporto, ascolto anche da parte di persone competenti. Dove le donne finalmente non sono più sole di fronte al loro tragico destino. E qui veniamo allo spreco, all’abisso che separa le dichiarazioni di intenti, la tronfia retorica di denuncia della violenza, dai fatti nudi e crudi.

Il funzionamento dei centri antiviolenza, per i soliti giri tortuosi della politica e della burocrazia, viene stabilito dal centro, attraverso il Dipartimento delle Pari Opportunità, per poi concretizzarsi in periferia, dove il rubinetto è nelle mani delle regioni. Il governo ha perfino ha una cabina di regìa a Palazzo Chigi, e una volta erogati i fondi, poi sono le regioni a distribuirli. Tutto dovrebbe andare liscio come l’olio, nell’interesse esclusivo delle donne, e invece tutto si rallenta e si inceppa. Fino all’abbandono e alla chiusura dei centri antiviolenza. Una volta arrivati alle regioni, i soldi per finanziare i centri antiviolenza fanno un altro giro molto tortuoso. Con ciascuna regione che agisce a modo suo. In alcuni casi i finanziamenti passano i comuni, e poi (in parte) ai centri; in altri casi le regioni distribuiscono direttamente o attraverso una lunga procedura di bandi.

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FINANZIAMENTI DEI CENTRI ANTIVIOLENZA

Il risultato di questo assurdo meccanismo di finanziamenti è che un centro antiviolenza deve aspettare dai 14 mesi ai due anni per avere i soldi che gli sono stati promessi. Con ritardi sine die. Un esempio: per il piano del biennio 2015-2016, dopo quasi sei anni, le regioni hanno liquidato solo il 76 per cento dei fondi. Uno stillicidio. Negli anni successivi è andata ancora peggio.

I fondi che sono davvero arrivati ai centri antiviolenza sono stati il 67 per cento di quelli stanziati per il 2017; il 39 per cento per il 2018; il 10 per cento per il 2019. Anche per il 2020, nonostante la firma di un decreto che risale al mese di aprile per accelerare la distribuzione dei soldi da parte della ministra Elena Bonetti, finora soltanto cinque regioni (Abruzzo, Molise, Vento, Friuli Venezia-Giulia e Lombardia) hanno iniziato a distribuire gli stanziamenti. Risultato: soltanto il 2 per cento dei fondi per i centri antiviolenza sono arrivati a destinazione. In un ginepraio di passaggi burocratici tra Stato (che eroga) e regioni (che distribuiscono). Invece di fare nuove norme (quelle che abbiamo già bastano) bisognerebbe garantire i finanziamenti ai centri con puntualità e abbondanza, fare in modo che ci siano le risorse per pagare il lavoro delle persone all’interno dei centri (non può essere un’attività affidata solo gratuitamente alla generosità del volontariato). E ancora: portare all’esterno, a partire dalle scuole, un piano nazionale di educazione contro la violenza nei confronti delle donne. Qualcosa che sia davvero sorprendente per la sua forza e la sua capillare presenza.

CENTRI ANTIVIOLENZA IN ITALIA

Il sospetto, non inverosimile, è che, a fronte di attese di anni e di una distribuzione dei soldi mai pari al 100 per cento dei fondi stanziati, le risorse destinate ai centri antiviolenza finiscano altrove. Magari per spese correnti. Ma questo è ciò su cui dovrebbe vigilare il Dipartimento delle Pari opportunità con la sua cabina di regìa, andando a chiedere spiegazioni alle regioni inadempienti, facendo controlli a campione sull’uso dei soldi nei centri, e prevedendo anche forme di commissariamento su questa specifica attività per le amministrazioni regionali che non rispettano piani e obiettivi fissati dal governo. Al momento i centri antiviolenza sono poco più che delle isole, perennemente a rischio liquidazione e senza un vero coordinamento e una vera sinergia tra le diverse strutture. Le uniche notizie certe le abbiamo grazie a un’associazione, D.i.Re (Donne in rete contro la violenza) che mette insime 84 gruppi di volontari impegnati in questo settore e pubblica sul web i centri antivolenza censiti, regione per regione.

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ORFANI DEI FEMMINICIDI

Con le donne, ci sono altre vittime della violenza brutale degli uomini autori di femminicidi: i bambini che restano orfani. Anche in questo caso abbiamo leggi, un fondo nazionale per dare qualche mancia (300 euro) assegnata a una eventuale famiglia affidataria. Ma non sappiamo neanche quanti sono gli orfani dei femminicidi in Italia. Sono dei fantasmi. Il sito del ministero degli Interni riporta, come un bollettino di guerra, il numero delle donne uccise, ma non quello degli orfani. E dati certi non arrivano, e non possono arrivare dalla rete del volontariato, che riesce solo a fare una stima di circa 2.000 orfani di femminicidi. Bambini e bambine che hanno perso la mamma uccisa dal padre.

LE DONNE SCONFITTE DALLA VIOLENZA DELL’UOMO:

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