In un parco residenziale di Roma l’assemblea condominiale, sempre infuocata come da prassi, su proposta dell’amministratore, ha votato dei lavori di “allargamento e adeguamento” di una già capiente portineria. Perché? Mancava lo spazio per ospitare ogni giorno i pacchi, con relativi imballaggi, in arrivo da Amazon.
La frenesia degli acquisti online, con la religione del consumatore apparentemente attento al prezzo e alla qualità, in realtà pronto a sprecare soldi e oggetti, ha dato l’ultima spallata a un sistema di raccolta e smaltimento della spazzatura che ha alla sua radice un problemino: ne produciamo troppa, lo sappiamo, e facciamo finta di niente. E per giunta questa compulsione nell’universo dei rifiuti, roba da lettino dell’analista, la paghiamo in bolletta, in quanto l’equazione degli amministratori comunali è da scuola elementare, e cioè più rifiuti uguale più Tari, la tassa sui rifiuti, una delle mini-stangate alla quale si devono sottoporre i consumatori quando poi indossano i panni dei cittadini residenti.
La tecnologia fa passi da gigante per ridurre e semplificare, e l’Intelligenza Artificiale è ormai una sorta di nuova protesi elettronica nelle nostre esistenze, una compagna di vita, come gli smartphone, i pc e la televisione on demand. Tutto ciò dovrebbe, stando alla logica, aiutarci a diminuire la spazzatura che produciamo, e invece avviene il contrario.
Secondo gli ultimi dati contenuti nel Dossier Rifiuti 2025, elaborato da Cittadinanzattiva, sulla base delle statistiche ufficiali dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) e Arera (Autorità di regolazione per Energia, Reti e Ambiente), in Italia siamo arrivati a una produzione pro-capite, per ogni abitante, di 496 chilogrammi all’anno, compresi gli imballaggi per le spedizioni di Amazon.
Per capirci di che cosa stiamo parlando, immaginate di prendere 6 frigoriferi domestici, di misura standard, e gettarli in una discarica: questa è la spazzatura generata ogni anno da un cittadino italiano. La stessa persona che con un mano contribuisce a trasformare intere aere urbane in tante Leonia, la città immaginaria, completamente sommersa dai rifiuti, descritta nei racconti visionari di Italo Calvino nel secolo scorso, e con l’altra mano paga il conto della Tari. In media, 340 euro a famiglia (altro aumento: nel 2023 erano 320 euro), che raddoppiano a Catania (602 euro), e si moltiplicano in tutto il meridione e in città come Napoli (496 euro a famiglia). Conclusione: più le città sono sporche, anche per colpa dei troppi rifiuti, e più alte sono le tasse pagate dai residenti.
Ma quanto ci costa, a parte la Tari, questo gigantesco spreco di spazzatura? E davvero è così difficile almeno ridurlo? Il costo vero, a prescindere da tasse e inquinamento si può sintetizzare in questa conclusione: abbiamo voglia di fare la raccolta differenziata e di promuoverla con compagne persino ripetitive, di immaginare o realizzare mini e maxi termovalorizzatori, di pagare il conto opaco, per la gestione di soldi pubblici, di una miriade di consorzi di riciclo, ma alla fine senza la prima cosa che serve, diminuire, ciascuno di noi, la quantità di spazzatura che poi finisce nel sistema di raccolta e smaltimento, la situazione non potrà che peggiorare. Con questa quantità di spazzatura siamo condannati a vivere peggio, e alcuni, indovinate chi, ad avvelenarsi. Non c’è scampo o piano B.
E qui alle statistiche subentra il banale ma potentissimo buon senso. Che cosa c’è di logico, di utile, di razionale, nel fatto che ogni giorno nel mondo, Italia compresa, si consumano un miliardo di cannucce di plastica che non sappiamo neanche dove finiscono. Basta un gentile e sorridente «no, grazie» a un qualsiasi barista quando ci passa il drink con la cannuccia, e questa micidiale spazzatura, di fatto uno dei maggiori imputati per l’inquinamento marino, si potrebbe ridurre. Così come qualsiasi oggetto di plastica, bottigliette per la minerale comprese.
Ai famosi sei frigoriferi di spazzatura dovete aggiungere poi altra immondizia, come i circa 15 chili a testa di rifiuti tessili, da una camicia a un lenzuolo. Diteci se vi viene in mente un solo motivo al mondo per il quale dobbiamo trasformare in spazzatura tanta roba che proviene dal nostro guardaroba, ormai prigioniero della tendenza commerciale usa-e-getta, il cui principale rubinetto sono le famose piattaforme online, a partire da quelle cinesi, rivenditori globali di merce di pessima qualità (tradotto: soldi buttati più che sprecati), tossica, e realizzata con le leggi del moderno schiavismo e in disprezzo di qualsiasi norma di sicurezza. Non esiste un rifiuto, ma uno solo di numero, che chiunque di noi non possa ridurre, con semplicità, velocità, efficienza e leggerezza, senza fare cose complicate o sottoporsi a qualche tortura da bravo scolaretto green.
Infine, gli imballaggi, categoria che va a braccetto del famigerato packaging, uno dei settori dove è più florida la speculazione che si consuma nel nome della falsa sostenibilità. Tutti, produttori e commercianti, si riempiono la bocca con le buone azioni dell’imballaggio green, del packaging sostenibile, del pacchetto che non inquina: sono balle. L’imballaggio, per essere sostenibile, ha una sola strada da percorrere: diventare meno ingombrante, ridursi fino all’eliminazione quando non serve.
Un giorno che tornate dal supermercato con la spesa, e avete qualche minuto da perdere, aprite uno per uno, gli involucri, carta e plastica, nei quali sono contenuti i vostri acquisti alimentari. Si parte dalla busta della spesa, ovviamente biodegradabile (10-20 centesimi sprecati), poi ci sono vaschette di plastica, fogli di alluminio, involucri di carta, tutto in serie, un imballaggio dietro l’altro, come se la spesa fosse una bambola matrioska. Perché non usiamo la lingua e iniziamo a dire, al momento dell’acquisto: «Grazie, ma non serve tanta carta e tanta plastica»? Perché non ci decidiamo a non dare neanche un euro ai supermercati per la busta della spesa e portarcela da casa, di stoffa e duratura? Lasciamo al sociologo o all’esperto di consumi la spiegazione di tanta irrazionalità nel nostro rapporto così morboso con la spazzatura, e torniamo per un secondo nel regno di Amazon. Anche i suoi pacchi e pacchetti potrebbero diminuire, e magari così a Roma non avrebbero dovuto rifare una portineria per accoglierli: grazie all’Intelligenza Artificiale basta chiederlo online, sempre ad Amazon, con un clic, e se la piattaforma, con la sua Stupidità Reale & Cinica, lo riterrà possibile, avrete prodotto un rifiuto in meno.
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