Perché chiedere la doggy bag

In America è all'ordine del giorno, in Francia è obbligatoria nei ristoranti con più di 180 coperti, in Spagna è un'abitudine. E in Italia è considerata volgare

doggy bag al ristorante

C’è qualcosa che dobbiamo superare, anche con noi stessi, nella lotta contro lo spreco, lo scandaloso spreco, di cibo avanzato nei ristoranti. Ed è un pregiudizio culturale, frutto anche di ignoranza e di scarso senso civico, se non di indifferenza, nei confronti della doggy bag. Lo strumento più semplice e più efficace per contenere o evitare questo scandalo ben radicato nel lungo catalogo degli sprechi alimentari.

DOGGY BAG

La doggy bag (letteralmente vaschetta degli avanzi per il cane) è uno strumento semplice, efficace e veloce per evitare lo scandalo dello spreco del cibo nei ristoranti e nelle tavole calde. In questi luoghi, infatti, si arriva a gettare nella spazzatura fino al 50 per cento del cibo ordinato dai clienti e non consumato. Lasciato nei piatti ancora perfettamente commestibile. In teoria il cibo che viene portato a casa è per il cane, in pratica il 90 per cento dei clienti che chiedono la doggy bag poi mangiano i loro avanzi nei giorni successivi, come quelli che arrivano dalla cucina domestica e dalle ricette con gli avanzi.

PERCHÈ SI CHIAMA DOGGY BAG?

Il nome è anglosassone e deriva dalle origini della doggy bag introdotta in America già negli anni Quaranta. Le prime città degli Stati Uniti che lanciarono questo prezioso strumento anti-spreco di cibo furono Seattle e San Francisco. A Seattle un network di ristoratori proposero ai clienti, con successo, dei sacchetti di carta oleata per portare a casa il cibo avanzato. I sacchetti avevano la scritta “Boners for Bowers“. A San Francisco, invece, furono i caffè a lanciare i Pet Pakit, piccole confezioni per i clienti che volevano portare gli avanzi a casa per i loro animali domestici.

DOGGY BAG AL RISTORANTE

Quasi nessun cliente, al ristorante, consuma tutto il cibo che ordina. Il resto finisce puntualmente sprecato. La soluzione esiste, ed è molto semplice: diffondere ovunque la doggy bag, come esiste in tanti paesi, dalla Francia all’America passando per la Cina.

In Italia questo banale strumento antispreco, un piccolo oggetto di civiltà, ha dovuto superare le montagne russe della burocrazia e della legge. Ci sono state una serie di contestazioni che sono poi finite con una storica sentenza della Corte di Cassazione che, nel 2014, ha sancito il diritto dei clienti dei ristoranti, delle pizzerie e delle tavole calde, di portarsi il cibo avanzato a casa.

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DOGGY BAG GALATEO

Dovremmo tutti, proprio tutti, convincerci di quanto sia utile la doggy bag, il sacchetto con il quale il ristorante consente al cliente di portare a caso il cibo avanzato a tavola. Lo spreco di cibo nei ristoranti è altissimo: supera il 30 per cento dei pasti ordinati. Ma c’è ancora troppa timidezza, pudore, e talvolta perfino vergogna, nell’uso della doggy bag. Pensate il 25 per cento degli italiani la considera «volgare, da maleducati e da poveracci».

Allo stesso tempo, bisognerebbe dare un incentivo in più ai ristoratori, introducendo uno sgravio fiscale per chi usa, con regolarità la doggy bag. Sarebbe un modo per spingere tutti i locali pubblici all’uso di questo strumento antispreco.

D’altra parte, le campagne antispreco del cibo almeno un risultato, a proposito della doggy bag, lo hanno raggiunto. E’ considerata un oggetto imprescindibile nel vocabolario, e negli stili di vita, delle persone che davvero manifestano interesse per la sostenibilità. Va di moda nei ristoranti dei grandi chef, che la suggeriscono (come nel caso di Davide Oldani), si vede spesso in tv durante il programma cult della cucina, Masterchef,  ed è uno degli oggetti al centro di nuove versioni in termini di design e materiali con i quali viene realizzata.

Rimpiattino (Fipe/Comieco)

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DOGGY BAG IN AMERICA

È stata Michelle Obama, infatti, a usare con grande frequenza la doggy bag, ed a farsi fotografare mentre porta a casa il cibo recuperato dal ristorante. Lo ha fatto anche durante un viaggio in Italia, quando uscendo da una trattoria romana ha mostrato la sua doggy bag con l’avanzo della carbonara che aveva ordinato. Tra l’altro la doggy bag è un’invenzione americana, che nasce proprio nei caffè e nei ristoranti di San Francisco, dove la lotta contro gli sprechi alimentari è sempre stata molto sentita.

DOGGY BAG IN FRANCIA

In Francia, all’interno della lotta contro lo spreco di cibo, è stata fatta perfino una norma che obbliga i ristoranti con più di 180 posti a sedere di avere in dotazione la doggy bag. La Francia, ricordiamolo, è anche il paese che sul fronte della lotta agli sprechi di cibo ha fatto di più, arrivando ad approvare una legge che rende obbligatorio per i supermercati (con multe e perfino il carcere) donare i prodotti ancora commestibili e avanzati al circuito del volontariato, per l’assistenza ai poveri. In Italia, dove è stata lanciata anche una campagna da Change.org, appena il 20 per cento dei clienti la chiedono, anche se, in teoria, uno su cinque, si dichiara favorevole a utilizzarla.

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DOGGY BAG IN SPAGNA

Qui ha funzionato molto bene uno spot televisivo, poi diventato virale sulla Rete. Un noto personaggio, al momento di uscire dal ristorante chiede alla cameriera se può avere una doggy bag e portare via il cibo rimasto. E viene servito.

DOGGY BAG IN CINA

La richiesta del doggy bag al ristorante in Cina (dove si spreca fino alla metà del cibo ordinato) ha un nome preciso. Si chiama dabao che, letteralmente, significa “Mi faccia un pacchetto”. Il gesto di chiedere di potere portare a casa ciò che avanza da quanto ordinato a ristorante, in Cina è entrato nel galateo, e viene considerato un comportamento da persone educate. Attente a evitare lo scandaloso spreco di prodotti alimentari.

PORTARE A CASA CIBO AVANZATO AL RISTORANTE

Una volta recuperato il cibo che altrimenti andrebbe sprecato, grazie alla doggy bag, resta la domanda sul che cosa farne. Le possibilità sono due. Riutilizzarlo nelle nostre mura domestiche, a pranzo oppure a cena. Seconda ipotesi: donarlo, e in questo caso basta rivolgersi alla parrocchia più vicina alla propria abitazione. Noi ovviamente preferiamo questa seconda soluzione.

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