DIFESA DELLA LINGUA ITALIANA
L’ultimo colpo alla lingua italiana, uno dei tanti, arriva da chi più di tutti dovrebbe difenderla: il ministero dell’Istruzione. In una febbre di provincialismo linguistico, e senza neanche porsi il dubbio della sciocchezza che stavano facendo, i solerti funzionari del Miur hanno pensato bene di introdurre una nuova regola: tutte le proposte, in tutti i settori, per accedere ai finanziamenti per la Ricerca scientifica devono essere presentate rigorosamente in lingua inglese. E il proponente può decidere, volontariamente, di aggiungere “anche una versione in italiano”. Potete immaginare che cosa accadrà nelle università italiane, a qualsiasi livello, quando si tratterà di scrivere queste domande in inglese (una lingua, tra l’altro, non ancora diffusissima in Italia) per spartirsi una torta di 391 milioni di euro. Gli unici, veri e disponibili, fondi per la ricerca scientifica.
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DIFENDERE L’ITALIANO
Ma questo risvolto paradossale e perfino farfesco della decisione del Miur è solo la ciliegina sulla torta di una tendenza, a qualsiasi livello, con la quale stiamo uccidendo l’italiano. la nostra lingua. Relegandolo a un dialetto locale, molto marginale. Non esiste più luogo pubblico, da un’istituzione a un’università, dove l’egemonia dell’inglese sia riconosciuta (e questo è un fatto) fino a considerare superfluo l’italiano (e questa è un’imbecillità). Anche quando abbiamo i nostri vocaboli, per esprimere i concetti dobbiamo sempre appellarci alla lingua di Shakespeare.
PRESERVARE USO CORRETTO ITALIANO
La cosa più grave, assolutamente ignorata dai funzionari del ministero (a proposito. la ministra che ne pensa?) è che una lingua nazionale non è solo un linguaggio, uno strumento di comunicazione e di informazione. È innanzitutto una chiave identitaria, la più importante. Non avremmo avuto il Risorgimento e l’Unità nazionale se non ci fosse stata una lingua comune, l’italiano, che intanto si faceva strada in tutti i gironi, dalla lirica alla letteratura, passando per i luoghi della cultura. E siamo usciti dal tunnel dell’analfabetismo, nel secondo dopoguerra, grazie al riconoscere, appunto come strumento identitario, la necessità di una lingua nazionale condivisa, da Bolzano a Catania. senza nulla togliere alla polifonia dei dialetti.
La necessità di diffondere un’ottima conoscenza di almeno una seconda lingua globale, come appunto l’inglese, è fuori discussione. Ma da qui a cancellare l’italiano ci passa un abisso, uno spazio riempito dalla stupidità di chi più dovrebbe avvertire la gravità di questa eclissi non solo linguistica.
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