Come difendere i negozi di quartiere

Vanno protetti innanzitutto dalle amministrazioni comunali. E poi dai consumatori. L'app di due studenti per salvarli

crisi piccoli negozi e botteghe

COME DIFENDERE I NEGOZI DI QUARTIERE

I negozi di quartiere continuano a sparire, con un serio spreco per l’identità dei luoghi, per l’occupazione, ma anche per i consumatori, ormai costretti ad acquistare sempre più attraverso il duopolio della grande distribuzione di Amazon. I negozi di quartiere vanno difesi innanzitutto dalle amministrazioni locali, che non dovrebbero abbandonarli al loro destino. In concreto: servono tutele di questi punti vendita, talvolta con radice centenarie, e incentivi a chi resiste sul territorio. Inoltre bisogna evitare che vengano circondati, come avviene per esempio in molte strade del centro storico di Roma, dalla concorrenza dei negozi cinesi.

NEGOZI DI QUARTIERE E CONSUMATORI

Un altro aiuto ai negozi di quartiere può arrivare dagli stessi consumatori, che già sono ben disposti verso questo target di vendite. Secondo un’indagine della Bocconi il 40 per cento degli italiani almeno una volta alla settimana fa un acquisto presso un negozio di quartiere. Dobbiamo curarli, frequentarli, non trascurarli, e non stare troppo a tirare sul prezzo se magari un acquisto in un negozio di quartiere costa qualche centesimo in più rispetto all’online. E’ comunque una spesa con una garanzia di qualità superiore sia  a ciò che arriva via Internet sia alla rete della grande distribuzione. E sono i consumatori che possono spingere i negozi di quartiere a modernizzare, prevedendo anche la possibilità di acquisti  online o prenotati.

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NEGOZI DI QUARTIERE CHE CHIUDONO

Nel 2022 hanno chiuso 43 mila negozi di quartiere, a fronte di 22 mila nuove aperture. Eppure mentre il commercio, in generale, continua a perdere colpi per effetto dell’onda lunga della Grande Crisi, le vendite dei negozi al dettaglio presentano un saldo positivo. E allora voi che cosa vi aspettereste? Una strenua difesa da parte del governo e degli amministratori locali, cioè della nota politica nelle mani di persone spesso incapaci e incompetenti, di queste piccole ma strategiche realtà, non solo commerciali. Invece, accade il contrario, nessuno sostiene i piccoli negozi e le botteghe, visto che contano poco o quasi nulla sul piano elettorale e clientelare e non muovono soldi importanti come nel caso dei centri commerciali. E così stanno letteralmente scomparendo dai centri storici. L’ultimo dato è di Confcommercio: meno 15 per cento di negozi nei centri storici di 40 città di piccole e medie dimensioni. Non parliamo delle grandi città. Dall’inizio della Grande Crisi, siamo arrivati anche a perdere quattro negozi all’ora, tre al giorno a Genova, 300 al mese a Roma, 400 a Napoli. Un impoverimento gigantesco non solo da un punto di vista economico.

Il piccolo negozio, come la bottega, significano storia, identità e comunità. Sono anche luoghi dove ci si ritrova e si sconfigge, specie quando si è anziani, la solitudine. Con la chiacchera e con la compagnia della collega di acquisti, del vicino di casa, del negoziante che ti conosce e ti ascolta da una vita. Ogni bottega che chiude è una perdita di competenze, di conoscenze, di valore economico e sociale, di un pezzo del tessuto di una città. È un danno per la qualità della vita dei residenti e per l’appeal turistico di un territorio. Non a caso, i centri storici dove i turisti si sentono più gratificati in Italia sono quelli dove accanto alle bellezze dei monumenti e delle case, è rimasto integro un piccolo tessuto di bar, botteghe, luoghi di ritrovo, piccoli negozi locali. Un esempio per tutti è il caso del comune di Lecce, dove ogni anno le presenze turistiche aumentano con percentuali a due cifre.

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SCOMPARSA PICCOLI NEGOZI

I piccoli negozi e le botteghe chiudono sempre per gli stessi motivi. Gli affitti ti strozzano, la concorrenza dei centri commerciali è insostenibile, le pressioni di chi vuole subentrare diventano ogni giorno più incalzanti, la burocrazia fiscale fa impazzire. Si chiude così per disperazione più che per una logica di mercato. E si chiude nel silenzio, nell’indifferenza delle amministrazioni locali, di quei sindaci, presidenti di regioni e di province (sono ancora in piedi), assessori vari, che nulla oppongono contro l’avanzata delle grandi griffe e dei centri commerciali che snaturano i luoghi dell’identità italiana e nulla fanno per sostenere e aiutare il piccolo commercio e le botteghe. Qui è il punto di questo assurdo spreco per il sistema Paese e non per una singola categoria. In questa totale mancanza di coraggio e di visione del ceto politico locale che si arrende di fronte al primo centro commerciale che paga tutto (anche il non dovuto…) in moneta contante, oppure di fronte all’arbitrio della componente illegale del commercio ambulante, e butta a mare il piccolo negozio e l’artigiano-bottegaio con la scusa che ormai sono passati di moda (e di mercato). Nulla di più falso. Se guardate bene, perfino in grandi metropoli prigioniere della finanza, pensate a Londra, il piccolo negozio e la bottega vengono protetti come un patrimonio nazionale. E quanto al futuro, il web, e tutte le opportunità di vendita online, offrono straordinarie opportunità di rilancio e di resistenza di queste vitalissime attività economiche. A condizione che qualcuno, tra chi deve farlo per mandato ricevuto dagli elettori, si decida a muoversi per fermare una strage incredibile ma vera.

APP PER SALVARE NEGOZI DI QUARTIERE

Due studenti universitari ventenni, Tommaso Ferrari e Federico Licata, hanno inventato una app gratuita, si chiama Itemty, per sostenere i negozi di quartiere. Questa app, in pratica, aumenta in modo esponenziale la competitività dei negozi di quartiere e anche la loro efficienza. In tempi rapidi, per esempio, si possono avere tutte le informazioni sui negozi di quartiere più vicini, divisi anche per settori merceologici; si possono prenotare prodotti, di qualsiasi quantità, con un semplice click, online; e si possono concordare consegne rapide a domicilio.

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