Come si possono salvare i negozi di vicinato

Tutti possiamo fare qualcosa per fermare lo tsunami che rischia di desertificare i luoghi e impoverire la vita di comunità

negozi di vinato

Possiamo fare qualcosa per fermare la strage dei negozi di vicinato? E perché dovremmo farlo? La risposta alla prima domanda è: sì, certo, tutti possiamo contribuire a mettere un freno alla scomparsa di un mondo che con troppa superficialità consideriamo condannato dalla legge del più forte, in questo caso Sua Maestà La Tecnologia, in versione vendite online a tutta birra, h24, con un clic e l’arrivo di un pacco a domicilio. Un pacco, badate bene, non una parola o una persona. La cosa va sottolineata, in quanto l’anima di un negozio di vicinato è fatta proprio da un essere umano, non dall’ultimo surrogato dell’Intelligenza Artificiale e dei relativi algoritmi. Può essere il barista che ci saluta allungando il suo caffè e intanto vuole commentare la partita di calcio, il film o l’aria che tira nel quartiere. Può essere la commessa di un negozio di vicinato, gentile, affettuosa, sempre sorridente, pronta anche a svolgere la funzione di portiere-supplente (“Le dispiace se le lascio un pacco che vengono a ritirare”?. E può essere il titolare di una merceria, di una cartoleria, di un negozio di abbigliamento, di una salumeria, che ci abbraccia con il calore umano, e non virtuale, delle sue attenzioni e della nostra, reciproca conoscenza.Siamo vicini, di nome e di fatto.

La risposta alla seconda domanda, quella sul perché dovremmo difendere, sfidando i venti di uno tsunami in pieno svolgimento, è una logica conseguenza della prima risposta. Dobbiamo farlo perché ne abbiamo tutto l’interesse: i negozi di vicinato sono un pezzo, non secondario, dell’identità e dell’anima di un quartiere, di una zona, di una città. Valgono, in termini di importanza e di ossigeno che portano, come un giardino pubblico, e quindi possiamo considerarli come dei baluardi della sostenibilità.

Un negozio che chiude (la parola “bottega” è restrittiva) è una perdita per tutta la comunità che vive e frequenta quella zona, come la scomparsa di altre vittime della strage di Sua Maestà La Tecnologia, ovvero i cinema, le librerie, le edicole. Non si perde solo un’insegna, un “luogo magico”, un’atmosfera, un’attività economica, dei posti di lavoro. Si perde qualcosa di molto più importante: un pezzo del Noi, dello stare insieme, del sentirsi vicini attraverso relazioni reali e non virtuali.

E come possiamo provare a contribuire a questo miracoloso salvataggio? Con quale scialuppa durante un naufragio che ci vede tutti coinvolti? In due modi, semplicissimi, ma molto potenti. Facendo sentire la nostra voce di cittadini, attraverso associazioni, gruppi, pressioni sui social, a quelle amministrazioni comunali sciagurate che non muovono un dito per proteggere i negozi di quartiere\vicinato, e pure tanto potrebbero fare, se lo volessero. E se si decidessero a non mettersi sempre in ginocchio con il primo supermercato o Centro commerciale che vuole aprire sul territorio, sgombrando i negozi che magari sono in quella zona da circa un secolo.

Poi possiamo tornare a frequentarli, a non essere anche noi prigionieri dell’online, di Amazon, e, magari delle piattaforme cinesi che spacciamo prodotti pericolosi e contraffatti per buoni affari. Se riuscissimo a fare piccole catene di protezione, attraverso la nostra attività di consumatori, attorno ai negozi di vicinato, la strage magari non si fermerebbe, ma certo almeno rallenterebbe. E forse ci sarebbe anche qualche nuova apertura in più.

Invece i numeri ci dicono che nel 2024 (la fonte è Confcommercio), in Italia hanno chiuso i battenti 61.634 negozi di vicinato, con un rapporto di 3 chiusure per ogni nuova apertura, spesso con un negozio cinese o catapultato dagli strani giri commerciali attorno all’universo del Bangladesh.  Soltanto a Roma, negli ultimi cinque anni hanno chiuso 15.000 negozi di vicinato, e qualsiasi cittadino della capitale è consapevole di come è ridotta la città, anche sotto questo punto di vista, e quanto sia insostenibile il vuoto creato da questa sequenza di morti premature.

Possiamo e dobbiamo resistere, non rassegnarci. Anche perché, questo è l’unico numero positivo, comunque, secondo un’indagine dell’università Bocconi, il 40 per cento degli italiani almeno una volta alla settimana mette piede in un negozio di vicinato. Ecco, si tratta di alzare quel 40 per cento, e portarlo nei negozi di quartiere due, tre, quattro volte alla settimana. A respirare l’aria leggera e tonica della vita di una comunità dove ognuno ha un ruolo e un’importanza, a partire dalle commesse e dai baristi.

Foto tratta da Firenze Today

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