I cinesi padroni dei bar. A Milano uno su dieci è loro. Così perdiamo pezzi della nostra identità

A Milano ormai un bar su dieci è di proprietà dei cinesi. Nelle piccole e medie città lombarde, in pochi anni, l’aumento dei bar cinesi è stato del 500 per cento. Stesso film a Roma e Napoli. Eppure qualcosa si può fare

bar e tabaccherie gestiti dai cinesi in Italia

 I bar di Milano e di tutta la Lombardia parlano sempre più cinese. L’avanzata è militare, senza tregua, e oltrepassa da tempo le linee di confine dei quartieri cinesi, quelli dove gli orientali sono ormai padroni assoluti della zona, dai negozi agli appartamenti, dai laboratori di artigianato a qualsiasi tipo di ristorante. Le barriere si sono abbassate, e non solo all’interno, nel cuore, della metropoli lombarda.

BAR GESTITI DAI CINESI IN ITALIA

Le statistiche dicono che nella Milano eccitata dalle ottime condizioni di salute della città, ormai un bar su dieci è di proprietà di una famiglia cinese. E se andiamo a fare i conti in altre cittadine lombarde, si arriva a una crescita del tutto fuori controllo. Quattro-cinquecento per cento, in pochi anni. A Lodi, nel 2011 i bar cinesi erano sette; nel 2019 sono diventati ventitré. A Lecco da tre siamo passati a diciotto. Un altro aspetto importante di questo trend è il tipo di acquisto che i cinesi fanno, una sorta di bar “chiavi in mano”, dove accanto alla licenza per la vendita di caffè, bibite e panini, c’è anche la licenza per la vendita dei tabacchi. E grazie alla seconda leva, la tabaccheria a tutto tondo, l’affare di un piccolo bar si ingrossa. E le casse si riempiono di denaro contante. In pratica, il bar nell’ottica orientale è un’impresa a tutti gli effetti che va a sommarsi all’espansione generale dei cinesi in Italia. Sintetizzata in due numeri: 300mila cittadini cinesi residenti in Italia e 50mila imprese super attive, bar compresi.

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BAR GESTITI DAI CINESI A MILANO

L’avanzata dei cinesi nell’universo dei bar, della ristorazione, dei servizi collegati a queste attività, e in generale nel commercio, non è una novità assoluta. Semmai sorprendono due cose. L’accelerazione del fenomeno, che sembra non avere alcun tipo di argine. E la totale indifferenza, una sorta di resa, da parte di qualsiasi livello dell’amministrazione pubblica (il consiglio comunale, il consiglio di quartiere, la regione, la provincia, etc …). Mani in alto, come se davvero non si potesse fare nulla. È quello che avviene a Roma come a Napoli, a Venezia come a Firenze. Ovunque.

D’altra parte i cinesi sono ricchi, hanno molti soldi da investire (spesso in nero), o da riciclare, e hanno capito che l’Italia è un paese perfetto per fare commercio. Specie di piccolo taglio che poi, sommando le transazioni, diventa grande. Il nostro rischio, il nostro spreco come italiani, di fronte a una realtà con la quale bisogna fare i conti con estrema lucidità, è qualcosa che va molto oltre gli aspetti economici. Qui si gioca un pezzo della nostra identità. Ed è quello che rischiamo di sprecare, nelle città, nei quartieri. Come persone e come cittadini.

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BAR E TABACCHERIE CINESI IN ITALIA

Il bar non è un luogo qualsiasi. Non è un negozio come un altro. Ha un’anima, radici, talvolta molto profonde, e rami che coprono le comunità di un territorio, di una singola zona. È attorno al bar che si svolge una vita, anche molto intensa, ed ecco perché possiamo considerare il bar come un presidio di relazioni, di rapporti umani e di civiltà. Beni preziosi, quanto immateriali, che non possiamo sprecare o abbandonare nella nostra vita quotidiana.

Lo scrittore e saggista francese George Steiner definisce l’identità europea, quindi anche italiana, attorno a cinque assiomi, e il primo è che l’Europa ha sempre avuto nei bar-caffè i propri luoghi identitari. Di incontri e di relazioni. Dove la gente un tempo discuteva, scriveva e, se volete, cospirava. E dove sono nate le comete della condivisione, correnti filosofiche, movimenti artistici, rivoluzioni ideologiche ed estetiche. Amori e umori, passioni e conflitti. In un vero bar, e in Italia ce ne sono dappertutto, questa straordinario patrimonio genetico esiste ancora, non è stato cancellato dal caffè servito e bevuto solo attraverso alle macchinette automatiche.  Non è rimasto schiacciato sotto i carrarmati della comunicazione via web, e quindi priva di contatti fisici. No, i bar made in Italy sono ancora luoghi strategici per la nostra qualità della vita. E se lasciamo avanzare i cinesi senza argini, avremo semplicemente dato un ennesimo colpo proprio al modo con il quale stiamo insieme, a livello di singole persone e di comunità.

Certo: bisogna fare i conti, come dicevamo, con la realtà. I cinesi sanno bene dove mettere le mani e i loro soldi. A Roma, per esempio, sono avanzati in modo militare in tutto il Centro storico, sapendo che si tratta di luoghi brulicanti di turisti con il portafoglio aperto. Sono i cinesi a farla da padroni in attività commerciali e pubblici esercizi nelle strade che portano verso il Vaticano. E se un cinese decide di comprare da una famiglia italiana, che magari possiede un bar da qualche generazione, prima o poi ci riesce. Ha l’arma imbattibile del denaro, e della semplicità della negoziazione nel momento in cui arriva la famosa offerta «che non si può rifiutare».

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PERCHÉ CI SONO TANTI BAR CINESI IN ITALIA

Sul web potete avere una prova anche piuttosto paradossale di questo meccanismo. Ormai siamo ai siti interamente dedicati alle compravendite di immobili e di attività commerciali tra italiani, nei panni dei venditori, e cinesi, vestiti da acquirenti, ovviamente. È il caso del sito Vendereaicinesi.it: si offre anche per tradurre in mandarino i singoli passi della trattativa. O del napoletano Venderefacileaicinesi.it Quanto i rapporti di forza siano squilibrati, lo si vede anche da ciò che avviene dopo la cessione di un bar. Tutto assume le sembianze di un mondo cinese. A partire dalla lingua, dai modi e dai toni delle persone che lavorano all’interno del locale. Al punto che in alcun bar acquistati dai cinesi, avviene spesso a Roma, il lavoro è riservato ai cittadini orientali. Ed è vietato innanzitutto a una precisa categoria di potenziali lavoratori: gli italiani. Questo è solo l’ultimo di una catena di danni e di sprechi legati ai cinesi in versione baristi. E nessuno si sogni di dire che non si può fare nulla. I bar italiani vanno in qualche modo protetti e difesi. Come? Come avviene, per esempio, a Torino, dove i cinesi passano con grande fatica nei templi del caffè e della cioccolata calda. Ma certo per aiutare il titolare di un bar a non cedere alle lusinghe dei cinesi, bisognerà pure rendergli la vita più semplice, non massacrarlo di tasse e di burocrazia, e non lasciarlo tramortito sotto i colpi di un caro-affitti che colpisce sempre i più deboli. Anche nel commercio. Anche nel giro dei bar.  

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