Le scuse di routine più o meno recitano così: “Mi dispiace, sono stato frainteso”. Frase semplice, ma di scarsa efficacia, perché ormai la frittata è fatta e il malinteso, se tale si può definire, ha già seminato i suoi veleni, distruggendo le radici della pianta di una relazione umana.
L’incomprensione è all’ordine del giorno. Abbiamo dentro di noi una tendenza quasi istintiva a essere incapaci di comprendere sentimenti, necessità e perfino il carattere degli altri, anche delle persone che più amiamo. Allo stesso tempo, più che arrotondare la realtà, cosa talvolta anche necessaria, tendiamo a stravolgerla, anche senza diventare dei bugiardi seriali, categoria molto specifica di un genere umano che non conosce il problema della denatalità. Forse è autodifesa, forse è indifferenza, forse è poca voglia di sforzarci: ma in ogni caso l’incomprensione è dietro l’angolo, pronta a guastare, a farci sprecare i migliori rapporti umani, tra le singole persone, e nelle collettività.
Sicuramente essere fraintesi non è soltanto un problema di linguaggio. Dietro parole (e comportamenti) probabilmente sbagliate, esagerate, inopportune, barocche nella loro finta complessità, ci sono altri buchi neri che portano alla palude dell’incomprensione, che poi facilmente si può trasformare in un regolamento di conti.
Uno dei paradossi del tempo contemporaneo è che abbiamo sempre più mezzi, pensate alla tecnologia, all’uso dei social network, e adesso allo tsunami dell’Intelligenza Artificiale (AI) per comunicare e anche per fare self-marketing, ovvero propaganda sulla nostra persona, eppure facciamo sempre più fatica a farci capire. Ovvero per quanto ci sforziamo di dare una certa impressione di noi stessi, veniamo poi percepiti in modo molto diverso. Con possibili, disastrosi rischi. Una situazione tipica è quella di un uomo che la sera, a tavola, inizia a sbadigliare mentre mangia con la moglie, e lei immediatamente capisce che lui non vuole la sua compagnia. Magari però è solo stanco. Un altro caso è quando offriamo aiuto a un’altra persona, un collega di lavoro che si sente in competizione, che interpreta questo gesto come una mancanza di fiducia nelle sue possibilità. E non capirsi apre la strada agli equivoci, alle incomprensioni, ai conflitti. Ai rancori.
Una leva micidiale di questo meccanismo è quella che banalmente si definisce “mancanza di dialogo”, non a caso un’espressione considerata quasi un sinonimo di incomprensione. Già, il dialogo, ovvero la capacità di comunicare con gli altri. L’abilità del comunicare, del parlare e del farsi capire, non riguarda solo le tecniche del marketing, le ambizioni dei politici, o i fatturati annunciati dai dirigenti ai vertici delle aziende che puntano su un prodotto e tentano di farlo penetrare nel nostro cervello: no, riguarda anche i nostri rapporti più diretti e più vicini, gli affetti che appartengono alla sfera dei sentimenti più profondi. I nostri stili di vita. E dunque riuscire a farsi capire, scansare le premesse dell’incomprensione, significa vivere meglio.
Heidi Grant Halvorson, psicologa sociale alla Columbia University, ha scritto un libro molto efficace intitolato Cosa fare se nessuno ti capisce, dove cerca di mettere in fila le principali cause di queste continue incomprensioni. In particolare colpiscono due aspetti che si riferiscono proprio ai nostri comportamenti ed a un certo meccanismo del cervello. Il primo è “l’illusione della trasparenza”. E funziona più o meno così: siamo talmente convinti della nostra rappresentazione, e qui scatta la molla della presunzione, che non dedichiamo alcuno sforzo, e tantomeno tempo, a essere chiari e diretti con le nostre intenzioni, in modo da ottenere un giudizio degli altri in sintonia con le aspettative. Giriamo attorno alla realtà, senza saperlo, e scivoliamo nella zona grigia dell’illusione.
Che cosa possiamo fare per dare alle persone alle quali siamo interessati l’impressione che vogliamo? Come è possibile capirsi meglio, nel reciproco interesse? La Halvorson non elabora una particolare dottrina, ma indica una regola fondamentale per soddisfare bene il bisogno, quasi naturale, di essere capiti: la chiarezza. I messaggi, ed i relativi segnali, devono essere nitidi, espliciti e non limitarsi ad aspettare che l’interlocutore interpreti ciò che diciamo. Spesso non ha né tempo né voglia di provarci. E secondo le ricerche scientifiche le persone semplici da giudicare, più chiare nei loro messaggi, sono anche le più serene nella vita e le più soddisfatte delle loro relazioni umane.
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