Acqua e pesci ko: ancora forti i danni di Fukushima

Diciassette mesi dopo la catastrofe della centrale nucleare di Fukushima, il Giappone non smette ancora di contare i danni. Una conta, tra l’altro, che per un paese tra i maggiori consumatori di pesce al mondo, è fatta per la maggior parte in mare dove, in seguito al disastro, si è verificato il più grande rilascio …

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Diciassette mesi dopo la catastrofe della centrale nucleare di Fukushima, il Giappone non smette ancora di contare i danni. Una conta, tra l’altro, che per un paese tra i maggiori consumatori di pesce al mondo, è fatta per la maggior parte in mare dove, in seguito al disastro, si è verificato il più grande rilascio accidentale di radioattività.

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Proprio la fauna marina al largo delle coste della centrale, secondo uno studio effettuato da un esperto americano, Ken O. Buesseler, chimico marino della Woods Hole Oceanographic Institution e pubblicato sulla rivista Science, presenta livelli variabili di radionuclidi, in molti casi anche particolarmente elevati.

Se, infatti, per la maggior parte dei casi, pesci, crostacei e alghe mantengono livelli di contaminazione radioattiva ben sotto i limiti fissati per giudicarne sicuro il loro consumo alimentare, le acque nelle vicinanze di Fukushima presentano ancora concentrazioni di radionuclidi non trascurabili. Lo dimostrano gli elevati livelli di isotopi radioattivi di cesio riscontrati in particolar modo nel pesce che vive in prossimità dei fondali. Circa il 40 per cento di questi pesci ne supera i limiti. Un vera e propria catastrofe.

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Ma non finisce qui. Se, infatti, alcune specie non mostrano livelli apprezzabili di radionuclidi, per altre, invece, i livelli non sono mai scesi. Questo significa due cose: primo che non tutti i pesci si comportano allo stesso modo in termini di assorbimento e rilascio di radionuclidi e in secondo luogo che esiste ancora una fonte di radionuclidi attiva nell’oceano, probabilmente sotto forma di sedimenti contaminati. Se questo fosse vero, significherebbe avere a che fare con siti contaminati per almeno altre decine di anni.

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