Google Maps ha cancellato il piacere di perdersi

I vantaggi sono innegabili. Ma è scomparso il fascino del perdersi e ritrovarsi. Anche per conoscere noi stessi. E allenare la memoria

il piacere di perdersi

COSA ABBIAMO PERSO CON GOOGLE MAPS

Se devo tradurre i rischi dell’intelligenza artificiale, il caso emblematico si racchiude in una sigla: Google Maps.  Lo strumento che  ormai utilizziamo come una protesi elettronica per orientarci ovunque, dimenticando quello che perdiamo. Per esempio: il piacere di perdersi e poi ritrovarsi, un prezioso allenamento per la memoria, la possibilità di creare nuove relazioni. Diverse ricerche scientifiche hanno dimostrato che l’uso compulsivo di Google Map, con i suoi innegabili vantaggi, è uno spreco in quanto ci sottrae un esercizio utile per la memoria. Inoltre, mentre cercavamo una strada, una piazza, un luogo, capitava spesso, anche solo in un bar, di fare nuove conoscenze. Ma forse la sottrazione peggiore riguarda proprio la possibilità, con i suoi risvolti anche positivi, di sbagliare strada, e di ritrovarsi altrove.

IL PIACERE DI PERDERSI

Google Map si presenta, come fanno sempre i signori del web, con toni soffici, come «un servizio Internet  che consente la ricerca e la visualizzazione di carte geografiche». Ma è molto di più. E’ una sorta di protesi che ci accompagna durante un viaggio, quando abbiamo un appuntamento, se c’è da raggiungere una strada che non conosciamo a memoria. Immagino già l’obiezione: vuoi mettere? Tutto è diventato più semplice, più facile e più veloce. Tutto a portata di smartphone. Anche perché la tecnologia, tra i suoi imperativi ha anche quello di non prevedere mai, per nessun motivo, la possibilità di lasciarsi andare al fluire del tempo. Non nego i vantaggi di Google Map,  ma senza sentirmi un nostalgico credo che questo servizio sia un furto. Abbiamo perso il piacere di perderci.

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PERDERSI E RITROVARSI

Il fascino del perdersi, una delle cose cancellate con Internet, è legato a diversi fattori. C’è il mistero dell’abbandono, del sentirsi finalmente liberi da un vincolo, da un percorso, da un obiettivo. Ma c’è anche la voglia di ritrovarsi, di riprendere la strada che abbiamo smarrito. Due persone che si amano, si perdono. Il viaggiatore si perde nel suo desiderio di esplorare. Il Bello per essere vissuto con la massima intensità dei nostri sensi, ha bisogno di farci sentire perduti, smarriti di fronte all’emozione, allo stupore.

PARSIFAL A VENEZIA

Il maestro Giuseppe Sinopoli scrisse un libro meraviglioso, Parsifal a Venezia (edizioni Marsilio), forse la migliora guida per girare in libertà in laguna. Dopo le prove del Parsifal, una sera esce dal teatro La Fenice  e si perde nel labirinto delle calli. Si perde perché vuole perdersi, ma così costruisce una sua magica avventura con il luogo, lo gusta in tutta la sua bellezza, lo scopre angolo dopo angolo. E ne resta sempre stupito. Sinopoli affonda con la testa  e con il cuore nella giungla veneziana, e ne approfitta per riflettere persino sulla vita e sulla morte. Immaginate che avrebbe potuto fare qualcosa del genere con l’aiuto di Google Map?

PERDERSI 

Perdersi è conoscenza. Fuori e dentro di noi. Quando cercavamo  una strada, prima dell’arrivo di Google Map, dovevamo fermarci, scendere dalla macchina, accostare a un incrocio, e chiedere informazioni. Magari nella ricerca di un percorso ne usciva fuori  anche la possibilità di un approccio umano,  di una scoperta di un luogo o di una persona. Tutto all’insegna della sorpresa, e della gioia quando uscivamo dal labirinto. Adesso decide lo smartphone, che sugella il nostro autismo, anche quando cerchiamo una direzione stradale. E infine, perdersi è e resta una grande occasione di conoscenza interiore.  Scriveva il filosofo Henry David Thoreau: «Finché non ci perdiamo, non iniziamo a capire noi stessi».  Un piacere che Google Map ha sfilato dal portafoglio delle nostre emozioni.

I VALORI DA NON SPRECARE:

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