Stefania Giannini: la mia scommessa per una scuola che non spreca soldi e talenti

I fondi per la ricerca? Arrivano dall'Europa, non sprechiamoli. No al quiz per entrare a Medicina. Il valore legale del titolo di studio non è un tabù. Concorsi universitari: basta trucchi.

Poco dopo la sua nomina, ho incontrato Stefania Giannini, ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Ecco il testo dell’intervista che mi ha concesso.

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Signor ministro Stefania Giannini, mi permette di iniziare l’intervista rivolgendole un appello?

Prego.

Non annunci più riforme: ne abbiamo fatte fin troppe nell’università e nella scuola.

Condivido integralmente. Anzi, mi dica dove si sottoscrive l’appello e vado subito a firmarlo. Per quanto mi riguarda cercherò di fare il ministro semplificando, e non complicando ulteriormente le cose. Nella giungla delle leggi, dei decreti, dei regolamenti, si annidano le peggiori nefandezze.

Da dove pensa di partire, concretamente?

Da una scossa forte sul fronte della ricerca, una risorsa fondamentale per il sistema Paese.

Le chiedevo una cosa concreta…

Attuare il Piano nazionale per la ricerca significa stare in campo per accedere alle risorse che l’Unione europea, dove tra non molto inizierà il semestre a guida italiana, ha messo sul tavolo in questo settore: stiamo parlando di 80 miliardi di euro, tra il 2014 e il 2020. Sono soldi che possono cambiare la ricerca in Italia: non sprechiamoli.

E come faremo a non perderli e a non sprecarli?

Partecipando ai bandi con le giuste competenze, con professionalità e con rigore. Capisco: possono sembrare parole, ma io lavorerò perché diventino fatti.

Intanto continuiamo a fare l’elenco dei nostri cervelli che vanno all’estero.

Farei una distinzione: chi fa all’estero a studiare, a formarsi, a cogliere opportunità, è giusto che faccia un percorso. Chi va all’estero perché è costretto a fuggire dall’Italia, un Paese dove l’ascensore sociale è bloccato da troppi anni, è la vittima di un’ingiustizia.

Le segnalo che ormai un’intera generazione di giovani ha lasciato l’Italia, e appartiene alla seconda categoria.

Ecco, dobbiamo aiutare questi giovani, se lo vogliono, ad acquistare il biglietto di ritorno.

E dobbiamo avere un percorso a doppio senso: i nostri giovani nelle università all’estero, e ragazzi stranieri a studiare in Italia.

Sicuramente. Anche se qualche passo avanti è stato fatto: la popolazione di studenti universitari stranieri che sono in Italia nel 2004 era pari all’1,2 per cento del totale, oggi siamo oltre il 3 per cento.

Ha letto, intanto, le notizie sui concorsi universitari dove vengono premiati i peggiori candidati?

Ho letto, e non spetta a me commentare. Però credo che sia fondamentale avere un sistema di valutazione idoneo a premiare merito e professionalità, a qualsiasi livello. Mentre, a proposito di quello che dicevamo sulle troppe leggi, le segnalo che soltanto negli ultimi anni sono stati introdotti cinque, dico cinque, modelli diversi per fare i concorsi universitari. Dall’opacità e dalla sovrapposizione delle norme, spesso mascherate sotto il nome di un falso cambiamento, nascono i trucchi.

Lei fa parte di un governo che ha fatto del ricambio generazionale la sua cifra. Pensa che questo criterio possa valere anche nell’università?

Credo di sì. D’altra parte soltanto un cieco può negare la realtà: nell’università italiana da troppo tempo con c’è ricambio. Basta leggere le statistiche sull’età media dei docenti e dei ricercatori.

Nella ripartizione dei fondi del sistema universitario il Sud rischia di subire l’ennesima discriminazione. Pensa di porre rimedio a questa ingiustizia?

Farò una ricognizione precisa della situazione e prendo l’impegno a intervenire laddove ci sono zone e aree del Paese che soffrono ingiustamente per la ripartizione dei fondi. Intanto, come abbiamo detto a proposito del merito, abbiamo il dovere di affermare un principio di responsabilità nelle università e nell’uso delle risorse. Il passaggio del finanziamento dal numero di “bocche da sfamare” a quote che premiano la qualità di una università è ancora lento, troppo lento.

È favorevole agli accorpamenti di sedi universitarie previsti dalla riforma Gelmini?

La regola di base che non tutti possono fare tutto mi sembra corretta. Poi bisogna capire le singole situazioni, e scommettere sull’autonomia delle università.

Grazie alla quale, però, molti professori hanno moltiplicato cattedre e corsi. Anche inutili.

Questo è un film dell’orrore, che però appartiene al passato. Adesso, anche se lentamente, si sta cercando di porre rimedio e ancora una volta diventa determinante una cultura della valutazione, del merito e della responsabilità.

È favorevole o contraria all’abolizione del valore legale del titolo di studio?

Bella domanda da 100 milioni di euro…

E la risposta?

Ho una cultura politica liberale e per me, ma è un’opinione personale, il valore legale del titolo di studio non è un tabù.

Che cosa pensa delle tortura dei quiz di accesso all’università di Medicina, molto simili a quelli per le patenti di guida?

Innanzitutto penso che quando facevo il rettore a Perugia non avevo, forse per mia fortuna, anche la facoltà di Medicina. La soluzione dell’accesso a questo tipo di facoltà non è semplice, ma non posso negare che sono molto perplessa di fronte al meccanismo dei quiz.

E le sembra normale che si chiudono le porte a giovani studenti in medicina, laddove in Italia servono e serviranno medici?

La risposta è ovvia: non è normale.

Sulla scuola le vorrei fare solo due domande, perché altrimenti avremmo bisogno di un’altra intervista. Prima domanda: la valutazione delle scuole e degli insegnanti è giusta?

È una priorità per un sistema formativo che voglia essere all’altezza degli interessi dei cittadini, delle famiglie e di tutti coloro che lavorano, anche con generosità, nel mondo della scuola.

Seconda domanda: che cosa possono, ragionevolmente, aspettarsi da questo governo gli insegnanti scolastici pagati male e dequalificati?

Se facessi promesse troppo semplici non sarei una persona seria. Però il problema mi è chiaro, ed è ben presente tra le mie priorità.

Serviranno soldi, signor ministro, e anche in questo caso bisognerà non sprecarli.

Siamo sempre nel triangolo di merito e valutazione, responsabilità, autonomia. Quanto ai soldi, questa domanda mi consente di dirle una cosa fondamentale per il successo della nostra politica nel settore della scuola, dell’università e della ricerca: non basta la buona volontà e, se permette, la passione di un ministro. Servono scelte e azioni collegiali, e serve un governo che nel suo insieme produca la svolta.

D’accordo. I soldi quindi li chiederà al ministro Padoan?

Li chiederò al capo del governo e al ministro Padoan. E sono sicura che proveremo insieme a vincere questa scommessa.

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