Il coraggio di dire basta: Vontae Davis, un giocatore di football americano, si è ritirato nel mezzo di una partita che stava disputando

Preoccupato per la sua incolumità fisica, dopo decine di infortuni pericolosi, ha deciso di porre fine alla sua carriera agonistica, rinunciando a 5 milioni di dollari. Una decisone che gli è costata molte critiche ma che nasconde il coraggio di dare una svolta alla propria vita, anche quando tutto il mondo è convinto non sia la strada giusta da percorre

RITIRO VONTAE DAVIS

“Oggi sul campo la realtà mi ha colpito forte, all’improvviso. La verità è che non dovrei più essere là fuori”. Con queste parole Vontae Davis, un veterano con alle spalle dieci anni di National football league (Nfl, il massimo campionato di football americano negli Stati Uniti), ha deciso di mettere fine alla sua carriera agonistica. Una decisione che è maturata dopo lunghi mesi di riflessione ma che è esplosa in maniera molto scenica: il cornerback dei Buffalo Bills, infatti, ha mollato tutto durante l’intervallo di una partita che stava giocando. Davis è rientrato negli spogliatoi e non è più uscito, annunciando all’allenatore di non sentirsi più all’altezza e di temere seriamente per la propria salute.

Il ritiro del giocatore ha sollevato nell’immediato un gran polverone, alzato anche dai suoi stessi compagni di squadra che si sono sentiti traditi e che non hanno giustificato il profondo disagio che stava vivendo Davis. Il football, come tanti altri sport di squadra, vive sull’esaltazione del collettivo che viene sempre messo prima del singolo. Per questa ragione “mollare” o non lottare per la squadra viene considerato un atto di “alto tradimento”. Eppure la decisione di Davis racconta la difficoltà di uomo che, arrivato all’esasperazione, ha avuto il coraggio di dire bast, andando incontro a una serie di spiacevoli conseguenze.

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IMPORTANZA DELLA SALUTE

Ritirandosi durante la stagione Davis dovrà rinunciare, infatti, a 5 milioni di dollari, e caricarsi del discredito di milioni di fan, che probabilmente riescono a vedere solo i “privilegi” di cui può godere un atleta professionista. Questi aspetti, a partire dalla popolarità e dal ritorno economico, sono lampanti ma nascondono delle difficoltà, dei sacrifici che spesso gli osservatori tendono a sminuire. In realtà, gli atleti, come tutti i lavoratori sono sottoposti a un livello di stress sia emotivo che fisico che può arrivare a un punto di rottura, oltrepassato il quale si fa fatica a tornare indietro. “Con la mia scelta”, ha spiegato Davis in un comunicato pubblicato dopo la partita, “non voglio mancare di rispetto a nessuno, né compagni, né allenatori, ma mi sono abituato ad essere in grado di esprimermi su determinati standard in campo. Questo non è più fisicamente possibile, non ero a mio agio e mi sentivo fuori luogo. Ho preso questa decisione in funzione della mia famiglia e della mia salute sperando che Dio abbia in serbo cose buone per me in futuro”.

Un domani che per Davis rischiava di essere seriamente pregiudicato dagli infortuni che, in uno sport come il football americano, possono avere anche risvolti drammatici. Sono molti, infatti, gli atleti che negli anni hanno contratto malattie molto gravi: basti pensare che, stando ai dati pubblicati nel 2017 in uno studio apparso sul Journal of the American Medical Association, su 202 giocatori esaminati, 110 avevano l’encefalopatia traumatica cronica (CTE), una sindrome causata dall’accumularsi di ripetute commozioni cerebrali.

IL CORAGGIO DI DIRE BASTA

Alla luce di questi dati e considerando la rinuncia economica a cui è andato incontro Davis, la sua scelta si sveste dei connotati della codardia e assume caratteri molto più vicini al coraggio. Dopo centinaia di intercetti, placcaggi, vittore, sconfitte, gioie e dolori, il cornerback ha deciso di andare contro il sistema che rischiava di stritolarlo. Una scelta, quella dell’addio, che ha più volte ponderato anche Per Mertesacker, difensore della nazionale tedesca di calcio (con cui ha vinto anche la coppa del mondo) e a lungo calciatore dell’Arsenal. “Noi calciatori – ha spiegato in una recente intervista – veniamo valutati solo per le nostre prestazioni, non si gioca per divertirsi ma bisogna rendere sempre al meglio senza giustificazioni. Questo è l’ultimo anno in cui giocherò, non ce la faccio veramente più. Preferisco stare in panchina o meglio ancora in tribuna. Nei momenti che precedono la partita il mio stomaco gira come se dovessi vomitare. Ormai so come devo fare, è come se simbolicamente vomitassi tutto quello che viene dopo il fischio d’inizio”. Dichiarazioni difficili da capire, e forse non condivisibili, quando dette da un professionista profumatamente pagato ma che sicuramente rendono l’idea di quanto non sia tutto oro ciò che luccica.

Le foto sono tratte dalla pagina Twitter di Vontae Davis.

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