Smart working, che non diventi una vacanza. O l’occasione per sfruttare i lavoratori

La differenza sostanziale tra smart working e telelavoro. Sei milioni di famiglie in Italia sono senza accesso a Internet. Che facciamo? Licenziamenti in blocco?

SMART WORKING SOSTENIBILE

Lo smart working, più semplicemente il lavoro da casa, è una straordinaria opportunità da non sprecare annacquandola con abusi, grandi e piccoli, e distorsioni. Innanzitutto capiamoci di che cosa parliamo. Lo smart working non è l’equivalente del telelavoro e la differenza tra i due metodi è sostanziale.

PROBLEMI SMART WORKING

Il telelavoro significa semplicemente che non si lavora mai in un ufficio, ma sempre da casa o da altro luogo. È un metodo organizzativo a senso unico. Lo smart working, al contrario è un meccanismo saltuario che alterna attività in ufficio e lavoro da casa. In pratica, la settimana in ufficio si riduce, con orari di lavoro invariati, e si prevedono alcuni giorni, non tutti, con modalità remota. È chiaro che la pandemia, con l’intera settimana lavorativa consumata da casa, è stata un’eccezione destinata a rientrare.

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CRITICITÀ SMART WORKING

Chiarito il contenuto, per non sprecare le potenzialità dello smart working è necessario che migliorino, anche da un punto di vista retributivo, le condizioni di lavoro da un lato e la produttività dall’altro versante. La forza di questo metodo, infatti, è che se non facciamo i furbi e utilizziamo con intelligenza la tecnologia, i vantaggi sono, a cascata, per tutti.

Traduciamo i vantaggi e i rischi dello spreco, esaminando la situazione nel settore pubblico e in quello privato. Stando a quello che dicono in molti e da più parti, lo smart working dei dipendenti pubblici si è già tradotto in un danno enorme per tutti: un assenteismo no stop. Questo sito non ha alcun pregiudizio nei confronti dei colletti bianchi ma certo fa riflettere la sentenza di un padre della Pubblica amministrazione italiana, il professore Sabino Cassese, secondo il quale “lo smart working nella pubblica amministrazione per molti è stata una grande vacanza“. Stesso concetto già espresso dal professore Pietro Ichino, un’altra autorità in questo settore.

Capite bene che in queste condizioni lo smart working fa solo danni e sprechi. E contribuisce a un’ulteriore rottura del rapporto fiduciario tra cittadini e pubblica amministrazione, che talvolta significa Stato in senso lato. Eppure una soluzione ci sarebbe, per mettere ordine in questa sfera che comprende diritti e doveri dei lavoratori: calcolare, non in modo ossessivo ma con regolarità e trasparenza, la loro produttività. Dimostrando in modo inequivocabile che in ufficio o da casa i risultati della PA sono gli stessi, e semmai migliorano grazie alle  migliori condizioni in cui si trovano i dipendenti. Purtroppo, il sindacato, molto potente nella Pubblica amministrazione, di fronte alla sola ipotesi di misurare la produttività nei vari livelli del pubblico impiego, alza le barricate. Con una posizione di retroguardia che non tutela l’immagine dei lavoratori pubblici considerati poco meno che degli sfaccendati da smartworking.

COME GESTIRE AL MEGLIO LO SMART WORKING

Un imprenditore privato ha molti strumenti, e anche più elastici, per misurare la produttività di ciascun dipendente e di ogni reparto dell’azienda. Dunque, qui il campo dei doveri risulta più facile da coprire. Mentre, e il sindacato fa bene a porre il tema, è scoperto il fronte dei diritti. Lo smart working non significa aumentare in modo surrettizio l’orario di lavoro senza retribuire gli straordinari. Un dipendente non può iniziare la giornata alle 8 del mattino con un call via Skype e finirla 12 ore dopo con una riunione via Zoom. Questo si chiama sfruttamento, altro che lavoro da casa. La tecnologia consente un’enorme elasticità nel metodo di lavoro, ma non si può tradurre in assenza di orari, di pause e di ritmi, con relative scadenze, analoghi a quelli del lavoro in ufficio. Non è che con lo smart working diventiamo tutti dei supermen a vantaggio dei datori di lavoro.

E tra i diritti vanno particolarmente tutelati quelli delle donne. Sappiamo bene che la cura della famiglia e oltre l’80 per cento dei lavori domestici ricadono, in Italia, sulle spalle delle donne. Se lo smart working dovesse tradursi anche per un solo giorno  in un ulteriore carico di questo lavoro femminile, costringendo la donna a passare la sua vita in una prigione chiamata casa, allora meglio farne tutti a meno. Semmai dovrebbe valere la regola contraria: più lavoro da casa per uomini e donne, e meno lavoro domestico solo per le donne. 

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Tra gli sprechi dello smart  working ne segnaliamo, infine, due che non possono essere taciuti nell’euforia per l’uso innovativo di questo strumento. Il primo è l’isolamento delle persone. Il lavoro è anche creatività relazione, discussione, contatto umano, contaminazione di braccia e di  idee. Vicinanza. Questo patrimonio non può spegnersi con il clic dell’interruttore tecnologico: è un errore fatale, che danneggia le aziende e chi lavoro al loro interno. Solo se non smontiamo una più che secolare cultura del loro possiamo immaginare che l’innovazione possa continuare a fare il suo percorso e andare a seminare nuovo vantaggi per tutti e non per il club dei soliti noti. D’altra parte provate a pensare a ciò che hanno realizzato, in termini di cambiamento, aziende come Google, Facebook, Apple: avrebbero mai potuto farlo senza consentire a  migliaia di  persone di condividere, dal vivo, in un ambiente di lavoro fisico e non virtuale, l’innovazione tecnologica e i relativi cambiamenti? 

SMART WORKING SOSTENIBILE

Il secondo spreco riguarda il microcosmo dell’ufficio. Non è una banalità, e non è un mondo irrilevante. Un’intera economia, fatta di bar,ristoranti, paninoteche ed enoteche, negozi al dettaglio e supermercati di quartiere, si regge sul sistema del lavoro dal vivo. Per esempio sui consumi durante le pause pranzo. Spostare troppo gli equilibri organizzativi verso lo smart working significa fare danni irreversibili a un sistema fatto di filiere, dal produttore al consumatore, che non possono reinventarsi con facilità. Anche in questo caso, e specie nelle grandi città, serve senso della misura, responsabilità e realismo. Senza stare a suonare retorici inni a favore di una specifica soluzione lavorativa, ma consentendo una sana competizione tra le diverse possibilità organizzative del lavoro.

Piuttosto se vogliamo davvero investire sullo smart  working afferriamo al volo la sua premessa: la rete infrastrutturale. Sei milioni di famiglie, il 24 per cento del totale, non usano Internet, anche per irrisolti problemi di accesso. E un terzo di queste famiglie vivono nelle regioni meridionali. D’altra parte l’Italia, anche i n questo caso con ritardi concentrati al Sud, è in fondo alla classifica dei paesi europei per dotazione e modernizzazione della tecnologia digitale. L’enorme flusso di denaro che arriva con i fondi, anche europei, per la ripresa post-Covid dovrebbe essere impegnato, in una parte non irrilevante, proprio per questo obiettivo: dotare l’Italia di una rete tecnologica infrastrutturale all’altezza del Ventunesimo secolo. Nell’indice Ue su economia e società digitali (Desi), che misura i progressi dei paesi dell’Unione europea sulla base di 34 indicatori, l’Italia si posiziona al quartultimo posto. Peggio di noi ci sono solo Romania, Grecia e Bulgaria.

Se non si spezza il cappio di questo ritardo, e si allarga ciò che già esiste, il digital divide,  il lavoro da casa invece che portare più benessere e più sostenibilità nella case di tutti, andrà a scavare nuovi solchi in termini di differenze sociali e di reddito. Nuove ingiustizie. Avremo una minoranza di lavoratori di serie A che potranno fare, con tutta tranquillità l’alternanza del lavoro tra ufficio e casa, risparmiando sulle spese, dai trasporti ai pranzi, e  vivendo meglio. E poi avremo una maggioranza di lavoratori di serie B che vedranno un arretramento della loro condizione, in diversi modi e con un unico sbocco: vivranno peggio.

Tracce di questo slittamento verso il basso già si sono viste. Ci risultano aziende che hanno messo in cassa integrazione i loro lavoratori che non avevano un buon collegamento con la rete Internet. Oppure che hanno chiesto ai dipendenti svantaggiati, per la minore dotazione tecnologica da casa e quindi per la minore reperibilità e garanzia di qualità del lavoro, di accettare una riduzione dello stipendio. E questo più che smart working si chiama ricatto

UFFICIO: IDEE E CONSIGLI PER LAVORARE IN MODO SMART E SOSTENIBILE

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