MORTI SUL LAVORO IN ITALIA
Luca Savio, 40 anni, è uno dei martiri della gig economy, l’economia dei lavoretti, il baratro di un surrogato del lavoro, senza regole e senza garanzie. È stato travolto da un blocco di marmo, mentre era all’opera vicino al porto di Carrara: aveva un contratto di 6 giorni, e andava avanti, con una moglie e una figlia di 8 mesi, a colpi di precarietà.
Le indagini serviranno a chiarire le possibili responsabilità dell’azienda e in quali condizioni davvero lavorava Luca. Ma fin da adesso la sua posizione rasenta l’assurdo: non si può accettare che un uomo svolga un’attività tanto delicata e rischiosa, il lavoro in una cava, con le stesse modalità della consegna di un pasto a domicilio. Sei giorni possono essere il periodo di uno straordinario, in presenza di un ciclo imprevisto di ordini, ma non la regola di un rapporto di lavoro in un settore così impervio.
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NUMERO MORTI SUL LAVORO
C’è qualcosa di mostruoso che sta avvenendo nella betoniera del mondo del lavoro, sempre più deregolamentato, sempre più flessibile fino a forme moderne di schiavismo. C’è un silenzio angosciante, il frutto velenoso di un’indifferenza e di un’acquiescenza che lasciano attoniti, di fronte a una nuova impennata dei morti sul lavoro. Nel 2017, in Italia, sono stati 632, in pratica 2 al giorno; nei primi sei mesi del 2018 siamo già a 384, con un aumento del 20 per cento. Coincidenze? Fatalità? Non ci credo. Ed è da ipocriti cavarsela dicendo che se andiamo a prendere statistiche di lungo periodo, le morti sul lavoro negli ultimi trent’anni, questi incidenti stanno diminuendo. Che cosa significa? Forse dobbiamo arrivare ai tempi della prima rivoluzione industriale quando nelle miniere si moriva come mosche, per dire che comunque abbiamo fatto progressi?
MORTI SUL LAVORO
Luca Savio è un martire perché la sua morte denuncia l’eclissi dei diritti nell’universo del lavoro. Dopo un intero secolo, il Novecento, di sanguinose conquiste, di avanzamenti e di maggiori tutele e riconoscimenti, stiamo paurosamente arretrando. Questa è la verità dei fatti. Una politica dei diritti nel campo del lavoro è tutta da ricostruire, da rimettere in piedi, e non può essere affidata ad azioni estemporanee di un singolo ministro o di un singolo partito. Deve tornare al centro di un’azione collettiva, di obiettivi che danno senso e significato alla politica.
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INCIDENTI SUL LAVORO IN ITALIA
Stesso discorso per il sindacato. Oggi Cgil, Cisl e Uil, insieme, possono contare su circa 11milione e 800 aderenti, peccato però che si tratta in gran parte di pensionati e di lavoratori pubblici. Senza recuperare almeno una quota dei lavoratori precari, come Luca, che già adesso sono attorno al mezzo milione di unità, il sindacato esiste, ma vive fuori dal mondo.
Un lavoro, per giunta rischioso, non può boccheggiare di giorno in giorno, non può reggere a suon di proroghe contrattuali da cottimo agricolo stagionale. Così perde senso, valore, riconoscibilità. E galleggia nel mare aperto dove non esistono protezioni e tutele, e dove la morte sul lavoro diventa molto di più di una remota possibilità.
(Fonte immagine di copertina: Il Tirreno)
QUANDO IL LAVORO NON È RISPETTATO:
- Dopo 30 anni di lavoro l’azienda lo licenzia in tronco: “Non servi più. Abbiamo un robot che fa meglio il tuo lavoro”
- Un mestiere impossibile in Italia? La mamma. Fa l’equilibrista, e se resta incinta perde il lavoro
- Un Primo Maggio molto triste. Circa un milione di italiani sono al lavoro. E allora di che festa parliamo?
- Lavoro domestico, per le donne vale cinque ore al giorno. Ma allora perché non farselo pagare?