
Molti considerano la
meditazione un
modo esotico di sognare
a occhi aperti
o un facile rimedio
allo stress. Dovrebbero
provarla. È piuttosto diicile, almeno
all’inizio: al mio primo tentativo, invece di
concentrarmi sul respiro e di lasciar andare
tutto quello che sorge nella mente, come
diceva il mio sorridente maestro tibetano,
sono stato distratto da una serie di pensieri
angoscianti e poi mi sono addormentato. A
quanto pare, ai principianti succede spesso.
I meditanti esperti, però, assicurano che
vale la pena di insistere. “Con l’esercizio
possiamo trasformare la nostra mente, superare
le emozioni negative e far svanire le
sofferenze”, spiega il monaco buddista
Matthieu Ricard. “Le tecniche di meditazione
buddista sviluppate nel corso dei secoli
possono essere usate da chiunque. Servono
solo entusiasmo e perseveranza”.
Sembra tutto molto allettante, ma cosa dice
la scienza al proposito?
Sui mezzi d’informazione leggiamo
spesso che la meditazione può trasformare
la nostra vita, ma solo di recente sono state
fornite delle prove empiriche. Negli ultimi
dieci anni alcuni ricercatori hanno usato la
risonanza magnetica funzionale per analizzare
l’attività cerebrale sia di meditanti esperti
come Ricard sia di principianti, verificando
gli effetti delle diverse tecniche
meditative sulla capacità cognitiva, sul
comportamento, sulla salute psicoisica e
sulla plasticità cerebrale dei soggetti.
Sta emergendo una teoria scientifica
secondo cui la meditazione può efettivamente
modiicare alcuni aspetti della psicologia,
del carattere e della salute isica di
una persona.
La traccia delle sensazioni
“Analizzare il funzionamento della nostra
mente è sicuramente utile”, spiega Cliford
Saron del Center for mind and brain
dell’università della California a Davis. “Si
può adottare anche un approccio empirico
alla meditazione, limitandosi a considerare
le dinamiche dell’esperienza”. Saron dirige
il progetto Shamatha, uno dei più ambiziosi
studi scientifici sulla meditazione. Nel
2007 lui e i suoi colleghi psicologi e neuroscienziati
hanno seguito sessanta meditanti
esperti durante un ritiro di tre mesi in
Colorado per osservare i cambiamenti dello
loro capacità mentali, e del loro benessere
psicologico e isiologico. I partecipanti si
sono dedicati per almeno cinque ore al giorno
alla meditazione concentrata in cui si
focalizza l’attenzione sulle sensazioni del
respiro.
Coordinati da Katherine MacLean, della
facoltà di medicina dell’università Johns
Hopkins a Baltimora, i ricercatori hanno
misurato la capacità di attenzione dei volontari
mostrandogli una serie di linee verticali
che apparivano sullo schermo di un
computer. Quando vedevano una linea più
corta delle altre, dovevano fare un clic con
il mouse. MacLean e i suoi colleghi hanno
notato che con il passare dei giorni i volontari
erano sempre più precisi e mantenevano
più facilmente la concentrazione per
lunghi periodi di tempo.
Anche altri ricercatori hanno individuato
una correlazione tra questa tecnica di
meditazione e la maggiore capacità di attenzione.
Nel 2010 un’équipe guidata da
Antoine Lutz del Waisman laboratory for
brain imaging and behavior dell’università
del Wisconsin-Madison ha osservato che
alcuni volontari, dopo tre mesi di meditazione
concentrata, erano in grado di identiicare
più rapidamente le tonalità diverse in
una successione di suoni simili tra loro. Nel
2007, invece, Heleen Slagter, una collega di
Lutz che insegna all’università di Amsterdam,
ha pubblicato i risultati di una ricerca
basata su una combinazione di meditazione
concentrata e meditazione di consapevolezza.
Quest’ultima tecnica prevede il
controllo costante dell’esperienza meditativa,
momento per momento. Dopo tre mesi
di pratica per almeno dieci ore al giorno,
le persone che hanno partecipato all’esperimento
di Slagter hanno mostrato una diminuzione
dell’attentional blink, il ritardo
cognitivo nella percezione di uno stimolo
(che di solito è di circa mezzo secondo) che
può provocare la perdita dello stimolo, come
quando appaiono due numeri in rapida
successione su uno schermo e non si riesce
a leggere il secondo.
L’ipotesi secondo cui la meditazione
migliora la capacità di attenzione merita di
essere presa seriamente in considerazione,
visto che la concentrazione ha un ruolo fondamentale
in molti aspetti della nostra vita.
Ma perché fare attenzione al respiro provoca
un cambiamento così marcato delle no
stre capacità cognitive? Una risposta possibile
è che in questo processo entra in gioco
la “memoria di lavoro”, cioè la capacità di
tenere a mente le informazioni necessarie
a capire e a ragionare su una questione nel
breve termine.
Sentirsi meglio
Il collegamento con la meditazione è stato
individuato di recente da Amishi Jha
dell’università di Miami a Coral Gables. La
ricercatrice ha insegnato a un gruppo di
marines come concentrarsi usando le tecniche
della meditazione di consapevolezza,
scoprendo poi che questo esercizio potenziava
la loro memoria di lavoro. Secondo
MacLean, la meditazione ci costringe
anche a far caso ai continui cambiamenti
delle nostre esperienze sensoriali, sviluppando
quindi la capacità di conservare la
traccia delle informazioni sensoriali chetendono a dissolversi nel breve termine.
MacLean e altri scienziati sono anche
convinti che la meditazione raforzi un’abilità
cognitiva centrale ancora sconosciuta
che si attiva nei processi percettivi di base.
“È come un muscolo che può essere usato
in molti modi diversi”, spiega Mac Lean.
Una volta sviluppata questa abilità, la percezione
richiede uno sforzo minore e il cervello
può destinare una parte maggiore
delle sue limitate risorse alla concentrazione.
Questa ipotesi è confermata da alcune
misurazioni dell’attività elettrica del cervello
efettuate da Slagter durante l’esperimento
sull’attentional blink: a mano a mano
che si allenavano nella meditazione, i volontari
usavano meno risorse per elaborare
il primo stimolo e riuscivano più facilmente
a riconoscere il secondo.
Oltre a migliorare le capacità cognitive,
la meditazione sembra avere un effetto positivo
anche sul benessere emotivo. I ricercatori
del progetto Shamatha sono giunti
alla conclusione che la meditazione rende
le persone meno ansiose, più consapevoli
delle proprie emozioni e più brave a gestirle.
I volontari che hanno partecipato
all’esperimento di MacLean sono diventati
più bravi anche in un altro test in cui, issando
uno schermo, dovevano fare clic con il
mouse tutte le volte che appariva una linea
più lunga delle altre e resistere all’impulso
di farlo quando appariva una linea più corta.
È un compito più diicile di quanto sembra
perché le linee corte apparivano molto
raramente. Secondo Baljinder Sahdra,
dell’università della California a Davis, la
meditazione ci aiuta a “reprimere l’impulso
a reagire a stimoli che possono essere
emotivamente molto intensi”. Questo freno,
aggiunge Sahdra, sembra avere un ruolo
fondamentale per un sano controllo delle-emozioni.
L’idea che la meditazione renda
le persone meno reattive dal punto di vista
emotivo è confermata anche dall’esame
dell’attività cerebrale. Un’équipe guidata
da Julie Brefczynski-Lewis dell’università
della West Virginia a Morgantown ha usato
la risonanza magnetica per studiare i meditanti
“in azione”. E ha scoperto che l’amigdala
(che svolge un ruolo fondamentale
nell’elaborazione delle emozioni e dei ricordi)
era molto meno attiva nei meditanti
esperti rispetto ai principianti.
In allenamento
La capacità di gestire le emozioni potrebbe
essere anche la chiave per capire perché la
meditazione può migliorare la salute isica.
Diversi studi hanno dimostrato che è una
terapia eicace per chi sofre di disturbi alimentari,
per chi abusa di sostanze, per chi è
affetto da psoriasi, depressione o dolore
cronico. Nel 2010 lo psicologo Fadel Zeidan,
della facoltà di medicina della Wake
Forest university a Winston-Salem, ha veriicato
che i volontari presentavano una minore
sensibilità al dolore dopo poche sedute
di meditazione di consapevolezza. Secondo
Zeidan, la meditazione non elimina
la sensazione di dolore, ma aiuta chi sofre
a controllare le reazioni emotive e a ridurre
la risposta allo stress. Zeidan sta usando la
risonanza magnetica funzionale per cercare
di capirne le cause. “La consapevolezza
di poter alleviare molti disturbi da soli ci
rende più forti”, spiega.
L’efetto positivo della meditazione sul
benessere psicologico potrebbe anche spiegare
alcune recenti scoperte dei ricercatori
del progetto Shamatha, secondo cui esercitarsi
regolarmente nella meditazione può
portare a un notevole aumento dell’attività
della telomerasi, un enzima che protegge
l’organismo dall’invecchiamento cellulare
e che viene inibito dallo stress psicologico.
Le emozioni potrebbero essere anche
all’origine di un altro efetto positivo della
meditazione. Una delle questioni più interessanti
della ricerca è se la meditazione
possa raforzare i legami emotivi con le altre
persone. Alcuni studi compiuti con la
risonanza magnetica funzionale da Lutz e
dalla sua équipe mostrano che i circuiti cerebrali
connessi all’empatia e alla condivisione
delle emozioni, come l’insula e la
corteccia cingolata anteriore, sono molto
più attivi nei meditanti esperti rispetto ai
principianti.
Secondo Margaret Kemeny dell’università
della California a San Francisco, la
compassione è un concetto complesso che
probabilmente implica una serie di capacità
emotive. “Per essere compassionevoli,
occorre innanzitutto riconoscere che l’altro
sta provando una reazione negativa. Poi bisogna
pensare a quale potrebbe essere una
risposta positiva. Inine, occorre essere motivati
a fare qualcosa per risolvere il problema”.
In altre parole, è diicile potenziare la
capacità di compassione di un individuo
senza migliorare il suo equilibrio emotivo.
Nel 2009 presso l’università di Stanford,
in California, è stato inaugurato un
istituto per lo studio degli aspetti neurobiologici
dell’empatia e della compassione. Il
Center for compassion and altruism research
and education (Ccare) – che è inanziato
da neuroscienziati, da imprenditori della
Silicon valley e dal Dalai Lama – ha già promosso
una serie di progetti di ricerca.
L’obiettivo è scoprire quali sono gli efetti
sul cervello di un particolare tipo di meditazione
in cui i partecipanti si concentrano sul
raforzamento dell’amore verso gli altri, e
ino a che punto questa pratica possa sviluppare
l’empatia e la compassione.
L’ipotesi che la meditazione rafforzi
questi sentimenti ha spinto lo psicologo
Paul Ekman e Alan Wallace, maestro buddista
e presidente del Santa Barbara institute
for consciousness studies, a proporre la
creazione di “palestre” per l’allenamento
mentale. Come i centri per l’attività isica,
queste palestre ofrirebbero la possibilità di
imparare a migliorare il proprio equilibrio
emotivo, sviluppare la capacità di compassione
e misurare i livelli di stress.
Qualcuno ha afermato che la meditazione
potrebbe diventare un’alternativa
alle cure mediche. Anche se può sembrare
una buona idea, Saron è scettico. Il professore
californiano teme che, considerando
la meditazione come un facile rimedio, si
trascurino alcuni dettagli indispensabili per
praticarla correttamente. “Quando riportiamo
la mente in concentrazione, dobbiamo
essere delicati ma al tempo stesso fermi, senza sviluppare un senso di sconitta
ogni volta che ci distraiamo”, spiega Saron.
Il principale vantaggio della meditazione
è che può essere praticata da chiunque e
ovunque. E non occorre essere un esperto o
allenarsi per cinque ore al giorno per trarne
beneicio. Nell’esperimento sul dolore condotto
da Zeidan, i principianti hanno mostrato
dei miglioramenti dopo essersi esercitati
per soli venti minuti al giorno per tre
giorni. In un secondo esperimento, Zeidan
ha riscontrato che sedute altrettanto brevi
possono migliorare le prestazioni cognitive
in attività che richiedono un’attenzione costante,
come la memorizzazione e la ripetizione
di una serie di cifre.
Lavoro a tempo pieno
“Anche dei brevi esercizi di meditazione
possono produrre cambiamenti sostanziali
nell’attività cerebrale”, spiega Richard Davidson,
direttore del laboratorio Waisman.
Secondo Davidson, i dati raccolti in un nuovo
studio compiuto dai suoi ricercatori rivelano
“cambiamenti dimostrabili nell’attività
cerebrale” dopo appena due settimane di
pratica per trenta minuti al giorno.
Per un principiante come me, è una buona
notizia. Resta il fatto che più tempo dedichiamo
alla meditazione e maggiore sarà
l’impatto sul nostro cervello. Una ricerca
efettuata da Brefczynski-Lewis, per esempio,
ha rivelato una serie di cambiamenti
nell’attività cerebrale che dimostrano come
ai meditanti esperti basti uno sforzo cognitivo
minimo per mantenere la concentrazione.
Questo particolare effetto, tuttavia,
è evidente solo in soggetti che hanno dedicato
circa 44mila ore alla meditazione:
l’equivalente di venticinque anni di lavoro a
tempo pieno.
Probabilmente la maggior parte di noi
non raggiungerà mai quel livello di trascendenza
ma è senz’altro un obiettivo a cui
aspirare.