Possiamo ancora definirci persone libere?

Andiamo a vedere da vicino che cosa ci è rimasto, nel pubblico e nel privato. E ci accorgiamo che la nostra libertà dipende innanzitutto da noi. E non l’abbiamo ancora persa.

cosa significa essere liberi scaled

Quale libertà ci è rimasta? Non è una domanda da pessimismo cosmico, ma una realistica presa d’atto di dove ci troviamo, come venirne fuori ragionevolmente, anche a piccoli passi, senza concedere nulla allo sterile e controproducente lamento. Gli spazi di libertà, un tempo si chiamavano proprio così, si sono ristretti, a fronte a una cavalcata inarrestabile della tecnologia, abbinata alla finanza, che ci aveva promesso, mentendo spudoratamente, la sovranità della persona, e invece ci ha consegnato diverse forme di schiavitù.

Ma siamo sicuri, comunque, di essere meno liberi di un tempo? O piuttosto la differenza la possiamo fare sempre noi, non sprecando uno dei beni immateriali più preziosi che abbiamo, e andando a conquistare, uno per uno, gli spazi che mancano all’appello.

Proviamo a misurare il termometro della libertà in alcuni gironi della vita pubblica e privata. La democrazia, sicuramente, è in una fase di parziale eclissi, sostituita in diverse aree geografiche del pianeta da forme di autocrazia molto evidenti e sganciate dalle tradizionali divisioni, destinate a essere comunque eterne, tra destra e sinistra. Il mondo con l’assetto tripolare (Stati Uniti-Cina-Russia) e con gli essenziali organismi internazionali, come l’Onu,svuotati e paralizzati fino all’eutanasia, è nelle mani di tre autocrati, per giunta eletti dal popolo (poi bisogna vedere come…) e non arrivati al potere con i carri armati.

Ma certo non possiamo dire che stavamo meglio nel secolo scorso, quando alcune dittature, in primis il criminale nazismo, hanno portato alla perdita totale della libertà di milioni di donne e uomini, allo sterminio di un popolo, e a una devastante guerra mondiale (la seconda) strettamente collegata alla precedente (la prima). Non vediamo nulla, ma proprio zero, da rimpiangere di quel mezzo secolo insanguinato. 

Un grande presidente americano, paladino della libertà di tutti i popoli, Franklin D. Roosevelt, diceva: «In tempi di crisi, la libertà non è un diritto acquisito, ma un privilegio da guadagnare e difendere». E la Storia ci ha trascinato in uno dei suoi cicli di crisi, nel quale la libertà va (ri)conquistata e non data per persa, e quindi sprecata. 

Come? Riscoprendo la nostra dimensione di cittadini, e non restringendola solo al momento del voto popolare, al quale tra l’altro partecipiamo sempre meno. Abbiamo tutti gli strumenti, e qui la tecnologia se ben usata ci aiuta, per essere in campo, dire la nostra, farci sentire, contare. Non è vero che siamo atomi, ma certo abbiamo bisogno di recuperare l’energia e la forza di azioni collettive, che passano anche per una partecipazione più diretta alla vita pubblica e una presenza nei luoghi dove si decide

Gli spazi sono pochi, e gli autocratici, piccoli e grandi, sono tanti? Le classi dirigenti che si vedono all’orizzonte sono modeste? Intanto proviamo ad avanzare senza rassegnarsi, compito che, per evidenti motivazioni (è perfino superfluo ricordarle), spetta innanzitutto alle nuove generazioni. E noi siamo sicuri che loro ci possono riuscire, anche se oggi si tappano il naso per il tanfo che sentono soltanto parlando di politica, di partiti, di amministrazioni pubbliche.

Un’altra libertà che non dobbiamo assolutamente dare per persa, con i soliti inutili vaticini, è quella di noi come consumatori. Siamo schedati, profilati, indotti ogni secondo al consumo, anche quello compulsivo e sprecone,ingannati (per esempio dalle etichette della falsa sostenibilità), tartassati. E allora? Vogliamo alzare le mani in segno di resa? Al contrario, abbiamo tutti gli strumenti per scegliere ciò che davvero desideriamo come consumatori, siamo in grado, volendo, di capire quando e come ci stanno truffando, e possiamo reagire. Anche qui: meglio farlo in tanti, unendoci, contaminandoci, scambiandoci esperienze e informazioni, come fa la nostra comunità di Non sprecare, una piccola tribù nell’arcipelago dei consumi declinati secondo i diversi stili di vita. Pensate soltanto un secondo alla spesa alimentare, quella che più sta subendo gli effetti di un carovita che somma speculazione e bassi salari e stipendi: l’offerta è talmente vasta, si è così affermato una sorta di politeismo della spesa, che, con un minimo di consapevolezza e talvolta solo con il buon senso, possiamo davvero evitare la schiavitù dei consumatori a comando (altrui).

La falsa sostenibilità, quella che ha reso il mondo più ingiusto, ha creato anche un’altra casta: i consumatori verdi. Chi sono? Quali privilegi vantano? Come si comportano? Le risposte le trovi in questo libro

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Vogliamo parlare delle libertà individuali, quelle private? Forse in questo caso, più che sulla loro perdita dovremmo riflettere sull’abuso che ne abbiamo fatto. Siamo al punto che pretendiamo di decidere la vita e la morte, nostra e degli altri; ciò che è bene e ciò che è male; lo sfregio del corpo con l’alibi di ritoccarlo all’affannosa ricerca di una impossibile bellezza eterna. Questa non è libertà, è un modo di essere schiavi di sé stessi, e per uscire dalla trappola, esattamente come liberarsi dall’eterno presentismo (un’altra forma di schiavitù delle nostre vite di donne e uomini del tempo), basterebbe soltanto usare l’intelligenza, quella umana, possibilmente, e non la sua versione artificiale.

E a proposito di intelligenza artificiale, c’è un’altra libertà da afferrare, e non sprecare: quella rispetto alla tecnologia, al suo divenire ormai fuori controllo, innovazione e progressi compresi. Sembra una cosa complicatissima, al limite della “missione impossibile”, ma non è affatto così. La tecnologia, da Leonardo Da Vinci in poi e anche prima, ha sempre cercato di dominare l’uomo, di schiacciarlo con un classico braccio di ferro.

La differenza è che, con l’intelligenza artificiale, la tecnologia arriva al punto più alto, minacciando la nostra libertà primordiale, quella di esseri umani pensanti, e sostituendoci con delle macchine. Anche in questo caso estremo, la partita della libertà è apertissima, non l’abbiamo persa, sebbene stiamo dimostrando di avere poca voglia di giocarla. 

Il film della sconfitta dell’uomo, sul versante della tecnologia, si è visto tante volte, con una serie di repliche e di remake a distanza di anni e di secoli. Ricordate che cosa è successo con il boom della televisione? Provate a ricostruirlo: nel giro di pochi anni, senza neanche che ce ne accorgessimo in modo compiuto, un elettrodomestico è diventato una baby sitter, un sonnifero, un compagno di vita (diurna e notturna), un agorà dove si selezionano ministri, sottosegretari, amministratori pubblici, uno sfogatoio di ogni pulsione umana, la fonte di un nuovo linguaggio fatto di insulti e risse. Forse, oggi potremmo arrivare alla conclusione che la tv, oltre a darci tantissimo, ci ha tolto qualcosa in termini di libertà, a partire da fattori senza i quali questo bene prezioso non può esistere, come per esempio il senso critico che il piccolo schermo, con i suoi programmi, finge di incentivare (la gente guarda un talk e si fa un’opinione, giusto?), ma in realtà svuota (sono opinioni di pancia, istantanee, che vanno e vengono come un soffio d’aria, non il frutto di un approfondimento, libero e autonomo). 

Uno dei fondatori della Storia della tecnologia, il professore Melvin Kranzberg. diceva una cosa semplice e chiara, che potremmo adottare come la bussola per la nostra libertà dalla schiavitù da uno smartphone, o dalla nostra dipendenza da scrollate, social, messaggini, cuoricini, chat, selfie: «La tecnologia non è né buona né cattiva, ma non è neutrale».  Cosa significa? Semplicemente che a fronte di incredibili, uniche, indispensabili, irrinunciabili, opportunità, la tecnologia può anche fare male e ridurre gli spazi di libertà, mentre ha tutte le caratteristiche utili per aumentarli. Il confine tra queste due direzioni opposte, da un lato le opportunità dall’altro lato i danni (anche alla salute), non è una casella bianca, ma uno spazio che noi possiamo presidiare, per decidere come e quando utilizzare ciò che la tecnologia ci regala a getto continuo. Noi, e non altri, come singoli individui e come comunità, le due dimensioni che hanno in mano la nostra libertà. 

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