Le panchine, in città come in montagna, sono diventate merce rara. Una spiaggia libera la devi cercare con il lanternino, e quando si intravede è chiaramente circondata da stabilimenti o spazi dati in concessione, quindi a pagamento. L’acqua delle fontane e delle fontanelle, quella che un tempo a Roma era ben presente almeno in ogni quartiere (gli storici “nasoni”), forse dava fastidio a qualcuno, per esempio alla potente società che gestisce il servizio idrico nella capitale, visto che non si paga, e magari c’è anche il seminatore di balle che la considera tossica. Conclusione: di fatto è stata di fatto abolita. Tutti (anche noi di Non sprecare) predicano l’uso della bicicletta, in alternativa all’auto e alla moto, ma quali sono i comuni o le amministrazioni locali, o anche le aziende, che offrono questo servizio gratis? Si contano sulla punta delle dita.
Già, gratis, ovvero secondo la declinazione quotidiana e corrente di una parola diventata impronunciabile: gratuità. Banalmente, potremmo cavarcela dicendo che tutto è merce, tutto è prodotto, acquisto e consumo, e quindi non stiamo a sprecare il fiato con concetti che, se qualcuno ha voglia di applicare, se la veda frequentando qualche girone del volontariato, una delle cosiddette eccellenze dell’Italia nella versione generosa e non specializzata nella furbizia di evadere tasse, norme, e intralci simili.
Se però ci prendiamo una boccata d’aria prima di emettere una sentenza di inutilità, e andiamo a vedere le cose più da vicino, forse scopriamo che abbiamo bisogno di riprenderci la parola magica gratuità, e provare, in qualche modo, con leggerezza e senza sentirci i discepoli di San Francesco, a farla camminare. Magari abbinandola alla sua anima gemella, la generosità.
L’etimologia della parola, che deriva dal latino gratia (“grazia”, “dono”, ma anche “gratitudine” e “riconoscenza”) ci indica una bussola: coltivare la gratuità significa scegliere uno stile di vita sostenibile, capace di guardare se stesso come gli altri, e scegliere, in alcuni casi, la logica del dono, non dello scambio, del do ut des (dare per avere) o del calcolo.
Perché sono scomparse le panchine? Perché amministratori pubblici, assecondando interessi di lobby elettoralmente potenti (per esempio i pubblici esercenti che si impadroniscono di strade e marciapiedi con tavolini e sedie, talvolta fuorilegge) hanno completamente rinunciato all’idea di praticare la gratuità, che tra l’altro non porta neanche un voto (o un euro). E quindi hanno deciso di liberarsi di un ingombro e di un costo, in quanto una panchina richiede anche cura, decoro e manutenzione, oltre alla spesa iniziale. Potete immaginare, senza retorica, questa decisione quanto abbia reso felici, per esempio, le persone anziane, in decisa crescita nell’Italia che invecchia, che non hanno la disponibilità di tot euro al giorno da spendere solo per assaporare la gradevole sensazione di stare seduti. Gratis, e non pagando un caffè con brioche e cappuccino, o un aperitivo.
Anche la pipì, o meglio: la naturale esigenza di farla, talvolta improvvisamente, è uscita dal perimetro della gratuità e ormai si paga sempre più spesso per andare in un bagno pubblico, per esempio di una stazione ferroviaria. Anzi. La logica del do ut des, in contrapposizione alla gratuità, ha fatto in modo che, in città ricche, come nel caso di Verona, la pipì ferroviaria (quella che scappa quando siamo alla stazione) diventa green, e non più gialla, in quanto si chiede una tassa, un ticket di 1,20 euro con la scusa di aver reso i servizi igienici della stazione “sostenibili ed ecologici”. Complimenti per il servizio reso alla Causa Ambientale parallelo alla mini-stangata al servizio del popolo dei viaggiatori che frequentano le stazioni ferroviarie. E infatti, nulla è meno gratuito della versione falsa e mistificata della sostenibilità, diventata la tosatrice delle tasche dei consumatori verdi, o aspiranti tali.
L’etichetta “spiaggia libera” in Italia è scomparsa, non per la crisi climatica o per il destino cinico e baro, ma in seguito a un esproprio nazionale, ben orchestrato e consolidato negli anni, in base al quale ci sono regioni e comuni dove le concessioni balneari (generalmente a prezzi di omaggio, questo sì “gratuito”) arrivano al 90 per cento del territorio balneabile. E così una parte del popolo dei bagnanti non può andare al mare, non potendosi permettere di scalare la montagna del “caro spiaggia”. Notate che persino in America, il Paese dove più si pratica la religione laica del Mercato, la spiaggia libera è super protetta, a disposizione di tutti, “dono” per la collettività.

La cancellazione e lo spreco della gratuità, come “occasione e opportunità nelle nostre vite”, secondo la poetica definizione di Alex Langer, un padre nobile dell’ambientalismo, morto tragicamente quando era ancora molto giovane, arriva a lambire anche grandi conquiste civili, come il Servizio sanitario nazionale (dove la parola gratis si è ristretta, mentre si è allargata a milioni di italiani la fascia della popolazione che non può permettersi di pagare le spese mediche e quindi non si cura), o la scuola pubblica (in alcuni paesi europei, come la Finlandia e la Svezia, la mensa scolastica gratuita non è un’utopia o un avanzo, a proposito di tavola, del marxismo, ma una scelta per rafforzare l’istruzione di tutti e per tutti). Qualcosa sta riaffiorando, come l’idea, da noi pienamente condivisa, di rendere gratuiti, con specifiche modalità, gli autobus pubblici.
Ma all’orizzonte manca ancora la consapevolezza di quanto sia potente, per cambiare in meglio la qualità della vita delle singole persone e delle comunità, la leva della gratuità. Quanto migliori le relazioni umane, attraverso anche la connessione di piccoli e semplici gesti individuali con scelte pubbliche, e quanta libertà ci dia nel farci sentire capaci di gesti che non si fanno nel calcolo dell’attesa di una contropartita.
Una spallata decisiva alla parola gratuità è stata data dalla mistificazione della parola sostenibilità. Un’etichetta per rendere tutto più costoso (altro che gratuito…), come se il green fosse una tassa o un privilegio di una casta di consumatori verdi. Tutto raccontato in questo libro.
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