Metodo Indaba per risolvere liti in famiglia e in ufficio

Lo utilizzano con successo i capi tribù in Sud Africa. Ognuno illustra la propria posizione, ma indica anche il punto limite per un compromesso. Il ruolo dei facilitatori

METODO INDABA

Non c’è nulla di peggio che una lunga, e inconcludente, rissa condominiale. O anche, in famiglia, uno strisciante e infruttuoso conflitto nel quale tutti restano bloccati sulle rispettive posizioni. Per non parlare del lavoro: si fanno decine di riunioni inutili, ma quasi mai, quando c’è un conflitto vero, se ne viene a capo in modo proficuo.

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Un metodo c’è. Ed è molto usato nei summit internazionali, dove la sintesi è resa più complicata dalla presenza di tanti rappresentanti di diversi governi (pensate un attimo alla folla del recente vertice sul clima a Parigi). E funziona, in particolare, su tematiche delicate, come quelle ambientali, che per loro natura dividono e possono portare tutti al nulla di fatto. Il metodo si chiama Indaba, che significa «affari» o «argomenti» e lo utilizzano a piene pani i capi tribù Zulu e Khosa, in Sud Africa.
Le premesse sono due. Con la prima, ciascun partecipante è chiamato a illustrare le proprie posizioni, con chiarezza e senza demonizzare chi la pensa in modo diverso. Ma fa anche un passo avanti: ovvero indica il confine, il punto di mediazione, oltre il quale non può spingersi alla ricerca di un accordo. La seconda premessa è il lavoro laterale, quasi ai fianchi, dei facilitatori che partecipano agli incontri: tocca a loro, in concreto, tirare fuori le possibili sintesi, ovvero accordi che diventano poi condivisi.
La tecnica Indaba, molto utile in tempi di conflitti striscianti che deprimono anche le relazioni sociali e umane, è un meccanismo per creare ponti, abbattere muri, cercare connessioni.  Ed è quasi una filosofia, laddove il conflitto viene giudicato utile e necessario, ma mai a danno della perdita di un senso di comunità, della voglia di stare insieme. Di essere un noi, e non una somma di io.

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