
Incassano sempre più soldi e pagano sempre meno tasse. Con uno spreco enorme per i paesi, come l’Italia, che restano a bocca asciutta in quanto a entrate fiscali dai colossi del web. Mentre la politica sembra arrendersi a questo strapotere, che dalla tecnologia si allunga fino agli stila di vita quotidiani, lor signori, Amazon, Microsoft, Google e Facebook, ma la lista continua ad allungarsi, riescono a diventare più ricchi, in piena recessione globale, aumentando i ricavi e diminuendo le imposte versate sugli utili.
TASSE GIGANTI WEB ITALIA
Pensate: i giganti del web, a partire dalle regine Amazon, Facebook, Google e Microsoft, nei primi sei mesi di un drammatico (per gli altri) 2020, hanno prodotto, in media, 18 milioni di euro di utili al giorno (quasi il triplo rispetto al 2015). Nel quadriennio 2015-2020 i profitti sono stati pari a 480 miliardi di euro, con risparmi fiscali, vera e propria elusione, pari a 46 miliardi di euro.
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TASSE COMPAGNIE TECNOLOGICHE
Ricavi miliardari di cui il fisco italiano, però, vede solo le briciole. Un report realizzato da R&S Mediobanca rivela che il saldo di quanto versato da 15 dei giganti del web nel 2018 in Italia ammonta alla cifra irrisoria di 64 milioni. Le grandi aziende di Internet realizzano, infatti, ricavi da capogiro, circa 2,5 miliardi solo nel nostro Paese, ma grazie allo spostamento del fatturato delle controllate italiane in Paesi dove le aliquote fiscali sono basse, riescono a versare solo una minima parte di quello che sarebbe legittimo pretendere.
Nello specifico, il report ha preso in esame 15 colossi mondiali del web e del software con una filiale nel nostro Paese. Dallo studio emerge che, nel 2018, Amazon ha pagato 6 milioni, Microsoft 16,5 milioni, Google 4,7 milioni, Oracle 3,2 milioni, Facebook 1,7 milioni, Uber 153 mila euro e Alibaba 20 mila euro. Per un totale di 64 milioni, a cui vanno aggiunti i 12,5 milioni di Apple, che non inclusa nel campione.
WEB TAX
I giganti del web continuano a sfruttare in loro favore la lacuna legislativa che gli consente di risparmiare sulle tasse spostando il fatturato in altri Paesi. Una pratica che ogni tanto lo Stato italiano cerca di disincentivare a suon di multe ma, allo stato attuale, questi colossi preferiscono pagare centinaia di milioni di transizioni ogni tanto piuttosto che fatturare nel nostro Paese il giro d’affari riferibile all’Italia. Ragione per la quale diventa sempre più urgente l’introduzione di una Web tax che costringa queste società alle loro responsabilità fiscali. Ma sono solo parole. Nei fatti la politica è impotente e non intende “disturbare i manovratori”, i giganti del web sempre più padroni del mondo.
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