Airbnb, il carro armato che sta rovinando le città. Un’invasione che lascia i più deboli senza casa

Dove la piattaforma gira a mille, gli affitti salgono alle stelle. E diventano impossibili per chi non è benestante. Anche Airbnb, come gli altri colossi del web, paga poche tasse. E fa concorrenza sleale

cose da sapere su airbnb

Airbnb sta diventando un simbolo delle illusioni perdute del progresso tecnologico declinato con la piattaforma del web. Che cosa ci aveva promesso questa piattaforma inventata nel 2007 a San Francisco da tre ragazzi che volevano mettere da parte qualche dollaro affittando le loro stanze? Più opportunità sia per gli affittuari sia per gli ospiti a pagamento. Dunque, reddito per la classe media impoverita dall’onda lunga della Grande Crisi. Più condivisione, tra i proprietari di immobili e chi ha bisogno di un alloggio per vacanze o per lavoro. Più concorrenza, e quindi prezzi più bassi.

COSE DA SAPERE SU AIRBNB

In realtà sta avvenendo esattamente il contrario. Airbnb ha assunto i connotati, come tutti i giganti del web, di una conglomerata: oggi il suo valore è attorno a 30 miliardi di dollari. La stessa cifra di Mariott-Westin, il colosso numero uno nel settore alberghiero. Questo sicuramente farà felice gli azionisti ella società, ma i proprietari delle case in affitto?  Quanto alla piattaforma, il suo guadagno non è irrilevante, visto che Airbnb prende il 3 per cento dal padrone di casa e una percentuale tra il 6 e il 12 per cento dall’ospite pagante.

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AIRBNB E HOTEL

E veniamo al ceto medio impoverito: Airbnb con una mano prova a dare, ma con l’altra prende. Nelle città dove la piattaforma gira a piena velocità, per esempio in California, tutti gli affitti degli immobili sono schizzati alle stelle, diventando così impossibili proprio per il ceto medio che Airbnb prometteva di arricchire. Per non parlare della concorrenza sleale all’intero settore alberghiero, e anche a quelle piccole attività (b&b, camere e case in affitto) che tanti svolgevano e adesso rischiano di dovere cancellare proprio per l’avanzata della start up americana.

Sicuramente c’è una quota di popolazione che trae vantaggio dall’esplosione degli affitti via Airbnb. Riesce, senza grandi sforzi e con l’aiuto della tecnologia, a mettere a reddito il proprio patrimonio immobiliare. In Italia, per esempio, paese di proprietari di prime e seconde case, Airbnb serve ad arrotondare le entrate di famiglie falcidiate da redditi stagnanti. Siamo diventati così un paese di affittacamere. Comprensibile e giustificabile.

Ma il prezzo che pagano le fasce più deboli della popolazione è altissimo. Prendete una città come Firenze, piccolo scrigno già messo a dura prova dall’onda lunga e incessante del turismo mordi-e-fuggi. Giornaliero. Qui gli appartamenti in offerta attraverso la piattaforma di Airbnb sono 11.262, in gran parte nell’area del centro storico, quella preferita dai visitatori. La fascia alta del ceto medio benestante, se non vogliamo chiamarli ricchi, non ha problemi: le sue case in genere si trovano già da tempo sulle colline e sono al riparo dall’avanzata dei visitatori della sharing economy. Cosa completamente diversa, invece, per il piccolo ceto medio popolare, costretto a lasciare il centro storico oppure a vivere sotto la sfera dell’invasione alimentata da Airbnb. Chi li protegge questi cittadini di serie B? Nessuno. E tantomeno nessuno può fermare l’aumento degli affitti, dovuto alle potenzialità dei ricavi da sharing economy, che colpisce studenti, pensionati, lavoratori a basso reddito. Ancora una volta le fasce più deboli.

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INVASIONE AIRBNB

Airbnb, in questo stravolgimento della città e della sua popolazione residente, non fa sconti, non guarda in faccia a nessuno. In fondo, è lo stesso meccanismo che ha portato alla desertificazione, proprio nei centri storici, di tutte le piccole attività commerciali e artigianali che davano identità e solidità ai luoghi. Cancellate dall’avanzata di punti vendita della grande distribuzione e della solite griffe capaci di ridurre un qualsiasi centro storico, di un borgo come di una città, in un duty center di un aeroporto. Con Airbnb, come nel caso dei negozi, comanda solo la legge del mercato, alla quale una politica imbelle si piega in silenzio. Senza neanche porsi la domanda di come difendere gli interessi di tutta la popolazione e non di una minoranza di fortunati. E di come evitare che, attraverso la porta della sharing economy, passino e si consolidino nuove forme di diseguaglianza. Nessuno può fermare un progresso di questa portata, tantomeno se alimentato da una profonda innovazione tecnologica, ma nessuno può alzare bandiera bianca in segno di resa e considerare Airbnb un’industria al di sopra di qualsiasi legge e di qualsiasi regola. Anche quelle dettate da un banale buonsenso.

TASSE AIRBNB

Infine, c’è il grande tema delle tasse. Anche questo è condiviso da Airbnb con gli altri colossi del web-tech.  È giusto che le tasse di questa gigantesca piattaforma valutata 30 miliardi di dollari siano le stesse di una piccola pensione di provincia? Non c’è uno squilibrio che invece di ridurre le differenze, le allarga? Noi di Non sprecare, lo ripetiamo spesso: sì alla condivisione, ma quella vera. Non quella truccata che alla fine si riduce a un nuovo monopolio.

(Credits immagine di copertina: Daniel Krason / Shutterstock.com)

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