Vi piacerebbe avere una memoria di ferro? Auguri. Però non sentitevi menomati se avete la fortuna, sì: la fortuna, di saper dimenticare. Dalla A alla Z, ogni volta che questo atteggiamento si espande con una sorta di smemoratezza naturale, non forzata, una via d’uscita verso la strada che porta sui binari della leggerezza della vita.
Dimenticare è utile, molto più spesso di quello che possiamo immaginare. Scriveva il filosofo Friedrich Nietzsche: «Beati gli smemorati perché avranno la meglio anche sui propri errori». Ecco, dunque, un primo vantaggio della smemoratezza. Ti consente, con un colpo solo, di non avvitarti sugli errori fatti, di andare avanti, di non stare e rimuginare con la cantilena dei se e dei ma, e di non perdere il contatto con la realtà restando soffocati da sensi di colpa o dal banalissimo, e inutile, rimorso.
Quando riusciamo a non restare inchiodati su un ricordo, e di solito lo facciamo con quelli più sgradevoli, a non superare la ferita che abbiamo subito, c’è il rischio, molto serio, di sommare una serie di sprechi. Alimentare rabbia, rancore, risentimento: tutte cose umanissime quanto inutili, che non portano alcun frutto, ma spargono solo il veleno con il quale ci isoliamo, ci allontaniamo dagli altri, e scivoliamo nei vari gironi della solitudine. Senza volerlo, stiamo sprecando spicchi importanti della nostra vita.
Dimenticare singifica anche dare spazio a cose nuove, non stare sempre con la testa girata all’indietro, non restare intrappolati nel presentismo (vite che scorrono sempre uguali in un eterno presente), a immaginare che il futuro possa essere decisamente migliore di ciò che pure non vuole uscire dalla nostra scatola della memoria. Soltanto dimenticando, si può approcciare il delicato e fragilissimo universo del perdono, una categoria con la quale nella vita, prima o poi, capita sempre di dover fare i conti.
Se dunque ricordare è importante, per una serie di motivi persino ovvi, lo stesso vale per il dimenticare, fatto salvo il piacere della memoria, del vissuto, di ciò che abbiamo visto e fatto, di chi abbiamo incontrato, amato e talvolta odiato.
Ogni giorno il nostro cervello è sottoposto a un’intensa attività di accumulo di materiale. Notizie, informazioni, emozioni, decisioni. Tutto insieme. E tutta roba che circola molto velocemente, fino a renderci impacciati. In questo caso la smemoratezza, altro vantaggio, diventa un’igiene mentale, una forma di pulizia della testa, come il bagno caldo a fine giornata. E serve perfino un piccolo esercizio, un metodo, per diventare, quando serve, smemorati. Un amico che passa tutta la giornata a incontrare persone di lavoro, a fare riunioni, ad ascoltare problemi ed a cercare soluzioni, mi ha confessato questo metodo da smemorato per non smarrirsi nella palude degli eccessi della cose da ricordare: resettare il cervello dopo ogni incontro, cercando di dimenticare le cose inutili e conservando in memoria quelle utili se non indispensabili.
Questo metodo ha anche un fondamento scientifico. I ricercatori dell’università di Glasgow hanno fatto uno studio sui benefici della smemoratezza e hanno dimostrato la sua utilità, per esempio, per prendere decisioni più nitide e efficaci, per essere più lucidi e quindi più risolutivi.
Un aiuto a dimenticare arriva attrvareso la carta d’identità. Con l’avanzare dell’età la memoria a breve si appanna e resta all’orizzonte, semmai rafforzata, quella di lungo periodo. È una legge della vita, degli anni che passano. Dimentichiamo facilmente il nome di una persona che conosciamo bene, smarriamo oggetti in continuazione, abbiamo bisogno di scrivere i nostri appuntamenti per ricordarli. Poi c’è un momento, quello dell’anzianità, nel quale si dimentica perfino ciò che si è appena mangiato, ma si ricorda perfettamente la propria vita di bambino.
La vecchiaia porta quasi a fare coincidere la smemoratezza con l’atarassia, la fine dell’ansia, dell’agitazione, dello stress continuo. E l’ingresso in una vita tranquilla, serena, perfino priva di dolori. Ma è proprio la memoria telescopica degli anziani, il dolce uso che ne fanno, che dovrebbe indurci a riflettere sull’utilità della smemoratezza e sul fatto che non dobbiamo sprecarla.
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