Riconoscere il talento

IL PRIMO modo per sprecare il talento e’ quello di non riconoscerlo. Non dargli valore. Avviene cosi’ che la stragrande maggioranza degli italiani (81 per cento), specie nelle fasce di eta’ piu’ giovani, non riconosce i meriti e le capacita’ come gli strumenti essenziali per fare strada. Serve altro. Una buona amicizia, le relazioni da […]

IL PRIMO modo per sprecare il talento e’ quello di non riconoscerlo. Non dargli valore. Avviene cosi’ che la stragrande maggioranza degli italiani (81 per cento), specie nelle fasce di eta’ piu’ giovani, non riconosce i meriti e le capacita’ come gli strumenti essenziali per fare strada. Serve altro. Una buona amicizia, le relazioni da coltivare, i rapporti con qualche tribu’ dell’establishment. La vecchia raccomandazione e’ stata sostituita e integrata da un meccanismo perverso di marketing, costruito con le tecniche dei giochi di societa’. E, peggio ancora, dal fattore ereditario: quattro giovani laureati su dieci ereditano la professione dei genitori. Quanto al talento, in queste condizioni, l’unica strada che resta per non sprecarlo e’ quella di emigrare, prima che sia troppo tardi. Ecco perche’ siamo arrivati alla quota allarmante di 40mila ragazzi italiani che studiano all’estero. Attenzione: non per coltivare un’esperienza internazionale, ma perche’ vogliono restare fuori dall’Italia, dal paese che non riconosce i suoi talenti. Un vero fenomeno di emigrazione generazionale. Questo spreco di massa, cosi’ diffuso e radicato perfino nei comportamenti individuali (avete presente le serate nei salotti del potere romano?), e’ uno degli elementi decisivi alla base dell’impoverimento delle nostre classi dirigenti. Il talento non si riconosce, e quindi non si conquistano posizioni grazie alla sua energia: vincono sempre le solite, vecchie oligarchie. Non solo in politica, per la verita’, ma nell’intero perimetro della vita pubblica. Nelle universita’ come nelle scuole, nei ceti professionali come ai vertici di grandi aziende. I soliti nomi, alla fine, rassicurano tutti ed evitano i conflitti che spesso sono alla base della selezione di una nuova classe dirigente. Peccato che a perdere e’ il Paese, avvitato nella sua incapacita’ di girare la testa verso il futuro, di giocare la partita al tavolo della modernita’, di creare establishment cosmopolita. L’Italia invecchia, e male, tra rancori mai archiviati e una difesa corporativa di interessi sempre piu’ piccoli, mai proiettati in una visione generale. Il campo, con desolazione, si svuota delle nuove leve, e dei talenti che sono stati sprecati con tanto cinismo.

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