Luigi Cavanna, medico “porta a porta” per salvare i malati di Covid-19

Primario di oncologia all'ospedale di Piacenza, ogni giorno cura a domicilio i malati di Covid-19, proprio come durante il lockdown. E il Time lo ha messo in copertina come simbolo, in tutto il mondo, della buona sanità

medico a domicilio coronavirus

Ripartire dall’umanità, e da una sanità a misura d’uomo e di paziente.
Luigi Cavanna, primario di oncoematologia dell’ospedale di Piacenza, al potere dell’umanità crede da sempre, e quando si è trattato di tradurre nei fatti ciò che come società abbiamo imparato, non si è tirato indietro.

Per questo, ogni mattina alle 07.30 arriva in reparto, visita i suoi 22 pazienti, e alle 10, è già pronto per il giro quotidiano delle visite domiiciliari, armato di ecografi, tamponi e tablet. Lo fa per due motivi: il primo è che, conferma al quotidiano La Repubblica, “se tutti arrivassero in ospedale il sistema collasserebbe”, e poi perché “nessuno deve morire solo”.

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MEDICO A DOMICILIO CORONAVIRUS

Sessant’anni e tanto tempo trascorso in reparto ad avere a che fare con mali oscuri e terribili, anche durante i giorni più bui del lockdown nazionale si è vestito come un astronauta e ha deciso di andare direttamente in casa dei pazienti, per somministrare cure più precoci, agevolare l’accesso ai farmaci e, soprattutto, donare speranza e un abbraccio ai tanti ammalati di Coronavirus autoisolati nelle case. Così, porta a porta, ha seguito 270 casi, per lo più anziani e anziane, con febbre, dolori muscolari, tosse e sintomatologia di prima emergenza, bardato con mascherina, visiera, tuta monouso, guanti e cuffia, portando con sé, nella dotazione, ecografo, elettrocardiografo portatile, saturimetro, kit per tamponi e farmaci, idrossiclorochina e poi ancora antivirali, antibiotici e cortisone. Nella cassetta del pronto soccorso, però, aveva anche momenti di ascolto, rassicurazione e conforto per gli ha aperto la porta sofferente e quasi impaurito, accogliendo i medici a domicilio come dei salvatori.

L’idea di tornare alla medicina domiciliare di emergenza, il Dott. Cavanna l’ha avuta nell’inferno del pronto soccorso dei primi giorni della pandemia da Covid-19: i reparti dell’ospedale erano stati quasi tutti convertiti in reparti di terapia intensiva, non c’era più spazio né letti a disposizione, l’onda urto si era abbattuta con una forza difficile da raccontare. I malati seguivano la procedura: 118, ambulanza, Pronto Soccorso, arrivando in ospedale già debilitati, con sintomi da terapia intensiva, dopo giorni di malessere e febbre. Lo standard per i ricoverati erano due farmaci per bocca: idrossiclorochina ed antivirali, in combinata con l’ossigeno e terapia di supporto. Nessun farmaco, in realtà, che non potesse essere somministrato a domicilio, molto prima che si rendesse necessario il ricovero, massimizzandone l’efficacia. Solo così, aveva riflettuto Luigi Cavanna, si sarebbe potuta evitare la congestione del presidio ospedaliero. Quindi, perché aspettare? Una riunione veloce con la direzione sanitaria e, verso la metà di marzo, insieme al caposala Gabriele Cremona, aveva riunito una squadra di pronto intervento a domicilio.

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MEDICO PORTA A PORTA PIACENZA CORONAVIRUS

Con risultati eccellenti, soprattutto in termini di umanità: dei 270 pazienti curati a casa solo il 5% ha avuto bisogno di una terapia intensiva e dunque del ricovero in ospedale, nessuno è deceduto. M ciò che non si può quantificare è il sollievo dalla solitudine, dalla paura e dal lutto che i medici portavano nelle case dei malati. A volte, come confida lo stesso Cavanna in un’intervista al Corriere: «C’era chi aveva appena perso un marito, un fratello, un figlio… Spesso ci siamo trovati a piangere con loro. Non sapevano nulla per il funerale, non avevano più notizie del familiare finito in ospedale».

Esperimento pienamente riuscito, dunque, che ha portato il Dott. Cavanna a diventare in tutto il mondo un esempio di buona sanità, e della necessità del rafforzamento delle cure domiciliari per intercettare chi non riesce in autonomia ad andare in pronto soccorso, ambulatorio o studio medico, come gli anziani, spesso non autosufficienti. Il Time ha deciso di mettere la sua faccia in copertina, simbolo di speranza, di buona medicina, e, soprattutto, del ritorno, necessario, all’ascolto e all’umanità. Per ripartire serve la certezza di un legame tra medicina e territorio,  che nessuno sia lasciato solo e indietro. A prescindere dal Coronavirus, si chiama umanità.

(Immagine in evidenza tratta da ilmiogiornale.net // Photocredits: Il Mio Giornale)

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