L’uomo più ricercato del mondo
non è stato ucciso in un
covo tra le montagne ma in
un rispettabile quartiere di
una tranquilla cittadina pachistana,
fondata alla metà dell’ottocento
dai coloni britannici che avevano voluto
ricreare un angolo di campagna inglese. E
se mai ci fosse bisogno di altre prove della
vita agiata che conduceva il leader di Al
Qaeda, basta considerare che l’enorme villa
di Abbottabad in cui si nascondeva Osama
bin Laden sorge vicino a una prestigiosa
accademia militare pachistana e a un
famoso mercato.
Per vent’anni Bin Laden ha dominato
l’immaginario dei musulmani di tutto il
mondo, ed è stato la rovina degli eserciti e
dei servizi segreti dell’intero pianeta.
Quando all’inizio degli anni ottanta arrivò
a Peshawar – portando con sé i bulldozer ei soldi di famiglia per costruire rifugi per i
mujahidin afgani – nessuno poteva sospettare
che quel saudita magro, timido e afascinante
avrebbe cambiato il mondo.
È stata una follia messianica a provocare
la morte, l’11 settembre 2001, di quasi
tremila persone in un solo colpo e a spingerlo
a sidare gli Stati Uniti a dargli la caccia.
Questa follia è diventata il motto di Al
Qaeda: “Noi amiamo la morte più di quanto
amiamo la vita”. Negli ambienti più radicali
l’inluenza di Bin Laden ha continuato
ad aumentare a mano a mano che gli
eserciti di tutto il mondo si dimostravano
incapaci di vincere la guerra contro il terrorismo.
La caduta del regime dei taliban ha signiicato
la ine di Al Qaeda come organizzazione
strutturata. Ma anche se Bin Laden
aveva smesso di dare ordini, la rete
terroristica ha continuato a espandersi in
Iraq, in Nordafrica, in Europa e perino negli
Stati Uniti. Al Qaeda non esisteva più in
quanto movimento, non aveva un’organizzazione
coerente né una ilosoia da elaborare.
A diffondersi dopo l’11 settembre
2001 è stata soprattutto l’idea della morte
e del martirio come strumento per colpire
il maggior numero possibile di infedeli. Con il passare del tempo Al Qaeda si è
trasformata in una serie di piccole bande
sparse, ma la sua minaccia non è diminuita.
È bastato un solo uomo con una bomba
a Times Square, a New York, per ricreare il
panico e per far temere un massacro paragonabile
a quello dell’11 settembre 2001.
Anche se Bin Laden aveva smesso di essere
un leader già da molto tempo, agli occhi
di molti suoi uomini incarnava ancora
l’idea del martirio e della distruzione. Bin Laden ha seminato il caos nel mondo
arabo, dividendo i musulmani in estremisti
e moderati. Ha provocato divisioni
anche in campo religioso, etichettando milioni
di devoti musulmani come non credenti
solo perché non erano disposti a ridurre
il pensiero islamico alla sola idea del
jihad. La sua filosofia radicale ha seminato
il terrore e nessun governo arabo ha mai
avuto il coraggio di contrastarlo apertamente.
Gli unici che hanno osato sfidarlo
sono stati i giovani che hanno dato il via
alle rivolte nel mondo arabo e che si sono
mobilitati, non in nome del jihad, ma per la
libertà e la democrazia.
Aumenta l’intolleranza
La sua eredità si allungherà come un’ombra
oscura sul mondo musulmano almeno
per un’altra generazione. Probabilmente i
suoi seguaci scateneranno rappresaglie in
tutto il mondo. Possiamo aspettarci attacchi
suicidi in Afghanistan, in Pakistan e in
Medio Oriente. Il jihad da lui predicato non
sparirà facilmente, perché ha attecchito in
molti gruppi estremisti. E anche se le ambizioni
politiche di Al Qaeda sono diminuite
nel corso del tempo, la sua ideologia ha
alimentato in alcuni paesi i sentimenti di
intolleranza contro i cristiani, gli ebrei, le
altre minoranze religiose e perfino contro
le altre correnti islamiche, come il sufismo.
La morte di Bin Laden offre grandi opportunità.
Ora il presidente Barack Obama
deve mantenere le promesse fatte al Cairo
due anni fa, quando ha annunciato di voler
costruire dei ponti con il mondo musulmano.
Gli Stati Uniti dovranno favorire un
accordo di pace tra Israele e Palestina, e
l’occidente in generale dovrà assicurare il
suo sostegno alle società arabe che stanno
emergendo dopo il crollo delle dittature.
La morte di Bin Laden faciliterà i colloqui
di pace tra il governo di Kabul, Washington
e i taliban.
Al Qaeda ha continuato a finanziare e
ad addestrare i taliban dopo la loro sconfitta.
Tuttavia è molto tempo ormai che i capi
taliban non sopportano più l’arroganza dei
jihadisti arabi. Vogliono tornare a casa, in
un paese libero da stranieri, compresi gli statunitensi, e smetterla di attaccare supermercati
o ambasciate nelle capitali occidentali.
Vale la pena ricordare che nessun
taliban afgano è mai stato coinvolto
nel jihad globale.
Anche il Pakistan, che è diventato un
terreno fertile per l’estremismo e l’intolleranza,
dovrà cogliere al volo le opportunità
offerte dalla morte del terrorista. La scoperta
del nascondiglio di Bin Laden in territorio
pachistano ha messo in evidenza le
fratture interne alle forze di sicurezza e ai
servizi segreti. Alcuni pachistani consideravano
Bin Laden un eroe perché aveva
sfidato l’occidente e perché il paese ha un
bisogno disperato di eroi. I leader pachistani
ora devono trovare il coraggio di mostrare
il vero volto di Bin Laden: una sanguisuga
politica che ha importato gli attacchi
suicidi in Pakistan, ha contribuito alla
nascita dei taliban pachistani e ha diffuso
l’intolleranza nel paese.
Alle conquiste coloniali da parte
dell’occidente le società arabe hanno risposto
lottando per la libertà e, in seguito,
sprofondando nella paralisi e nella repressione.
Bin Laden è salito alla ribalta mentre
i musulmani erano alla ricerca di un’alternativa,
e ha cercato di riportare queste società
indietro di molti secoli.
Adesso i musulmani devono trovare
una via d’uscita dalla trappola del terrorismo.
I suoi leader sono morti, o stanno
morendo, e la loro ideo logia è fallita. Spetta
alla società civile dargli il colpo di grazia
e spingerli ai margini per fare in modo che,
come aveva dichiarato nel 1947 il fondatore
del Pakistan, Mohammed Ali Jinnah – e
come ribadiscono oggi con coraggio i giovani
arabi – sia possibile vivere liberamente
e andare a pregare altrettanto liberamente
nelle moschee, nei templi e nelle
chiese.
È un momento storico molto importante.
Il dubbio è se l’occidente e il mondo
musulmano saranno in grado di cogliere
questa opportunità.
Fonte: Internazionale