
l sole tramonta sul parco nazionale
di Gorongosa, in Mozambico.
Perlustriamo la savana in cerca di
leoni. In quest’area di più di tremila
chilometri quadrati vivono
appena 45 esemplari. Non abbiamo
molte speranze di successo. Siamo in
sette, i soli ospiti dell’unico campeggio del
parco. Abbiamo già avvistato un discreto
numero di animali selvatici. Ma questa sera,
il nostro ultimo giorno, siamo a caccia di
leo ni e abbiamo bisogno di molta fortuna.
La fortuna alla ine arriva. All’improvviso,
al crepuscolo, appaiono due giovani
maschi dalla criniera scura. Sembra che
vogliano giocare. Andy Smith, la nostra
guida, nato in Zimbabwe, è convinto che
abbiano circa quattro anni. Sono ancora
degli adolescenti potenti e agili e si comportano
come tali: scappano dalla nostra
jeep, poi cambiano idea e la inseguono. Si
fermano e riprendono il loro gioco preferito,
la lotta. Illuminati dai fari si avvicinano
di nuovo, ansiosi di scoprire le creature da
un altro pianeta. Di solito i leoni del Masai
Mara amano riposare al sole e mettersi in
posa davanti ai fuoristrada stipati di fotograi
dilettanti, ma non questi. I due giovani
leoni continuano a girarci intorno, spinti da
una curiosità insaziabile. Dopo un’ora siamo
noi a cedere sotto i colpi della fame. Andiamo
via, seguiti dal loro sguardo indagatore.
“L’arca di Noè si è fermata a Gorongosa”,
si diceva in Mozambico prima del conlitto
che ha diviso il paese dal 1975, anno
dell’indipendenza dal Portogallo. Nel periodo
coloniale Gregory Peck e John Wayne
venivano a caccia nella parte meridionale
della Great Rift valley, e per quanto sparassero
non riuscivano nemmeno a scalfire
una popolazione di animali selvatici più numerosa
di quella delle pianure del Serengeti.
La bella vita, però, è inita con la partenza
dei portoghesi. Prima di abbandonare il
paese, i colonizzatori, sconfitti e furiosi,
hanno avvelenato le sorgenti idriche in tutto
il paese. Ma non sono stati loro a distruggere
il Mozambico.
A quello ci ha pensato la guerra tra il
Frelimo, partito politico armato spalleggiato
da Mosca e alla guida della rivolta contro
i portoghesi, e il Renamo, movimento inanziato
dai razzisti bianchi in Sudafrica e
Zimbabwe. Quando nel 1992 è stata raggiunta
la pace, i morti erano ormai un milione.
Gli animali selvatici, per la gran parte,
erano stati mangiati o uccisi per rivenderne
la pelle, l’avorio o le corna.
Personale locale
Greg Carr si è innamorato del Mozambico
durante il suo primo viaggio nel 2004 e ha
deciso di creare un ecoprogetto che potesse
garantire lavoro e istruzione agli abitanti
del posto. Dopo aver visitato sei possibili
luoghi, ha scelto Gorongosa. “È meraviglioso,
rimettiamolo in sesto”, ha pensato.
Fortunatamente Greg ha accumulato un
patrimonio colossale vendendo sistemi di
segreteria alle aziende telefoniche. Non
soltanto può garantire fondi grazie alla sua
Gregory C. Carr foundation, creata nel
1999, ma ha abilità ed energie suicienti
per dialogare con Frelimo, ancora al potere
dopo vent’anni di elezioni democratiche.
Il Mozambico vende gas naturale al Sudafrica
e carbone al Brasile. I diritti per la
pesca nelle acque a largo degli oltre duemila
chilometri di magniica costa sono stati
venduti ad alcuni imprenditori cinesi, che
hanno importato dal loro paese la forza lavoro
necessaria a sfruttare la concessione.
Un’altra risorsa preziosa è rappresentata
dalle miniere di titanio. Ma, come spiega
Carr, la corruzione impedisce di ridistribuire
il benessere tra la popolazione. Sulla costa
gli abitanti dei villaggi sopravvivono a
malapena grazie all’agricoltura di sussistenza.
Intorno a Gorongosa il bracconaggio
è diventato una tentazione irresistibile,
alterando profondamente l’equilibrio naturale.
Carr ha capito subito che era necessario
fare dei cambiamenti. Ha promesso un investimento
trentennale da 35 milioni di euro
per riportare il parco ai fasti del passato e
garantire agli abitanti del posto un tenore
di vita adeguato che non li costringa a uccidere
gli animali.
Per prima cosa ha organizzato un sistema di sorveglianza.
Alcuni abitanti dei villaggi
che conoscevano bene il territorio
sono stati chiamati a collaborare e ricompensati
in base ai risultati ottenuti. I bracconieri
si sono trasformati in guardiacaccia.
Contemporaneamente è cominciato il
programma per il ripopolamento della fauna,
e il numero degli animali è cresciuto
costantemente.
Poche ore dopo l’avvistamento dei leoni,
ci imbattiamo in un gruppo di femmine
di elefante con i loro piccoli. Dopo aver
messo la prole al riparo, la matriarca ci si
para davanti con tutta l’aria di voler caricare.
Il suo barrito rimbomba nell’aria, fa sul
serio. Una jeep non può reggere il confronto
con un animale infuriato che pesa 3,5
tonnellate, e così Andy decide di andarsene.
L’elefante rimane immobile fino a
quando non sente che il pericolo per lei e
per la famiglia è ormai scampato. Poi si allontana.
Il ripristino delle mandrie che vivono
nei pascoli è un’altra priorità di Carr. La
carne di bufalo è deliziosa, e i circa 14mila
esemplari che popolavano la zona prima
della guerra non avevano alcuna possibilità
di sopravvivenza. I 400 bufali arrivati dopo
il conlitto si stanno invece moltiplicando
rapidamente, ormai liberi dalla minaccia
degli esseri umani e senza troppa competizione
nel regno animale. Nel parco ci sono
quattromila ippopotami e molti zibetti, con
un manto maculato che risplende alla luce
dei fari durante le escursioni notturne. Le
zebre, invece, sono in cima alla lista delle
“importazioni fondamentali” per la ine
del 2011.
Fino a qui tutto bene. Ma attorno ai dieci
chilometri che segnano il perimetro del
parco vivono 250mila persone, e se Carr
vuole davvero dare un lavoro a un buon numero
di abitanti della zona, Gorongosa deve
diventare autosufficiente e avere molti
più posti letto.
Al momento, i visitatori che vogliono
risparmiare possono dormire a Chitengo,
nelle tende e nei bungalow dello spartano
campeggio gestito dallo stato, dove c’è anche
un bar e uno spaccio per comprare da
mangiare. La struttura si trova fuori dall’entrata
principale del parco. Chi ha voglia di
spendere può invece soggiornare nell’Explore
Gorongosa, un lussuoso camping in
cima a un basso altopiano da dove è possibile
vedere il fiume pieno di coccodrilli.
Dopo il tramonto è raccomandata la massima
prudenza.
L’Explorer appartiene a Rob e Jos Janish,
una coppia originaria dello Zimbabwe,
impegnati a fare in modo che il campeggio
abbia un impatto ambientale minimo.
Non esistono recinzioni, e le sei tende
sono lontane l’una dall’altra per creare
un’atmosfera di isolamento nella natura
selvaggia.
All’Explorer c’è anche una piccola biblioteca,
ricca di libri sulla flora e la fauna
locali. I pasti preparati dal cuoco zimbabwano
Akim sono molto più raffinati di quelli
in stile britannico coloniale che ho consumato
nei resort da cinquecento euro a notte
in Botswana e Zambia. Mangiare sotto le
stelle e scambiarsi racconti di viaggio attorno
al fuoco è un’esperienza indimenticabile.
Secondo la filosoia dei Janish il miglior
modo di avvistare le prede è seguire l’esempio
dei leoni. All’alba Andy ci guida lungo il
fiume Msicadzi.
Un’aquila marziale volteggia sulle nostre
teste mentre due aironi golia, i più
grandi del mondo, scrutano la terra dall’alto
in cerca di una preda. Le teste dei coccodrilli
affiorano appena dalle acque torbide
del fiume. Il sole non è ancora abbastanza
alto da convincere i rettili a venire a riscaldarsi
a riva.
La grossa coda di un varano scompare
rapidamente sott’acqua. I facoceri, le antilopi
d’acqua e gli oribi scorrazzano attorno
a noi. È un segnale rassicurante, significa
che non ci sono leoni nelle vicinanze. Ma
dove sono gli elefanti? Andy si ferma di colpo,
ci indica dove dobbiamo guardare: un
elefante maschio, mimetizzato quasi alla
perfezione, appare tra gli alberi.
Tende in riva al fiume
Dato che nelle vicinanze non esistono
strutture in grado di ospitare turisti il governo
ha concesso ai privati tre nuove licenze
in alcune zone che confinano con il parco.
Quella per il campeggio permanente a Dingue,
nel pressi del perimetro est, è stata assegnata
a due imprenditori portoghesi,
Pedro e Ana Meireles, anche loro, come
Carr, colpiti dal mal d’Africa.
“Quando nel 2009 sono arrivate le concessioni,
Greg ha sostenuto finanziariamente
il nostro progetto perché è altamente
sostenibile”, racconta Pedro. Il piano è di
costruire due gruppi di dieci tende sulle rive
del iume Urema. L’architetto sudafricano
Allan Schwartz ha progettato tende con
una copertura fatta con un materiale che
riduce il calore, simile a quello usato per
fare le vele. Il campeggio userà acqua piovana
ed energia solare. Per pulire la piscina
useranno piante speciali filtranti, e non
prodotti chimici.
Nel frattempo, sulle montagne che segnano
il conine settentrionale del parco,
stanno per prendere il via gli altri due progetti.
Ad accogliere i turisti non saranno le
tende ma i bungalow, e verranno organizzate
attività ed escursioni di gruppo per
avvistare gli animali selvatici.
Preparatevi a un’arrampicata di sei ore
per arrivare in cima a una vetta alta 1.800
metri. Non troverete la calma e la tranquillità
dei campeggi, ma si potrà ammirare
Gorongosa prima che i turisti diventino troppi.
Fonte: Internazionale