Il new deal energetico

ANCHE la Cina si e’ messa in riga con una nuova politica industriale antisprechi nel settore energetico. Finora la locomotiva industriale del paese si e’ mossa senza alcuna preoccupazione per l’impatto ambientale di fabbriche obsolete e inquinanti. In particolare, tra le fonti primarie di energia si e’ scelto il carbone, per giunta di vecchia generazione. […]

ANCHE la Cina si e’ messa in riga con una nuova politica industriale antisprechi nel settore energetico. Finora la locomotiva industriale del paese si e’ mossa senza alcuna preoccupazione per l’impatto ambientale di fabbriche obsolete e inquinanti. In particolare, tra le fonti primarie di energia si e’ scelto il carbone, per giunta di vecchia generazione. Il risultato e’ stato catastrofico. Nel 1950, la Cina aveva appena l’1 per cento delle emissioni mondiali di CO2, anidride carbonica: in pratica non dava alcun contributo all’inquinamento della Terra. Adesso, e’ diventata la prima produttrice al mondo di anidride carbonica, scavalcando dal 2006 gli Stati Uniti. Allo stesso tempo piu’ della meta’ dei fiumi che scorrono nel paese sono considerati altamente tossici e le polvere tossiche rilevate a Pechino sono cinque volte superiori a quelle di Tokyo.
Che cosa significa l’inversione a 360 della politica energetica cinese? Innanzitutto un cambio epocale per uscire dalla dipendenza dal petrolio e dalle fonti fossili e lanciarsi nel settore delle energie rinnovabili. Con tanti soldi sul tavolo. Il governo di Pechino ha annunciato, infatti, che soltanto nel corso del 2009 ci saranno investimenti pari a 58 miliardi di euro per potenziare l’energia eolica e il solare. Ed entro i prossimi tre anni dovrebbero essere pronte otto nuove centrali nucleari, per un totale di ben 16 reattori. Quanto al carbone, viene cancellato con un tratto di penna quello di vecchia generazione, con la chiusura progressiva delle centrali che inquinano il territorio, per puntare solo sugli impianti di nuova generazione.
L’onda verde del new deal energetico, di una politica che sceglie e investe per ridurre i consumi energetici e individuare nuove fonti non inquinanti, si allunga dall’America alla Cina. Ed e’ impressionante vedere come l’ambientalismo del governo di Pechino, al pari di quello di Barack Obama, non abbia nulla di ideologico, ma sia ispirato da un sano pragmatismo: cogliere le opportunita’ di questa crisi. E’ probabile che al prossimo vertice di Copenhagen, in agenda proprio quest’anno, dopo dieci anni di fallimenti, i paesi piu’ industrializzati del mondo riusciranno a trovare un accordo unanime sul taglio emissioni di CO2. A quel punto il new deal diventerebbe un obiettivo globale.

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