Millennials, la bussola per i loro acquisti si chiama sostenibilità. E niente bluff delle aziende…

L’81 per cento dei giovani nati tra il 1980 e il 2000 sono pronti anche a pagare di più, pur di avere prodotti davvero eco-friendly ed a basso impatto ambientale. Guai però ai furbi che speculano sulla sostenibilità.

COMPORTAMENTI SOSTENIBILI MILLENNIALS –

Hillary Clinton e Donald Trump sono entrambi a caccia del voto (e dell’opinione) che potrebbe decidere la corsa finale alla Casa Bianca: quello dei Millennials, la generazione dei nati tra il 1980 e il 2000. Ma molto prima dei due candidati alla presidenza degli Stati Uniti, l’intero universo dei consumi, che in America certifica la salute o meno dell’economia, è alla ricerca delle migliori calamite per catturare gusti, esigenze, desideri, dei Millennials, sapendo che sono e saranno loro, specie se donne, a muovere il mercato. E i giovani consumatori, ecco la novità che viene confermata da tutte le ricerche più attendibili, è come se urlassero, nel mondo globale e non solo nell’America dell’ex e post consumismo, la loro irrevocabile decisione: mettere la sostenibilità al centro delle scelte che determinano le curve, e dunque il traffico, dei consumi. Più che di fronte a una tendenza, ci troviamo di fronte a uno dei cambi di paradigma del mondo dopo l’esplosione della Grande Crisi, con nuove opportunità che, se bene messe a fuoco, risulteranno determinati per il rilancio e la crescita, dalla manifattura all’agroalimentare, di tutto ciò che va sotto il nome di made in Italy. E questo lo dimostra, con la precisione di una tabellina di aritmetica, l’abbinamento tra i numeri e i fatti.

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SCELTE DI ACQUISTO MILLENNIALS –

Primo dato: il 65 per cento dei giovani consumatori (la ricerca è di Bain&Company) considera la salvaguardia dell’ambiente, anche in funzione delle nuove generazioni, una priorità assoluta. Questo atteggiamento, distante anni luce dall’ambientalismo ideologico, vero e finto, del secolo scorso, si rovescia nei consumi dei Millennials con la forza di un uragano. Tanto che il 57 per cento degli italiani (lo studio è di Global Lifestyle) quando fa shopping di prodotti di abbigliamento, preferisce, diciamo pure: vuole, prodotti eco-friendly, e guarda con molta attenzione alle etichette. In sintesi, tessuti naturali e chiarezza su provenienza e modalità di produzione.

MILLENNIALS E SOSTENIBILITÀ –

La voglia di benessere, di salute, di sicurezza ambientale, da trasmettere di generazione in generazione, spinge l’81 per cento dei Millennials (la fonte è uno studio di PWC), una quasi totalità, perfino a essere pronti, disponibili, a pagare di più per prodotti sostenibili. Anche se il rapporto tra qualità e prezzo resterà sempre una variabile indipendente nell’atteggiamento dei consumatori, tutte le aziende che hanno una visione dinamica del mercato si stanno allineando al nuovo primo comandamento scolpito nella testa dei loro clienti, già acquisiti o potenziali. E il primato della sostenibilità è sempre più un fenomeno glocal. Non c’è brand mondiale, da Adidas e Levi’s a Ikea, da Burberry a H&M, che non abbia ormai messo a fuoco una strategia, a tutto campo, per intercettare la domanda di sostenibilità dei consumatori. Come? Attraverso l’evoluzione dei prodotti, che significa innanzitutto ricerca, e l’utilizzo di tutte le piattaforme di comunicazione, tenendo conto che quasi la metà delle discussioni sulla sostenibilità avvengono sul web. Ecco i jeans con fibre ricavate dalla plastica recuperata negli oceani, scarpe di marca fabbricate con le bottiglie di plastica sottratte alle discariche, intere collezioni realizzate con vestiti e tessuti riciclati, lampade LED, a prezzi accessibili, come una scelta obbligata per l’illuminazione domestica. Allo stesso tempo, qualche settimana fa sono stato invitato a fare una conferenza al Primo festival sulla sostenibilità e il design, nel Polesine, in provincia di Rovigo, intitolato Eco Design Week. Quando ho visitato, uno per uno, gli stand delle piccole aziende presenti, ho avuto una fotografia della locomotiva del Nord Est industriale, in marcia verso le sponde dei consumatori a caccia di sostenibilità. Elegantissimi tavoli di legno naturale, progetti con tanto di prototipo, di case in legno “chiavi in mano”, disinfettanti naturali e senza additivi chimici, motorini elettrici con oltre 100 chilometri di autonomia, abiti da sposa, e da sera di gala, prodotti con materie prime che arrivano dalla filiera dello smaltimento e del riciclo dei rifiuti. Prezzi medio-alti, domanda dei consumatori altissima. Come i cosmetici bio, un mercato mondiale da 13 miliardi di dollari, con l’Italia al terzo posto in Europa, e con prodotti studiati e ricavati dal riso (Genova), dalle bucce d’uva (Pavia) dagli scarti di arance e limoni (Milano e Catania), dagli avanzi di albicocche e pesche (Napoli).

Infine, i Millennials con in tasca, al momento di fare uno scontrino, la bussola della sostenibilità, sono sempre più esperti, competenti ed esigenti in materia. Questo è il mercato bellezza, si potrebbe commentare. Ma non basta. Forti di queste conoscenze, che Internet espande a macchia d’olio, i giovani consumatori diventano, giustamente, severissimi se sentono puzza di greenwashing ,diciamo per esempio quando le aziende fingono, per puro marketing, di fare prodotti eco-friendy oppure bluffano con la retorica della Corporate social responsability, non supportata dai relativi investimenti. E in questo rigore, la domanda di sostenibilità è sempre più forte: il 58 per cento dei Millennials (di nuovo la fonte è PWC) ritiene, per esempio, che le aziende della moda non abbiano ancora guadagnato la sufficienza nell’attenzione a un tema dal quale oltre che i consumi dipenderà il nostro futuro.

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