TikTok, il social che ignora la legge italiana. Come tutelare i minori dai soprusi online

Non accetta il limite dei 14 anni per utilizzare i social. Ignora le contestazioni del Garante per la protezione dei dati personali. E si protegge dietro lo scudo dell’Irlanda, dove ha la sede fiscale

come tutelare i minori dai rischi dei social network

Un gigantesco senso di impotenza, una nuvola nera che ci mostra tutti con le mani in alto in segno di resa, pervade i commenti e le reazioni per una vita sprecata, per una morte assurda, di una bambina di appena 10 anni, Antonella Sicomero, rimasta vittima di un gioco su TikTok.

COME TUTELARE I MINORI DAI RISCHI DEI SOCIAL NETWORK

Il primo segnale di impotenza, il primo spreco di parole che pure dovrebbero avere il loro peso, è la legge. Come al solito in Italia l’abbiamo, e anche molto severa: per utilizzare i social network devi avere compiuto almeno 14 anni, che possono diventare 13 se l’uso avviene sotto la supervisione dei genitori.

Probabilmente queste norme sono conosciute in poche famiglie. Siamo certi, e lo dicono le statistiche, che quasi nessuno le rispetta. Un sondaggio realizzato da Osservare Oltre (Associazione nazionale presidi ed eTutorweb) avverte che l’84 per cento dei ragazzini italiani in età compresa tra i 10 e i 14 anni (non compiuti) possiede un profilo social. Molti di loro, quasi un terzo, lo hanno aperto insieme con i genitori; il 91 per cento si arrabbierebbe molto con mamma e papà se intervenissero. Tiriamo le somme: la legge che dovrebbe tutelare i minori per l’abuso, e le possibili violenze, di piattaforme come Facebook, Twitter, Instagram e TikTok, è carta straccia. Come se non ci fosse.

LEGGI ANCHE: Social-dipendenti, i genitori sono messi molto peggio dei figli. E si vede

MINORI E SOCIAL NETWORK

Con questa premessa e con una certa dose di arroganza, che non manca mai nel mondo della tecno-finanza, TikTok in Italia ha poi voluto fare anche un gesto più forte. E ha deciso, motu proprio, che sul suo social, dove gli utenti unici mensili nel nostro Paese si avvicinano ai 5 milioni, ci si può iscrivere già a 13 anni, e non a 14 anni come prevede la legge italiana. È come se la Fiat dicesse che le sue automobili si possono guidare con il patentino (che si ottiene a 14 anni) riservato ai conducenti di motocicli e non con la patente (per la quale bisogna avere compiuto la maggiore età). Qualcuno ha fiatato di fronte alla prepotenza di TikTok? Si è visto un magistrato che ha alzato un dito per segnalare un reato? La legge italiana non vale per tutti?

Il secondo buco nero è la palude nella quale si muove, o finge di muoversi, il pachiderma del Garante per la protezione dei dati personali. Già alla fine dello scorso anno, quindi molto prima della tragedia che ha ucciso Antonella, il Garante aveva aperto un’istruttoria contro TikTok. Con argomenti molto fondati, e sempre a proposito del modo con il quale questo social network aggira sfacciatamente la legge nazionale.

SOCIAL NETWORK: LA TUTELA DEI MINORI

Scarsa attenzione alla tutela dei minori, divieto di iscrizione ai più piccoli facilmente aggirabile, poca trasparenza e chiarezza nelle informazioni chieste agli utenti, impostazioni non rispettose delle norme sulla privacy. Quanto basta, se confermato, per arrivare almeno a una super multa. E invece, a conferma della sua totale impotenza, il Garante per la protezione dei dati personali non ha ricevuto neanche una risposta da parte di TikTok. E le sue contestazioni sono state sommerse dal silenzio tombale.

Dopo la morte di Antonella il Garante è tornato alla carica. E questa volta lo ha fatto con un provvedimento d’urgenza con il quale si chiede di interrompere il trattamento dei dati degli utenti italiani (9,3 milioni) dei quali il social network non è in grado di verificare l’età. Cosa paradossale e poco credibile, in quanto con le tecnologie a disposizione TikTok avrebbe tutti gli elementi per fare i necessari controlli e tenere fuori dal suo perimetro d’azione i ragazzi sotto i 14, e non i 13, anni. Come prevede la legge italiana.

La mossa del Garante non è più, come nel mese di dicembre scorso, l’apertura di un’istruttoria, con i suoi tempi, ma un intervento di urgenza, che dovrebbe avere effetti immediati. E invece ancora una volta TikTok ignora il provvedimento, valuta se rivolgersi a un tribunale ordinario. E lascia trapelare la seguente indiscrezione: l’Autorità competente, in termini di tutela dei minori, non è quella italiana, ma quella irlandese, il paese dove, per non pagare tasse, TikTok ha la sua sede legale.

Così il soffocante cerchio dell’impotenza legale si chiude. Resterebbe, a questo punto, una sola soluzione, di forza. Sospendere l’attività di TikTok in Italia, almeno fino a quando non ci sia la certezza sul rispetto della legge che vieta l’iscrizione ai minori di 14 anni e sulle contromisure messe in atto dal social network per applicarla. Già, ma chi si assume una responsabilità del genere? Chi ha il coraggio, nel nome di una giusta causa, di sfidare il potere dominante di un colosso della tecnologia? E di farlo anche rischiando un’onda di impopolarità considerando la diffusione di questo strumento?

PER APPROFONDIRE: Gruppi di mamme su Facebook e su WhatsApp, il regno di ossessioni e allarmismi che rovinano le scuole

COME CONTROLLARE L’USO DEI SOCIAL DA PARTE DEI PROPRI FIGLI

Intanto il nostro sconcertante senso di impotenza dal pubblico si trasferisce al privato. E qui non ci sono più norme, regole, leggi. Multe e istruttorie. No, ci siamo soltanto noi. Nudi, come genitori e come nonni, di fronte alla nostra coscienza, alle nostre responsabilità. Possiamo fare qualcosa, individualmente, per fermare questa deriva? Accidenti se possiamo! E non servono misure estreme, basterebbe un minimo di buon senso, come su questo sito abbiamo scritto più volte, per seguire da vicino i ragazzi nel loro rapporto con i social. Per accompagnarli. Per individuarne, insieme, i rischi. E anche per non escludere qualche paletto.

Questa azione, somma di comportamenti semplici quanto ragionevoli, però richiede due fattori di base che non vediamo all’orizzonte. Una disponibilità in termini di tempo e il coraggio di affrontare il rischio di un conflitto con i figli. Sono due cose che i genitori tendono a scansare e in questo caso non possono neanche chiedere aiuto alla scuola, che non ha gli strumenti, anche organizzativi, per vigilare sul rapporto adolescenti e social network.

Il tempo in famiglia, e per la famiglia, scarseggia. E quando c’è, si preferisce utilizzarlo per altro, non certo per svolgere una funzione educativa così delicata. Con questi social si sta ripetendo, ad alcuni anni di distanza, il film che abbiamo già visto a proposito dell’invasione televisiva. I genitori non considerano più la tv un elettrodomestico, ma ne fanno l’oggetto che risolve tanti problemi di gestione della vita familiare. È la tv babysitter, è la tv che tiene occupati i ragazzi e li distrae, è la tv che occupa tutto lo spazio della condivisione. Con i social sta avvenendo la stessa cosa.

Quanto al conflitto, la sola parola fa paura nelle nostre famiglie. Viene considerata una sorta di profanazione di un precario equilibrio nel quale il padre si è trasformato in amico dei figli, compagno di giochi, e ha abdicato al suo ruolo. E la madre arranca nel mettere toppe. Eppure il conflitto è vita, non dovrebbe spaventare i genitori, specie quando hanno ragioni così importanti da affermare. E dovrebbe aiutare i figli a crescere da persone autonome, responsabili e mature.

(Immagine di copertina: XanderSt / Shutterstock.com)

PREGI E DIFETTI DEI SOCIAL NETWORK:

Torna in alto