
COME RICICLARE I VESTITI DEI BAMBINI
Avere un figlio è una delle esperienze più belle e gratificanti della vita, ma, fuor di retorica, presenta sicuramente anche qualche lato oscuro. Non è tutto rose e fiori, e non si parla di filosofia, bensì di risvolti pratici: vi siete mai fermati per un attimo a pensare alla quantità spropositata di denaro che si deve mettere in conto nei primi anni di vita di un bambino o di una bambina?
Nessun cinismo, solo la freddezza dei dati. Per i primi mesi di vita del bambino i neo-genitori si trovano a dover fronteggiare una serie enorme di spese: dai pannolini alle pappe passando per l’abbigliamento: tutine e vestitini rappresentano una delle voci più care nel bilancio dei primi dodici mesi di vita del piccolo, per tacere del fatto che una tutina acquistata il mese prima potrebbe non essere più utilizzabile il mese successivo visti gli elevatissimi ritmi di crescita dei bambini appena nati. Quindi, come riciclare i vestiti dei bambini ormai inutilizzabili?
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COSA FARE CON I VESTITI CHE I BAMBINI NON USANO PIÙ
L’Osservatorio Nazionale Federconsumatori è riuscito a quantificare la spesa in soldoni: si va da un minimo di circa 7 mila euro ad un massimo di circa 15 mila euro l’anno, solo per la voce abbigliamento. Non solo, la maggior parte degli abiti dei bambini sono fatti in tessuti difficilmente riciclabili, acrilico, principalmente, seguendo il trend sprecone e anti-ambiente della moda fast per adulti.
Chiunque abbia avuto un figlio lo sa: nel giro di pochi mesi ci si ritrova la casa invasa di abitini, tutine, scarpine e accessori con un ciclo di vita brevissimo, che dopo pochi usi, di media due o tre, vengono riposti in cantina seminuovi e attendono una nuova vita addosso ad altri infanti o donati a chi ne ha più bisogno. Ma la domanda è: se ripensassimo radicalmente al concetto di abiti per i bambini e li considerassimo come ‘temporanei’ e condivisi?
Sarebbe un buon modo per ridurre lo spreco di tessuti ma anche ambientale, poiché la produzione di abiti a ritmi così elevati non è più sostenibile per il pianeta.
La risposta a questa domanda è stata la scintilla che ha permesso la nascita di YouKoala, una vera e propria start-up di ‘leasing’ di abiti per bambini.
Il funzionamento della start-up, tutta italiana, nata dall’ingegno di tre ragazzi, un pediatra, un programmatore con l’animo green e un manager con un passato da volontario nei campi profughi della Grecia, è molto semplice: immaginate di pagare una quota mensile, molto più bassa di quella che spendereste per acquistare tutto ogni volta, che va dai 30 agli 80 euro mensili, ricevendo in cambio ogni volta che lo desideriate capi nuovi su misura per il neonato. Le neo mamme scelgono il piano tariffario come fosse un abbonamento telefonico, e possono essere sicure di ricevere ogni volta i capi di cui hanno bisogno, quando ne hanno bisogno con la taglia giusta.
Ma il bello è che, contestualmente alla richiesta di un nuovo kit, vengono ritirati i vecchi vestiti che poi vengono verificati, sterilizzati e rimessi in circolo per i bambini e le bambine di quella taglia.
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START-UP YOUKOALA
C’è di più: i vestitini di YouKoala sono prodotti interamente in cotone biologico, sono anallergici e non creano problemi alla pelle delicata dei neonati, quindi non presentano coloranti nocivi o sostanze irritanti. Questo perché la sostenibilità della moda non riguarda solo la quantità di ciò che si compra ma anche e soprattutto la sua qualità. Il cotone organico dei vestiti dei kit non prevede l’utilizzo dei fertilizzanti, il lavaggio degli stessi e la disinfezione si effettua con detergenti biodegradabili e privi di allergeni.
Sembra essere un’idea solidale che non proteggerà soltanto la salute dei bambini dall’utilizzo di vestiti di basso valore, ma anche quella del nostro pianeta: considerando che per produrre una maglietta per un neonato si sprecano circa 2700 litri d’acqua, il concetto di ‘armadio condiviso’ su larga scala si può rivelare vincente.
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