Accordo di Escazú, tutti i dubbi sull’intesa per proteggere gli ambientalisti in America Latina

È la zona del mondo dove ci sono più omicidi di attivisti. Ma Brasile, Colombia e Perù non hanno firmato l’accordo. E manca ancora l’approvazione dei parlamenti dei singoli stati

Accordo di Escazú

Ci sono voluti quasi dieci anni di trattative e di negoziati e finalmente il 22 aprile 2021, in occasione della Giornata mondiale della Terra, ventiquattro paesi dell’America Latina e dei Caraibi hanno sottoscritto un’intesa per frenare la spirale di violenza contro gli ambientalisti della regione.

ACCORDO DI ESCAZÚ

L’accordo che prende il nome del luogo dove è stato sottoscritto, Escazú, in Costa Rica, obbliga i diversi paesi a introdurre leggi e norme per proteggere gli ambientalisti. L’America latina, ricordiamolo, è diventato il posto più pericoloso del mondo per si batte sui temi ambientali e in questi anni una lunga scia di sangue ha insanguinato le battaglie civili di eroi come Berta Càceres, Isidro Baldenegro, Cristina Bautista e Homero Gòmez. L’ultima vittima è ancora una volta una donna, Sandra Liliana pena Choqué, governatrice della riserva La Laguna Siberia, assassinata pochi giorni prima della firma dell’accordo di Escazù da un gruppo di narcotrafficanti che consideravano la Choqué un ostacolo alle sue attività illegali.

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ACCORDO DI ESCAZÚ PER I DIRITTI DEGLI AMBIENTALISTI IN AMERICA LATINA

L’accordo è sicuramente un passo avanti, da non sprecare per provare a spezzare la catena di omicidi ambientali, mentre la distruzione dell’ecosistema in quei paesi continua indisturbata. Ma ci sono almeno tre punti critici che rischiano di ridurre tutto a parole vuote, a partire dall’annuncio del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che ha definito l’intesa di Escazú: “un traguardo storico per il mondo”.

Il primo punto debole è che mancano all’appello alcuni importanti paesi dell’area. In particolare: il Brasile, il Perù e la Colombia. I primi due sono ad altissimo rischio deforestazione, come dimostrano i dati sconfortanti che arrivano dalla foresta Amazzonica. Sono due assenze che pesano e lasceranno una traccia negativa sulla solidità dell’intesa. Ancora più grave il forfait della Colombia. Qui gli interessi dei narcotrafficanti si sommano e si alleano con quelli di quanti sfruttano il territorio, sia attraverso allevamenti e agricoltura intensiva sia con forme distruttive delle risorse naturali dell’area. E l’omicidio della Choqué è solo una conferma di questi dubbi: che valore può avere un’intesa che esclude i paesi dove le morti sono più frequenti e l’equilibrio ambientale è più a rischio?

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ACCORDO DI ESCAZÚ PER PROTEGGERE AMBIENTALISTI

Il secondo nervo scoperto riguarda la ratifica dell’intesa da parte di tutti i Parlamenti dei ventiquattro paesi che hanno firmato l’accordo. Al momento soltanto la metà di queste nazioni ha superato il passaggio successivo approvando in sede locale il patto sottoscritto a livello internazionale. E gli altri? Fino a quando durerà la loro melina? E fino a quando non spingerà i paesi favorevoli a cambiare fronte?

Infine, terzo punto interrogativo, questo accordo è come un titolo di un tema al quale deve poi seguire uno svolgimento, o come una legge che per diventare davvero efficace ha bisogno dei decreti attuativi per l’applicazione. Qui servono norme, come dicevamo, che rendano l’America latina, dove il diritto e la legge sono sempre stati un optional, una regione sicura per chi difende la sua terra e l’ambiente in generale. Alle norme poi dovrà seguire il necessario rigore per applicarle, e una forte capacità di colpire i responsabili di eventuali reati. Al momento si parte da zero: gli assassini dei martiri dell’ambiente in America latina sono quasi tutti impuniti.

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