Turismo: gli stranieri abbandonano il Sud. Che spreco…

Troppo complicato arrivare, specie con i voli low cost, collegamenti interni con tempi biblici, cattiva qualità dei servizi: così il Sud esce dalle rotte dei grandi tour operator

Turismo in Italia: gli stranieri abbandonano il Mezzogiorno. Troppo complicato arrivare, specie con i voli low cost, collegamenti interni con tempi biblici, cattiva qualità dei servizi: così il Sud esce dalle rotte dei grandi tour operator e perde la partita con la concorrenza degli altri paesi dell’Europa mediterranea. Un conto che paga il sistema Italia che agli inizi del Duemila intercettava il 6 per cento del turismo internazionale, mentre ora la nostra quota è precipitata al 4,1 per cento.

TURISMO IN ITALIA: COSA REGGE. Reggono le grandi città d’arte, Roma, Venezia e Firenze, mentre le regioni meridionali, tutte insieme, riescono a conquistare soltanto uno striminzito 13 per cento del totale degli arrivi degli stranieri sul suolo italiano. E se nel Lazio, in Lombardia e in Veneto, la spesa complessiva dei turisti internazionali si aggira attorno ai 5 miliardi per ciascuna regione, in Campania si arriva a 1 miliardo e 419 milioni, in Sicilia a 1 miliardo e 41 milioni e in Calabria a 145 milioni. Il tesoro del Sud, con le sue coste magiche e l’enorme quantità di monumenti e luoghi storici, non è sfruttato e non lascia tracce significative, rispetto alle potenzialità di partenza, sul territorio.

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TURISMO IN ITALIA: COSA SCORAGGIA. Il primo fattore che scoraggia gli arrivi degli stranieri è quello dei collegamenti, e in particolare dei voli low cost. Un dato per tutti: in una sola settimana di luglio e di agosto del 2013 dagli aeroporti della Germania sono decollati 223 voli per le isole Baleari in Spagna e appena 17 per l’intera Sicilia. Un vero ko. D’altra parte, dove dovrebbero atterrare gli aerei low cost che portano turisti e quattrini? Catania è uno scalo ormai congestionato, con 6 milioni di arrivi l’anno, collegati in gran parte al ricco traffico commerciale, tanto che la rotta Catania-Roma è la seconda più redditizia d’Italia dopo quella che collega Milano con Roma. Ne approfitta l’Alitalia che, in un regime di semi-monopolio, vende i biglietti a tariffe stratosferiche, scoraggiando i flussi turistici. Da qui la rabbia del presidente siciliano Rosario Crocetta che pensa di mettere in campo una compagnia aerea controllata dalla regione, in grado di fare la concorrenza all’Alitalia: un progetto piuttosto velleitario, visto che l’ultima compagnia locale low cost, la Wind jet, è stata soffocata da una valanga di 140 milioni di debiti.

Lo stesso isolamento si vive in Campania, dove per anni si è pensato a un sistema aeroportuale a tripolare: Capodichino, Salerno-Pontecagnano, Grazzanise. I sogni di gloria sono poi naufragati di fronte alle realtà: lo scalo metropolitano di Napoli, infatti, vede il suo traffico ormai inchiodato attorno ai 5 milioni e 700mila e delle due piste disponibili una è riservata ai voli charter. Così le compagnie low cost preferiscono Ciampino, ma con questa scelta i flussi turistici in arrivo vengono dirottati nel Lazio e la Campania, con le sue mete da Capri e Pompei, diventa una meta da turismo “mordi e fuggi”, con andata e ritorno in autobus da Roma e pernottamento nella capitale. Mentre Capodichino non ha più spazi di crescita, il progetto di Grazzanise è stato cancellato e lo scalo di Salerno-Pontecagnano, inaugurato nel lontano 2008, è diventato un fantasma. Sul sito si avvisa la clientela che l’orario dei voli “sarà disponibile a breve tempo”. Poi telefoni, e la voce gentile di una signorina ti comunica la verità: “Non abbiamo voli dal mese di ottobre scorso. Aspettiamo che torni qualcuno e che le cose si sistemino in alto…”. Speranza vana, al momento, anche perché l’aeroporto di Salerno-Pontecagnano ha un vizio di fondo, con una pista troppo corta per consentire gli atterraggi dei mezzi low cost.

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Gli aeroporti fantasma, pensati per il turismo internazionale, sono una prerogativa del Mezzogiorno. Esistono almeno trenta progetti per scali di questo genere nelle regioni meridionali, in un Paese che ha già un aeroporto ogni 50 chilometri, ma restano nei cassetti di qualche assessore oppure si trasformano in mini-cattedrali nel deserto, come nel caso di Comiso, in provincia di Ragusa. Pensato come uno scalo su misura per i voli low cost, l’aeroporto di Comiso è riuscito dal luglio scorso, dopo anni di attesa, ad avere i suoi primi voli, ma si tratta di rotte come quella commerciale con Malta o con Ciampino. Le grandi compagnie, come la Wizzair per i passeggeri provenienti dall’Europa dell’Est e la Rynair per gli arrivi dall’Europa del Centro-Nord, hanno risposto picche. Non sono interessate alla meta siciliana.

La Rynair minaccia di lasciare anche lo scalo di Brindisi, in Puglia, strategico per il turismo internazionale nel Salento: il contratto scade nel prossimo anno e la compagnia, insoddisfatta per i risultati, ha già annunciato l’intenzione di lasciare la regione. Sarebbe un colpo durissimo per la Puglia, visto che la Rynair rappresenta la prima compagnia straniera che opera nella regione e concentra buona parte del traffico di Bari e Brindisi che insieme raggiungono i 5 milioni complessivi di passeggeri. La regione per correre ai ripari e per favorire il turismo degli stranieri torna a parlare dell’apertura di due scali a Grottaglie e Foggia, ma entrambi i progetti sono stati cancellati dal piano nazionale degli aeroporti firmato dall’ex ministro Corrado Passera.

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Quanto ai collegamenti interni nel Sud siamo ancora alla preistoria. Il Mezzogiorno turistico dovrebbe essere venduto come un unico pacchetto, una sorta di Grand Tour tra le bellezze meridionali. E invece mentre raggiungere, per esempio, la Puglia dalla Campania significa infilarsi nella trappola autostradale, tra le regioni del Sud si consuma una sorta di guerra dei poveri senza vincitori, dove alla fine perdono tutti. Il turista straniero che arriva a Reggio Calabria o a Lametia Terme, per poi raggiungere la Sicilia, deve rassegnarsi: le coincidenze con gli aliscafi e i traghetti che attraversano lo Stretto di Messina sono studiate a tavolino per non quadrare. Prendi l’aereo e perdi l’aliscafo, o viceversa. Un assurdo, in quanto basterebbe un semplice coordinamento tra compagnie aeree e società di navigazione, ispirato però da una logica perversa e non casuale: gli amministratori della Calabria non vogliono smistare turisti verso la Sicilia. E preferiscono che a perderli siano entrambe le regioni, con i numeri che abbiamo visto.

La stessa logica di sciagurato campanilismo si consuma a proposito della spesa regionale per il turismo nel Sud. Invece di unire le forze e presentarsi sul mercato internazionale con un’offerta compatta, le regioni meridionali procedono in ordine sparso. In Sicilia, per esempio, i fondi europei per il turismo sono spalmati in 26 distretti locali, dai “borghi marinari” ai “luoghi degli antichi mestieri”, e con lo stesso criterio a pioggia la regione distribuisce ogni anno contributi per quasi 130 milioni di euro. Risultato: le presenze turistiche sull’isola sono pari a un terzo di quelle in Emilia Romagna, che spende meno della metà per finanziare il turismo locale. E i tedeschi, per le loro vacanze, preferiscono il mare delle isole Baleari.

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