
Nel mondo della moda, l’etica inizia a fare tendenza. Il “buono” si unisce al “bello”, e allo studio di linee e colori, si affianca l’interesse per processi di lavorazione ispirati allo sviluppo sostenibile. In crescita da circa 10 anni, almeno in Europa, oggi – secondo le ultime rilevazioni di Icea, l’Istituto di certificazione etica e ambientale, la moda etica genera un fatturato complessivo di circa 370 milioni di euro. A sostenere questo mercato alternativo, secondo una ricerca dell’International Trade Center (Itc), sono consumatori dai 20 ai 40 anni, soprattutto donne e professionisti.
Anche in Italia sta crescendo l’interesse verso il settore, in particolare per quello dei tessuti biologici.
Non a caso lo scorso mese la capitale ha spalancato le porte all’Ethical Fashion, un progetto nato dalla collaborazione tra AltaRoma e Itc, mentre a Milano per la prima volta durante le ultime sfilate e’ approdato l'”Ethical Fashion Show”, ideato cinque anni fa a Parigi per presentare le collezioni di stilisti che lavorano a stretto contatto con produttori locali. Sempre a Milano, in questi giorni, la moda etica sfila sulla passerella di “Fa’ la cosa giusta”, la manifestazione dedicata al consumo critico che si tiene a Fieramilanocity. In mostra, giovani stilisti indipendenti, charity brands, produttori di abbigliamento e accessori realizzati con tessuti naturali e materiale di riciclo.
Tra gli espositori c’e’ Carmen Bjornald: ex modella e musicista nella Peter Jack Band, gruppo pop degli anni Ottanta, ora crea accessori con materie prime riciclabili e naturali, come borse e zaini realizzati con pagine di riviste di moda, mappe e fumetti, vecchi spartiti musicali. Ma ci sono anche creativi che producono accessori con “ex” sacchetti della spesa, o borse realizzate con pagine di riviste di moda selezionate da una cooperativa di donne di Medan, in Indonesia, o chi trasforma vecchie camere d’aria in camicie e T-shirt, borse in legno compensato.
Il risvolto etico si esprime anche nella responsabilita’ sociale, strada battuta da alcuni stilisti che devolvono parte degli utili a progetti di cooperazione. Anche l’ecosostenibilita’ fa la sua parte: camicie da uomo trasformate in abiti da donna, ecosostenibili e a chilometri zero perche’ prodotti da manodopera locale.
All’insegna del dialogo alcune linee di abbigliamento, come quella del Pavese che realizza abiti con sete prodotte da donne del Laos. Infine, le collezioni ‘eco’, come quella di Altromercato, la principale organizzazione italiana di commercio equo e solidale: camicie e abiti nati dal tessuto dei tradizionali sari indiani, riciclati per una second life solidale e sostenibile, nel rispetto dei diritti dei produttori del Sud del Mondo.