Urbanità: perché siamo diventati cittadini aggressivi, maleducati e rumorosi?

L'eclissi di una fondamentale virtù civile. Scrive Voltaire: «Noi viviamo in società, non c’è altro di squisitamente buono per noi se non ciò che fa il bene della società».

MALEDUCAZIONE CITTADINI

Quanto tempo riuscite a stare in fila a un semaforo senza ritrovarvi con un maleducato alle vostre spalle che schiaccia il clacson? Frazioni di secondo, attimi del passaggio tra il giallo e il verde, nei quali si scatena l’hybris dell’automobilista cafone. Quante volte vi è capitato che qualcuno vi chieda un’informazione, anche con tono insolente, senza fare precedere la richiesta dalla parolina ‘Grazie’ e senza rispondervi innanzitutto con un ‘Grazie’? Tante volte. E quante volte si sono rivolti a voi abusando dell’utilizzo del tu, come se l’interlocutore si sentisse un nostro parente stretto?

Parliamo di città intelligentisostenibili, dove il computer accende e spegne le luci quando passeggiamo, dove circoleranno le auto senza conducente, dove la mobilità sarà affidata alle sofisticazioni della tecnologia. Ma intanto intanto dobbiamo fare i conti con una più casareccia maleducazione di massa, che ha cancellato dal vocabolario, e quindi dai nostri stili di vita, una parola chiave per stare insieme, come comunità: l’urbanità.

Quando andiamo a parlare nelle scuole, spesso orfane del prezioso insegnamento dell’Educazione civica, proviamo sempre a fare una domanda sull’urbanità, per chiedere agli studenti la loro opinione sul significato di questa parola. Non la conoscono. E se qualcuno ne ha sentito parlare, ne confonde il significato con l’altro senso assegnato alla parola, ovvero il rapporto della popolazione residente tra città e campagna.

L’urbanità ha radici antichissime, era molto nota e applicata nella polis greca e nelle città romane (l’etimologia della parola deriva appunto dal latino urbanus, “che appartiene al vivere in città”), e se volessimo semplificare il suo rotondo significato, potremmo dire semplicemente che si tratta di quei modi gentili, cortesi, educati, di comportarsi nei rapporti con gli altri. Modi che dovrebbero essere la regola, e invece sono diventati l’eccezione. Perché? Come tutte le torsioni degli stili di vita, delle abitudini che toccano la sfera dei comportamenti, i cambiamenti non sono mai semplici e univoci da spiegare.

Però alcune cose sono evidenti, e hanno anche il supporto delle ricerche scientifiche che approfondiscono i temi della violenza. Siamo diventati prigionieri del linguaggio semplificato e spesso violento e volgare dell’universo della comunicazione, ormai dominato da televisione, in versione trash, e social, sversatoi di malumore e di insulti per eccellenza. Non riusciamo più a trasmettere, nei luoghi strategici dell’educazione, dalla casa alla scuola, dai genitori agli insegnanti, il valore, il significato, l’importanza della gentilezza e delle buone maniere, in qualsiasi tipo di rapporto umano. E c’è anche da chiedersi se più che non riuscire, in realtà non vogliamo trasmettere questo essenziale bagaglio di civiltà a chi viene dopo di noi. 

Ancora: non riusciamo più a essere davvero leggeri, in senso calviniano, il contrario della superficialità, e nell’appesantire i nostri rapporti, lasciamo entrare, tra gli ingredienti del menù chiamato “Chi siamo”, anche gli atteggiamenti ispirati alla prepotenza, alla scortesia, alla cattiva educazione. Alla ricorrente caduta di stile, di solito più frequente con i più deboli.

vivi lieve Antonio Galdo

Eppure l’urbanità è un architrave della convivenza. Senza, è impossibile sfuggire alla violenza urbana, alle quotidiane liti di condominio, a un linguaggio nel traffico che poggia solo e sempre sull’insulto. Gli illuministi, furono loro i primi a codificare la virtù civile dell’urbanità, avevano ben capito che si trattava di una materia in grado di unire il privato al pubblico «in un commercio di benefici reciproci», come scrive VoltareAggiungendo poi: «Noi viviamo in società, non c’è dunque altro di squisitamente buono per noi se non ciò che fa il bene della società. Un solitario sarà pur sobrio, pio, ma finché è solo, non è né un benefattore né un malfattore. Non è nulla per noi».

Senza l’urbanità, in uno spreco esponenziale di tempo, salute, benessere, calore umano, c’è il vuoto tra i cittadini, tra le comunità, e tra i cittadini e le istituzioni. E nel vuoto si soffre, si covano rancori, rabbie, isolamento. Pensateci, prima di mettervi a suonare un clacson davanti a un semaforo appena il giallo sta diventando verde.

Leggi anche:

Vuoi conoscere una selezione delle nostre notizie?
Torna in alto