Perché bisogna restituire qualcosa della propria ricchezza

Nessun dovere, nessuna legge né civile né morale, ma solo l’esercizio di una responsabilità, da non sprecare. Anche nel proprio interesse

restituire qualcosa della propria ricchezza

Guai a essere invidiosi della ricchezza degli altri: sprecate tempo. L’invidia, come il rancore, più che un sentimento, uno statod’animo, un’emozione, è soltanto un veleno, dannoso e tossico per se stessi e per gli altri. Evitatelo, con i vaccini naturali in circolazione e senza disturbare il vostro medico di famiglia o il farmacista: leggerezza, empatia, ironia.

Piuttosto, chi è ricco, e oggi con l’aria che tira nel mondo dominato dalla tecno-finanza probabilmente è anche super ricco, potrebbe spendere una piccola parte del suo tempo non più ad accumulare (tra l’altro, come scriveva Totò nella dolcissima e spiritosissima poesia ‘A livella, dove pensa di portare tanta roba?), ma a restituire.

Il verbo rischia di trarre in inganno, a partire dalla sua radice etimologica: deriva dal latino restituĕre  che evoca il “ridare ciò che è stato tolto”. Il ricco, come una persona benestante, magari ha solo costruito la sua fortuna senza mettere le mani in tasca a nessuno, e grazie alle sue capacità, al suo lavoro, alle sue intuizioni,  e alla sua passione. Il noto mix del successo al quale non va mai sottratta la quota da assegnare alla nota quanto imprevedibile Dea Bendata, ovvero la fortuna, il caso.

 Ma allora se non hai tolto, perché devi restituire qualcosa del privilegiato benessere del quale godi? Senza spingerci nel terreno della filosofia e della morale, molto banalmente il ricco-benestante ha comunque delle responsabilità, proporzionate alla sua prosperità,  verso gli altri, anche se fa fatica a vederli.  Non c’è una legge scritta in qualche Costituzione, né ci sono precisi precetti morali ai quali dare conto, ma la restituzione di qualcosa che ci appartiene, in quanto fortunati e privilegiati abitanti del Pianeta Benessere, è scolpita già nell’appello, ai ricchi del tempo,  di quel vecchio saggio di Aristotele: «Chi ha di più ha anche più responsabilità verso gli altri, verso la sua comunità».  E da Aristotele arriviamo velocissimi, il tempo di una sbirciatina a quanto scrive sull’argomento l’Intelligenza Artificiale, ai giorni nostri, laddove intere società (pensate al mondo anglosassone, con in testa gli Stati Uniti, il regno della ricchezza e dei super ricchi) si reggono anche sul presupposto che appena hai fatto il primo scalino della tua fortuna, ti devi inventare qualcosa, che può essere una donazione a un museo, a una università, o una Fondazione filantropica, attraverso cui restituisci una piccola parte di ciò che hai creato. Quindi, la generosità insita nell’idea di restituire, senza attendersi contropartite di alcun genere, viene dopo la consapevolezza di una responsabilità, che non puoi sprecare per distrazione, o peggio, per indifferenza, una categoria alla quale appartengono anche la tirchieria e l’avidità, entrambe della stessa famiglia genetica.

Restituire qualcosa della propria ricchezza, poi, ha un valore da effetto boomerang di segno positivo: chi riesce a farlo si sente meglio, forse anche perché si illude di lavarsi la coscienza, ma comunque ha dimostrato di saper stare al mondo senza l’occhio fisso sul proprio ombelico. Rifletteteci: anche il gesto più minuscolo e insignificante del restituire, l’elemosina, ha questo effetto, ed è uno dei motivi per i quali va fatta sempre, senza e senza ma, tranne nel caso di alcune, specifiche eccezioni.

 La restituzione, per una persona ricca e\o benestante, è come la condivisione: chi mai è stato felice, sereno, allegro, vivendo chiuso e rattrappito nel proprio benessere? A cosa servono i soldi (comunque un mezzo, e non un fine), se poi non si è capaci di condividere con altri, innanzitutto con le persone alle quali vogliamo bene,  ciò che possiamo permetterci grazie al denaro?

La restituzione è sempre una scelta, mai un obbligo. E in questa decisione c’è anche il seme di una pianta che oggi è davvero essiccata: la redistribuzione della ricchezza, che invece continua a essere sempre più concentrata, un fenomeno dal quale nasce una buona parte del malessere delle società contemporanee. Redistribuire è anche nell’interesse dei ricchi-benestanti, e loro lo sanno benissimo, come dimostra anche il fatto che ogni tanto c’è un milionario che chiede di pagare più tasse. Parla, porta a casa un titolo con fotografia, e poi la forbice tra la minoranza dei super ricchi e la maggioranza di chi sta slittando verso la zona grigia del disagio economico e sociale, si allarga.

Tornando a Totò e alla sua ‘A livella,  la concentrazione sempre meno sostenibile della ricchezza ormai si misura anche attraverso le decisioni che i ricchi prendono prima di morire. Una delle banche svizzere specializzate nella gestione dei patrimoni del club dei miliardari ha fatto due conti sui patrimoni dei propri clienti, e ha scoperto che nel 2025, nel mondo, un club di  91 eredi (64 uomini e 27 donne) hanno ereditato 297,8 miliardi di dollari, una cifra corrispondente a un aumento del 36 per cento rispetto all’anno precedente. Dunque, le  cose non vanno male per i ricchi, anzi, anche se poi hanno il problemino di scrivere un testamento che non abbia un appendice in tribunale, mentre, altro dato segnalato dai banchieri svizzeri, gli eredi in generale, quelli che un tempo grazie al caro estinto si ritrovano con la casa e un gruzzolo in banca, stanno diminuendo nel mondo occidentale. Segnali inequivocabili, non serve una laurea in Economia per decifrali, di distanze che si allargano, tra i pochi e i tanti, e se per caso facciamo parte del primo gruppo, nel momento in cui restituiamo qualcosa, come più ci garba, senza però evadere le tasse con la scusa di fare una Fondazione senza scopo di lucro (in questo caso più che restituire stiamo semplicemente derubando qualcuno, lo Stato, alias la comunità di Aristotele), abbiamo comunque dato un piccolo contributo alla redistribuzione del benessere, una macchina che prima o poi dovrà tornare a circolare. 

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