La plastica “buona” viene dal mare: non inquina, e recupera scarti della lavorazione del pesce

L'ha inventata una studentessa 24enne di Londra, Lucy Hughes, vincitrice dell'edizione 2019 dell'International James Dyson Award, premio per designer e inventori. Si chiama MarinaTex, e deriva dalla lavorazione di ossa e cartilagini di pesce unite all'alga rossa

plastica dagli scarti di pesce

Resistente, biodegradabile,che non inquina e che, anzi, recupera. Ecco l’identikit dell’invenzione vincitrice della scorsa edizione del premio internazionale James Dyson: una plastica ideale per l’uso domestico ed alimentare, che risolve il problema dell’usa e getta e del marine litter e che, inoltre, aiuta a recuperare materiale organico che deriva dagli scarti di lavorazione del pesce pescato.

LEGGI ANCHE: Bioplastica, i vantaggi di un materiale prodotto da scarti agricoli. E’ biodegradabile e riciclabile. E non inquina (foto)

PLASTICA DAGLI SCARTI DI PESCE

Tutto merito di una giovane studentessa dell’Università del Sussex, Lucy Hughes, di 24 anni, che ha avuto la tenacia e la perseveranza di portare avanti il suo progetto di ricerca di questo innovativo materiale: una bioplastica costituita da rifiuti organici di pesce normalmente destinati alla discarica o all’incenerimento amalgamata con alghe rosse, molto presenti nell’ecosistema marino inglese, ricche di sostanze addensanti, facili da reperire e, soprattutto, low cost. È un materiale in fogli, traslucido e flessibile, caratteristica che lo rende ideale per imballaggi monouso.

I paragoni con la plastica polimerica, però, si fermano alla somiglianza esteriore: MarinaTex, questo è il nome della sostanza, non richiede molte risorse né tantomento troppa energia per essere prodotto.  Poco impattante dal punto di vista ambientale, si biodegrada dopo 4-6 settimane, ed è adatto per il compostaggio domestico poiché non rilascia sostanze tossiche. In più, permette di trasformare uno scarto in una risorsa, in pieno spirito circolare: gli scarti della lavorazione del pesce, come le frattaglie, il sangue, le conchiglie o le squame, vengono salvati dalla discarica e rilavorati  impastandoli con le alghe. Essendo ricchi di strutture proteiche salde, diventano ancora più indistruttibili e flessibili, perfetti per un materiale che richiede una certa resistenza oltre che versatilità.

Inoltre, procurarsi le materie prime alla base di MarinaTex non è affatto difficile: la pesca industriale è un’attività molto praticata e molto redditizia per la Gran Bretagna, in grado di muovere un comparto che vale 980milioni di sterline e pescare, annualmente, circa 724mila tonnellate di pesci e molluschi, tra cui una delle specie i cui scarti sono stati scelti da Lucy per la sperimentazione, il merluzzo bianco atlantico.

Hughes stessa afferma che,  un esemplare di merluzzo di medie dimensioni genera una quantità di rifiuto organico adatta alla fabbricazione di circa 1400 buste in MarinaTex. Aggiungiamo al dato il fatto che, delle 724mila tonnellate circa 15mila sono merluzzi, il conto è presto fatto.

MARINATEX

La bioplastica fatta con gli scarti del mare, dunque, chiude il ciclo di vita dei prodotti ittici e apre un 4ciclo di vita di un nuovo materiale, riducendo anche l’impatto ambientale delle attività di pesca e risolvendo il problema, dai numeri spaventosi, della plastica usa e getta. MarinaTex, ancora allo stadio embrionale, ha entusiasmato la commissione giudicante del prestigioso premio Dyson, che ha premiato Lucy Hughes con 30mila sterline. Lei, dalla pagina ufficiale del premio, racconta che, per mettere a punto MarinaTex ci sono voluti 100 esperimenti, in larga parte nella cucina del campus dell’Università, e che ha intenzione di reinvestire i soldi nello sviluppo del nuovo biomateriale e nella commercializzazione della sua invenzione.

(Immagine in evidenza tratta dalla pagina web del The James Dyson Award // Photocredits: The James Dyson Award )

BIOPLASTICHE E MATERIALI SOSTENIBILI:

 

 

 

 
Torna in alto