Coronavirus, perché l’Italia ha il record mondiale di contagiati dopo la Cina

I primi colpiti risalgono a fine gennaio. Mentre si sono sprecate risorse e tempo in un’inutile caccia al paziente zero, abbiamo fatto un’enormità di tamponi. Dieci volte che in Francia

Come mai l’Italia ha un numero così alto di contagiati? Possibile che, tra tutti i paesi del mondo, sia proprio l’Italia ad avere il triste primato di stare dietro alla Cina per le vittime del coronavirus? Per rispondere correttamente a queste domande, ascoltando sempre la voce degli esperti e non banali opinioni, bisogna partire dalla ricostruzione dell’arrivo del virus nel nostro Paese.

PERCHÉ IN ITALIA CI SONO TANTI CASI DI CONTAGIO

Il periodo individuato è quello della fine del mese di gennaio, quando del coronavirus si parlava molto poco, perfino in Cina (e qui abbiamo scontato la reticenza delle autorità politiche e sanitarie cinesi) e il «paziente zero» era già all’opera in Italia. Il contagio era iniziato. Specie all’interno di quella che poi è diventata la «zona rossa», la più colpita e la più rischiosa. Una zona, basta studiarla sulla carta geografica, dove i movimenti di persone e merci da e per la Cina sono quotidiani. E riguardano da un lato le tantissime comunità cinesi ormai insediate ovunque nell’Italia settentrionale, e dall’altro versante gli italiani che vanno e vengono con il continente asiatico per motivi commerciali e imprenditoriali.

Mentre è partita una caccia all’uomo, ovvero al «paziente zero», la cui individuazione oggi viene considerata del tutto inutile dagli epidemiologi, è scattato un secondo fattore che ha amplificato il caso Italia. Un uso forsennato, e poco ragionevole, dei tamponi.

Mossi dalla paura, e dall’incapacità di individuare il «paziente zero», si è pensato di essere rassicurati da esami a tappeto. Un errore madornale. Solo per fare un esempio, fino alla fine di febbraio in Francia sono stati fatti tamponi per un numero di persone pari a dieci volte in meno rispetto all’Italia.

Infatti, i medici non fanno altro che raccomandare i tamponi soltanto a soggetti che presentano i sintomi del coronavirus oppure a chi proviene dalla zona rossa dove si trovano, documentati e accertati, i focolai più pesanti della malattia. Quindi, il tampone, nel primo caso, scatta e si richiede se sono ben evidenti i sintomi di esordio dell’infezione respiratoria delle alte vie aeree (categoria alla quale appartiene il coronavirus). Quali? Febbre, stanchezza, tosse secca, dolori muscolari o ossei, congiuntivite, naso che cola, mal di gola. Infine, tra i sintomi di esordio non vanno trascurati, come nel caso di diverse infezioni virali, problemi gastro-intestinali, dalla diarrea ai disturbi dell’alvo.

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CORONAVIRUS: CASI DI CONTAGIO IN ITALIA

Tornando al nostro racconto, una volta commesso l’errore fatale dei tamponi facili, le statistiche hanno virato a sfavore dell’Italia, amplificando una situazione di per se stessa grave.  E appesantita dal fatto che nello stesso periodo in Italia raggiungeva il suo picco l’influenza di stagione, con circa nove milioni di persone colpite.

A questo punto, la frittata è fatta. E il fatto che dopo di noi arrivano, mano a mano, anche le statistiche sui contagiati degli altri paesi, è solo una magra, magrissima consolazione. L’unica cosa che adesso possiamo fare è quella di rispettare alla lettera, e anche di più, le stringenti misure di sicurezza messe in campo, quasi ovunque e con diversa gradualità nelle varie zone, per contenere il virus e impedirne il contagio. In Cina hanno funzionato con ottimi risultati, e lo stesso dovrebbe avvenire anche in Italia. Sempre che riusciamo a essere più che buoni cittadini, semplicemente persone che non hanno smarrito il loro buonsenso.  

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