
Immaginate di essere in Francia.
State camminando su un marciapiede
affollato a Parigi mentre
un altro pedone avanza nella
direzione opposta. Se non cambiate
traiettoria, vi scontrerete.
Da che parte vi spostate?
Quasi sicuramente a destra. Se però la
stessa situazione si ripetesse in una qualsiasi
parte dell’Asia, probabilmente andreste a
sinistra. Il motivo non è chiaro: nessun paese
si dà indicazioni in proposito (a parte la
Corea del Sud, dove c’è una campagna per
invitare i pedoni a tenere la destra). E non
esiste una correlazione con la corsia di marcia
delle auto: i londinesi, per esempio, sul
marciapiede tengono la destra.
Mehdi Moussaid, del Max Planck institute
di Berlino, spiega che questo comportamento
è legato alle probabilità. Se due
persone che avanzano l’una verso l’altra anticipano
correttamente le reciproche intenzioni
e si fanno da parte per evitare di scontrarsi,
è verosimile che la volta successiva,
in circostanze simili, si comporteranno allo
stesso modo. Le probabilità che la manovra
abbia successo aumentano nel momento in
cui sempre più persone scelgono una parte
invece dell’altra, ino a che non diventa una
tendenza. Che sia la destra o la sinistra non
conta. Conta la volontà silenziosa della
maggioranza.
Tutto questo contrasta con un preconcetto
diffuso sui pedoni. Più di qualsiasi altro
modo di spostarsi (per esempio prendere
la metropolitana all’ora di punta o restare
bloccati nel traffico), camminare sembra
offrire la massima libertà di scelta. In realtà
i pedoni sembrano autonomi, ma sono
sempre condizionati dagli altri: ogni volta
che si spostano per evitare di scontrarsi o
seguono chi gli sta davanti o cercano di
orientarsi in una strada affollata, sono
estremamente mobili, ma allo stesso tempo
prevedibili. “Sono particelle dotate di volontà”,
spiega Dirk Helbing del politecnico
federale di Zurigo.
Helbing e Moussaid sono all’avanguardia
in un campo di ricerca piuttosto recente,
che cerca di capire e interpretare i modelli
di comportamento dei pedoni. Capire i lussi
dei pedoni permette di aumentare il livello
di sicurezza nelle situazioni in cui sono
coinvolte le folle. Conoscere la propensione
delle diverse nazionalità a scartare in un
senso o nell’altro, per esempio, è fondamentale
per gli organizzatori di eventi come
i Mondiali di calcio, dove si mescolano i
tifosi di tanti paesi. Se istintivamente le persone
non scelgono di spostarsi tutte dallo
stesso lato, le probabilità di collisione aumentano.
In un luogo afollato, questo può
provocare molti rallentamenti.
Nel 1995 Helbing e Peter Molnar, entrambi
isici, hanno creato social force, un
modello computerizzato che usa le informazioni
sul comportamento delle particelle
nei luidi e nei gas per descrivere il movimento
dei pedoni. I due studiosi sono partiti
dal presupposto che le persone sono attirate
da alcune cose, come la meta verso cui
sono dirette, e respinte da altre, come la
presenza di altri pedoni sulla loro strada.
Grazie a social force sono riusciti a prevedere
diversi tipi di organizzazione spontanea
delle folle che si vedono nella vita reale.
Per esempio, la propensione delle folle
ad alta densità a dividersi in ile per migliorare
lo scorrimento nei due sensi di marcia.
Per avanzare non c’è bisogno di negoziare
con ogni pedone che arriva dalla direzione
opposta, basta seguire quello davanti a sé. È
sicuramente meglio che cercare di superarlo:
secondo gli studi di Moussaid, quando in
mezzo alla folla qualcuno prova a superare
e aumentare l’andatura, costringe la ila che
avanza nella direzione opposta a dividersi
in due tronconi, che a loro volta rompono
altre ile e così via. Di conseguenza tutti si
muovono più lentamente.
Distanza ravvicinata
Un altro modello di organizzazione spontanea
si sviluppa quando due lussi opposti di
persone si incontrano a un crocevia: pensiamo
a un gruppo di genitori che portano i igli
a scuola mentre un altro gruppo, dopo
aver lasciato i bambini, cerca di uscire. Man
mano che le persone avanzano in un senso,
la densità dal loro lato cala. A quel punto le
persone che aspettano dall’altra parte ne
approittano per passare, ino a quando la
densità non cala anche dal loro lato e il processo
si inverte. Ci sono dunque una serie di
lussi alternati di traico in entrata e in uscita.
Questa oscillazione dei lussi è talmente
intelligente che Helbing si è chiesto se non
si possa applicare al traico automobilistico.
I semafori funzionano secondo cicli issi:
la durata del verde dipende dai lussi di
traico registrati in passato. Ma se i lussi
cambiano, gli automobilisti restano fermi
troppo a lungo al semaforo con il motore
acceso, a scapito dell’ambiente e dei loro
nervi. Secondo Helbing sarebbe meglio
avere dei sistemi decentrati su base locale,
capaci, proprio come i genitori all’entrata
delle scuole, di rispondere alle variazioni
del traico allungando la durata del verde.
L’idea ha convinto le autorità municipali di
Dresda e Zurigo, che presto la metteranno
in pratica.
Cercare di sintetizzare in un’equazione
ogni aspetto del movimento dei pedoni è
molto complicato. C’è il problema di come
rappresentare le preferenze culturali: per
esempio se le persone tendono a spostarsi a
destra o a sinistra, o quale distanza minima
mantengono tra sé e gli altri. Nel 2009 un
esperimento ha esaminato la velocità dei
tedeschi e degli indiani. A gruppi di volontari
di ciascun paese è stato chiesto di camminare
in ila in un percorso di forma ellittica,
delimitato da corde e sedie. A bassi livelli
di densità la velocità è simile, ma quando
la densità aumenta gli indiani camminano
più velocemente dei tedeschi. Questo non
stupirà chi è stato a Monaco e a Mumbai:
semplicemente, agli indiani dà meno fastidio
andare a sbattere addosso agli altri.
Ma assimilare il comportamento delle
persone a quello delle particelle è diicile
anche per un altro motivo: circa il 70 per
cento dei pedoni nella folla si muove in
gruppi. È un aspetto importante, come sa
bene chiunque abbia provato a superare un
gruppo di turisti che passeggia sul marciapiede.
I gruppi ristretti, invece, tendono a
creare delle curiose minicoreograie. Osservando
il comportamento della folla sui
marciapiedi a Tolosa, in Francia, si nota che
i gruppi di tre o quattro persone tendono a
disporsi a V o a U, con i pedoni al centro leggermente
arretrati. Per muoversi più velocemente,
un gruppo di tre dovrebbe in teoria
disporsi a V rovesciata, come fanno le
oche: chi sta al centro dovrebbe avanzare
leggermente creando un cuneo. Le persone
invece preferiscono schierarsi in un modo
che facilita la comunicazione: evidentemente
parlare è più importante che camminare.
Per superare queste diicoltà, Moussaid
ha costruito un modello che si basa meno
sull’analogia tra esseri umani e particelle e
più sulla scienza cognitiva. Gli attori in movimento
possono vedere quello che hanno
di fronte, prima di cercare di farsi strada
nella folla. Anche in questo modello si formano
diverse corsie di scorrimento all’interno
delle folle, ma con qualche vantaggio
in più.
Gli esperti pensano che questo approccio
possa rendere più sicure le procedure di
evacuazione in caso di emergenza. La simulazione
delle evacuazioni è una parte
rilevante del lavoro di chi studia i modelli di
comportamento dei pedoni: non a caso fu
l’incendio alla stazione della metro di
King’s Cross a Londra, nel 1987, a dare impulso
a questo nuovo ilone di ricerca. Nelle
situazioni di emergenza il grande rischio è
che tutti seguano la massa e si accalchino
verso un’unica uscita. E inoltre che troppe
persone spingano per uscire da un passaggio
stretto.
I modelli basati sulla isica hanno trovato
una risposta al problema dell’“arco” (così
chiamato per la forma della folla che si
ammassa intorno all’uscita). Le simulazioni
indicano che il lusso dei pedoni attraverso
un passaggio stretto può essere migliorato
piazzando un ostacolo, per esempio una
colonna, davanti all’uscita. Questo, in teoria,
dovrebbe avere l’efetto di dividere la
folla in due, facilitando lo scorrimento. In
pratica, però, l’idea di mettere una barriera
davanti a un’uscita di emergenza è troppo
poco intuitiva perché qualcuno si azzardi a
sperimentarla. Il modello basato sulla
scienza cognitiva ofre un’alternativa più
accettabile, che sfrutta l’efetto dei cambiamenti
nel campo visivo delle persone. Secondo
Moussaid, per esempio, un sistema
di illuminazione lessibile, che usi il buio
per respingere le persone e la luce per attirarle,
può essere usato per indirizzare la
folla.
Nelle situazioni di massimo afollamento,
però, l’approccio cognitivo è inadeguato.
“A bassi livelli di densità scatta un comportamento
cognitivo e strategico”, dice Moussaid.
“Ma ad alti livelli di densità diventa
una questione di spostamenti di massa e
pressioni isiche”. Oltre una certa soglia, il
movimento della folla passa da un lusso
controllato a una serie di arresti e ripartenze,
perché i pedoni sono costretti ad accorciare
il passo e a fermarsi per evitare le collisioni.
Questo andamento può sfociare
nella cosiddetta “turbolenza della folla”, un
fenomeno molto più allarmante, che si veriica
quando non si riesce più a tenere uno
spazio tra sé e gli altri. In questo caso le
spinte che si distribuiscono da un corpo
all’altro diventano caotiche e potenti al
tempo stesso: quando qualcuno cade, gli
altri non sono in grado di evitarlo.
Alla Mecca
È diicile capire esattamente come e quando
avvengono questi passaggi. Altrettanto
complicato è tenere sotto controllo la folla
una volta che si innesca il processo di arresto
e ripartenza. Il trucco, quindi, è prevenire
l’affollamento eccessivo. Dai grandi
eventi come le Olimpiadi alla progettazione
di nuove stazioni ferroviarie, le imprese di
ingegneria fanno regolarmente delle simulazioni
per cercare di capire in quali zone
potrebbe veriicarsi l’afollamento. Usano i
comuni software in commercio per individuare
i potenziali colli di bottiglia in particolari
ambienti come uno stadio o una stazione
della metropolitana. Poi questi modelli
identiicano i punti di entrata e di uscita
di un determinato luogo e usano degli
“algoritmi di istradamento” che smistano il
traico verso le rispettive destinazioni.
Una volta individuato un potenziale
punto di congestionamento, si possono
usare modelli più rainati per scendere nel
dettaglio. In questa seconda fase gli studiosi
possono modiicare i progetti architettonici
delle strutture in costruzione o intervenire
su quelle esistenti. “Ormai sappiamo
molte cose sui movimenti delle folle”, osserva
Helbing. “Dovremmo poter evitare i
disastri”.
Il miglior banco di prova per tutte queste
conoscenze è l’Hajj, il pellegrinaggio annuale
alla Mecca che ogni musulmano è
chiamato a fare almeno una volta nella vita.
Con tre milioni di pellegrini che si spostano
ogni anno, l’Hajj ha una lunga storia di fughe
di massa e morti. I ilmati delle fughe
durante l’Hajj sono usati da molti studiosi
per veriicare le simulazioni di turbolenza
della folla. Negli ultimi anni le autorità saudite
si sono rivolte a dei consulenti, concentrandosi
in particolare sulla conformazione
del ponte Jamarat. Secondo il rito, da questo
ponte ogni pellegrino deve scagliare 21
pietre contro le tre steli che rappresentano
il diavolo. Introducendo il senso unico e
modiicando la forma delle steli per permettere
ai fedeli di lanciare sassi da punti
diversi, le autorità sono riuscite a migliorare
la sicurezza sul ponte.
Ma secondo Paul Townsend della
Crowd Dynamics, una società di consulenza
che ha lavorato sul pellegrinaggio, il rischio
rimane alto. Townsend è convinto che
usando dei cancelli che si aprono e chiudono
si riuscirebbe a gestire i lussi. Ma l’Hajj
presenta alcune difficoltà specifiche che
prescindono dal numero delle persone. Una
parte del problema è che non c’è un’idea
precisa di quanti pellegrini arriveranno, e
questo rende diicile la pianiicazione. Un
altro problema è legato al tipo di folla. “I
pellegrini durante l’Hajj pensano: ‘Se muoio
è la volontà di Dio”, spiega Townsend.
“C’è la precisa volontà di accalcarsi sempre
di più”. La scienza può creare ottimi modelli,
ma non può nulla contro il fervore religioso.
The Economist