Sacha, l’uomo che parla alle renne e al silenzio in un villaggio ai confini del mondo

Il fotografo franco-armeno Alexis Pazoumian l'ha incontrato per tre mesi in un viaggio da Parigi verso la Siberia, alla ricerca delle sue origini, tra distese di ghiaccio e nessun'anima viva. Da questo viaggio è nato un diario fotografico molto intenso

l'uomo che sussurra alle renne

Yacutia, la terra del ghiaccio: tre milioni di chilometri quadrati di permafrost racchiuso tra altipiani rigidi e puntuti e distese sterminate di tundra, laghi e fiumi ghiacciati, foreste di conifere e meno sessanta gradi di media. Una terra inospitale, ma molto ricca, piena di estesi giacimenti di diamanti, ferro, oro, petrolio e gas naturale, tant’è che il milione di abitanti di  questo vastissimo lembo di Siberia Orientale, grande dieci volte l’Italia, tramandano la leggenda che Dio, una volta fermo davanti questo oceano di neve, abbia mosso le mani congelate lasciando cadere tutti i suoi tesori.

L’UOMO CHE SUSSURRA ALLE RENNE

In iacuto, lingua di origine turca parlata in quelle latitudini, la Yacutia si chiama Caxa, che traslitterando diventa Sacha, ed è il motivo per il quale molti figli degli allevatori di renne e animali da pelliccia che abitano la taiga siberiana di quei luoghi si chiamano come la terra natia. E, in un certo qual modo, ne assumono i tratti caratteristici: silenziosi, schivi, misteriosi. Proprio come Sacha, “l’uomo che sussurra alle renne”. Di pochissime parole, con le mani e il viso scavati dal freddo, dalla fatica e dalla poca luce. Con una radio di epoca sovietica e vecchi giornali a tenergli compagnia, ma con un equilibrio inscalfibile. Nonostante l’inverno di dodici mesi l’anno, nonostante una natura non amichevole, nonostante le distese di bianco che accecano gli occhi e l’aria gelida che taglia la faccia come lame. Imperturbabile come le foreste che lo circondano.

Per questo Alexis Pazoumian, fotografo franco-armeno di 32 anni con un passato da documentarista di etnie e minoranze, ha deciso di fotografarlo, nella tappa siberiana del suo viaggio ai confini della terra: da Parigi alla Yacutia in cerca dei racconti di quando era bambino, delle radici di una famiglia armena dispersa nel profondo Nord. Contrariamente a ogni aspettativa Sascha si lascia fotografare posando con carisma e fierezza insieme alle sue renne, che alleva con amore, pazienza e rispetto. E con l’aria, e i modi, di chi viene da altre epoche. Da un posto, al contempo, magico e scostante.

Sacha diventa protagonista di un libro di fotografie intense come la terra dove sono scattate, che è, in realtà un vero e proprio diario, intimo e confidenziale di Pazoumian, un resoconto di un viaggio dal comfort di Parigi ai meno 42 gradi della Yacutia alla ricerca delle proprie radici. Prima tappa: Yacutz, la capitale, 300mila persone con mezzi pubblici funzionanti e nessuno in giro a bighellonare. Ad accoglierlo, il locale liceo dove insegnare francese per qualche mese e una manifestazione del Partito Comunista, più vivo che mai in quelle zone, nient’affatto un vezzo nostalgico.

l'uomo che sussurra alle renne

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ALEXIS PAZOUMIAN

La sua vera meta, però, si trova a mille kilometri e due giorni sui camion più a Est, lungo quella che chiamano “la strada delle ossa”: direzione villaggi degli Eveni, una delle trenta etnie più antiche della Siberia Orientale, altri cento kilometri di motoslitta dopo Ushugei, ultimo baluardo degli insediamenti umani prima di perdersi nella tundra. E prima di raggiungere Sacha, e la sua quotidianità strana, una calma apparente scossa ogni giorno dalla lotta, costante, tra uomo e natura. Nei tre mesi del diario di Pazoumian il re della taiga non appare affatto provato: a metà tra un monaco e un guerriero, sospeso nell’aria gelida con lo sguardo di chi sa perfettamente che la natura non si domina, non si vince né si sottomette.

I tre mesi di questa coabitazione con Sacha e le sue mille renne si sono presto trasformati, per Alexis Pazoumian, in un viaggio dentro se stesso. Per ripercorrere le strade che aveva percorso suo nonno per primo, Richard Jeranian, pittore, uno dei primi a tenere una mostra a Novosibirsk, in SIberia, nel 1980. Ma anche per riflettere su quegli interrogativi profondi, quasi ancestrali, su come, in fondo, solitudine non significhi essere solo, o su come il tempo necessiti di organizzazione per venire domato. Ma anche sul rapporto tra uomo e natura, sulle vertigini, il senso di vuoto e di grandezza, e di come ci si senta piccoli davanti a ciò che sembra nulla, un mare di neve e nessun’anima viva.

(Immagine in evidenza e a corredo del testo tratte dal sito web di Alexis Pazoumian //Photocredits: Alexis Pazoumian)

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