Il Far west delle discoteche, dove si spaccia droga come in un supermercato. E si consumano stragi di ragazzi per il via libera alle gang dello spray al peperoncino (foto)

Questi luoghi per ascoltare musica, ballare e divertirsi, sono diventati la terra di nessuno. Pochi controlli efficaci: dalla droga al lavoro nero, dalle esagerate vendite dei biglietti a una prevenzione inesistente. Lo Stato si è arreso

LEGGI SULLE DISCOTECHE

Le discoteche italiane sono diventate come il Far west, terra di tutti e di nessuno. Gira droga, di qualsiasi tipo e con qualsiasi taglio, come se invece che luoghi per ascoltare musica, ballare, divertirsi, ci trovassimo di fronte a maxi-empori dello spaccio continuato. Girano, e talvolta comandano, gang di bulli, e bulletti, piccoli e grandi criminali, potenziali delinquenti a vita: vanno in giro per discoteche, si intrufolano in qualche concerto, e tirando fuori il micidiale spray al peperoncino, assaltano i ragazzi a caccia di catenine e bracciali d’oro, orologi e cellulari. Rapine notturne: decine di assalti, e parliamo solo delle regioni del Centro-Nord dove questo fenomeno è più diffuso, in pochi mesi. Poi ci sono, tanto per completare il quadro sciagurato, sul filo di un enorme spreco di salute e ahimè di vite spezzate, anche i rap e i dj che ci mettono il loro, con messaggi violenti, sbagliati, di fatto estranei a qualsiasi elementare regola di buon senso e di responsabilità. Incitazioni a forme di trasgressione che aiutano solo a stare male e a rischiare la pelle. Questi profeti di un miserabile pensiero, da non confondere con rap e dj talentuosi e autentici artisti, fanno il paio con gestori spregiudicati, pronti ad accogliere più gente del possibile (ancora una volta, prima delle norme: manca il buon senso), con personale poco qualificato per fare fronte alle emergenze, laddove spesso sono carenti perfino le uscite destinate a questa delicatissima circostanza.

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LA TRAGEDIA DI CORINALDO

In questo quadro, stragi come quella avvenuta nella discoteca «Lanterna Azzurra», con ragazzi e genitori presenti al concerto di un trapper a Corinaldo, in provincia di Ancona, non sono certo fatalità. Basta un nulla per trasformare un fuggi fuggi in un eccidio di minorenni.  E basterebbe davvero poco, per esempio, per aggiornare leggi antiquate e surreali, proprio relative alle presenze consentite nelle discoteche:  leggi che sembrano scritte su misura per essere trasgredite.

Un trafficante di cocaina e di ecstasy, parlando ovviamente in anonimato con un giornalista del Corriere della Sera, l’ottimo Andrea Galli, tempo fa ha fatto questa candida confessione: «A Milano si lavora da Dio. Vendiamo etti interi di roba, anche ai vostri figli, e la roba entra tranquillamente in discoteca grazie alla security, ai deejay, all’elettricista… La tolleranza zero è solo una favola».  La gravità di queste parole è pari soltanto allo sconcerto e alla certezza che coltivo da molto tempo: i pusher dei ragazzi, dei nostri figli, dei nostri nipoti, dei tanti che possono fare la stessa fine di Adele De Vincenzi, uccisa a 16 anni a Genova per una pasticca presa a casa di un amico con il suo fidanzato, hanno vita facile in Italia, troppo facile. Specie nelle zone più a rischio, dove invece ci dovrebbero essere maggiori controlli e maggiori interventi. Da questo buco nero, purtroppo, si apre una voragine che ingoia tante vite sprecate.

Nel video pubblicato dal sito Cronache Ancona, le drammatiche immagini della ringhiera che cede, all’esterno del locale “Lanterna Azzurra” di Corinaldo, provocando la morte di 6 persone tra cui 5 adolescenti tra i 14 e i 16 anni e una mamma di 39 anni, sul posto per accompagnare la figlia al concerto del rapper Sfera Ebbasta:

DROGA NELLE DISCOTECHE

In particolare, le nostre discoteche, dove lo spacciatore anonimo scorrazza a suo piacimento, da 25 anni tengono sotto scacco governo e Parlamento. La potente lobby delle discoteche è sempre riuscita a impedire l’approvazione di leggi che siano allo stesso tempo più ragionevoli e innanzitutto più utili per un’efficace prevenzione all’interno e all’esterno delle discoteche. Norme, anche fiscali e tributarie, che non siano una forma di istigazione a delinquere per gestori spregiudicati, che della sicurezza se ne fregano e pensano solo a intascare quattrini, magari in nero. Mascalzoni che danneggiano anche i gestori corretti e professionali. Con il risultato che oggi l’industria del divertimento notturno si presenta con una doppia identità: da un lato una florida attività economica, dall’altro versante una sorta di zona grigia, dove i controlli, dallo spaccio di droga al lavoro nero dei dipendenti, sono molto scarsi. Quasi inesistenti. La linea di confine tra un’industria lecita, che non è né giusto né utile criminalizzare, e la quantità di affari illegali che invece si nascondono nelle sue pieghe, è diventata molto sottile. E la politica ha piegato la testa, di fronte agli interessi, compresi quelli opachi, dell’universo delle discoteche.

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DISCOTECHE IN ITALIA

Sulla carta, le discoteche regolarmente iscritte alle Camere di Commercio sono meno di 3mila, nella realtà diventano circa 10mila. La differenza è data dall’enorme bacino del sommerso, dove bisogna comprendere anche ristoranti, bar, stabilimenti, e locali di varia natura che fanno ballare i ragazzi, vendono biglietti di ingresso e alcolici, senza le necessarie licenze. Spesso riescono a mascherare gli incassi attraverso fittizie associazioni ricreative. Da qui, ai ricavi ufficiali attorno ai 7 miliardi di euro, che pure non sono pochi, bisogna aggiungere le entrate in “nero”, di certo superiori. Stesso discorso per i dipendenti: gli addetti del settore sono 60mila, ma il lavoro “nero” è una pratica molto diffusa, anche utilizzando gli stessi clienti. Sono loro, i ragazzi, che si trasformano in acchiappaospiti, pronti a dirottare nelle discoteche le varie tribù giovanili, e ricevono una percentuale sui biglietti (di solito è il 10 per cento). Tutto senza lo straccio di una ricevuta e un euro di contribuzione.

Da un quarto di secolo, si prova a disciplinare, stringendo i bulloni, l’industria del ballo, o sballo, notturno. Inutilmente. Il primo tentativo risale al governo Andreotti del 1991, quando l’allora sottosegretario Nino Cristofori riuscì a fare approvare in Consiglio dei ministri un decreto sulle discoteche: il tentativo naufragò grazie a una sentenza del Tar del Lazio. Quasi dieci anni dopo, toccò al governo D’Alema provarci: ma il disegno di legge, una volta arrivato in Parlamento non fu mai calendarizzato per una votazione finale. Passa un altro decennio, e il governo Berlusconi viene battuto in aula, per un solo voto, su una legge che restringeva gli orari. Chiusura limite alle quattro del mattino, divieto di accesso per i minorenni dopo l’una e mezzo di notte, fine della vendita di alcolici alle tre: proposte ragionevoli, ma non gradite alla lobby delle discoteche e così rispedite al mittente. L’ultimo intervento normativo risale al 2017, ma di fatto è aria fritta, in quanto prevede, tutto sulla carta, la possibilità di emettere un Daspo, come negli stadi, per spacciatori condannati già con una sentenza di primo grado. In teoria è prevenzione, in pratica non ci sono le condizioni minime, a partire dalle forze dell’ordine da impiegare, per realizzarla.  

CHI PROTEGGE LE DISCOTECHE IN ITALIA

A una lettura superficiale potrebbe sembrare che il potere dei gestori delle discoteche, rispetto alla debolezza del ceto politico che dovrebbe creare le condizioni per eliminare il Far west notturno, derivi dall’enorme numero di persone, oltre 5 milioni, che ogni anno entrano in questi locali, e dal fatto che il 70 per cento di loro sono giovani ventenni: da qui fatturati e i guadagni, leciti e illeciti. Non è così. Il potere delle discoteche è direttamente collegato a un banale, e per questo inossidabile, rapporto con l’elettorato. Quasi il 40 per cento delle discoteche sono concentrate in Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna. Ecco perché qualsiasi proposta di legge subisce un doppio veto da parte dei parlamentari leghisti delle regioni del Nord e dei rappresentanti della sinistra che in Romagna ha una sua, storica roccaforte. Una tenaglia bipartisan, insomma.

I gestori non ci stanno. Se una discoteca si trasforma in una zona franca sul piano della legalità, ne subiscono danni non solo i frequentatori, ma anche i gestori che rispettano le norme, in teoria onerose e complesse. «La verità è che ci hanno lasciati soli, e siamo diventati un perfetto capro espiatorio di un dramma che colpisce innanzitutto le nostre attività» protesta Maurizio Pasca, presidente della Silb, l’associazione italiana dei locali da ballo «Personalmente sono favorevole a forze dell’ordine all’ingresso delle discoteche, al posto dei buttafuori, con cani antidroga, e vieterei l’accesso ai minori di 18 anni. Le basta?» A me sì, ma è sicuro che questa posizione sia condivisa da tutti i suoi iscritti? «Non lo so, ma se continua così ho paura che di locali chiusi per mesi ne vedremo ancora molti…».

Lo Stato si arrende. Conclusione: leggi rigorose non se ne fanno, ma si continuano a sommare norme cavillose e controproducenti, e sul campo dei controlli nelle discoteche c’è il vuoto. Lo Stato si è arreso. Intanto si continua a morire per uno spray al peperoncino, come è avvenuto nelle Marche; per una pasticca di ecstasy, come nel caso della sedicenne Adele, e si continua a spacciare «da Dio», come nel caso dell’anonimo pusher che a Milano ha vuotato il sacco con un bravo cronista.

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