
d i M a r i a P i r r o
Nei caseifici sono al lavoro dalle prime luci del giorno. Fanno bollire il latte, rompono
la cagliata, filano l’impasto, modellano le forme. Mozzarella fresca, di bufala campana.
Quella vera, a denominazione di origine protetta, la dop, è prodotta con latte
intero, munto negli allevamenti di razza mediterranea che si trovano entro confini
ben delimitati di nove province, nel Centro-Sud Italia. Lì dove, per ottenere il
marchio di qualità, gli imprenditori sono tenuti a rispettare regole precise.
Custodi della tradizione, sono stati premiati dalle vendite dell’ultimo
anno: 36 mila tonnellate, per un fatturato di 300
milioni in aumento del 12,5 per cento. Ma ne
approfittano pure i pirati della tavola. Quelli
Consorzio di tutela, almeno 7 milioni di
chili di dop contraffatta sono immessi ogni
anno sul mercato nazionale e all’estero: vale
oltre 100 milioni questo business fuorilegge.
Cui si aggiunge una quantità incalcolabile
di imitazioni, più o meno lecite. Panorama
ha individuato le truffe più insidiose, al
centro di alcune inchieste giudiziarie. Bufale,
queste, dal retrogusto amaro.
ETICHETTE CLONATE
L’imbroglio più «sottile» è quello della
clonazione delle etichette col marchio
dop usate per incartare latticini di dubbia
qualità. Ai danni dei consumatori e degli
altri imprenditori. Lo dimostra una serie di
blitz anticontraffazione. In un caseificio di
San Cipriano d’Aversa (Caserta) in marzo i
carabinieri del Nas hanno sequestrato 100
mila buste e altro materiale con impresso
il nome di società delle province di Napoli
e di Caserta. «L’azienda» sostengono i Nas
«produceva illegalmente le confezioni» per
vendere come dop mozzarella di bufala
prodotta «con latte privo di tracciabilità e
miscelato con latte vaccino». L’escamotage
serviva a ridurre i costi di produzione e
moltiplicare i profitti, e senza rischiare di
incappare nei controlli poiché da nessuna
parte comparivano il logo e l’indirizzo dello
stabilimento fuorilegge. E sulle frodi del
settore un’indagine (più ampia e complessa)
procede sotto l’egida degli inquirenti di
Santa Maria Capua Vetere, coordinati dal
procuratore Corrado Lembo.
CASEIFICIO INESISTENTE
Società fantasma, nomi immaginifici,
stampati sulle confezioni, per smerciare
mozzarella adulterata. Il Consorzio di
tutela ha lanciato l’allarme su quest’altra
tecnica di vendita ingannevole. In un
supermercato della provincia di Roma
hanno individuato latticini corredati di
autorizzazione ma «provenienti addirittura
da un caseificio inesistente». Un anno fa, il
sequestro dei prodotti e la segnalazione del
caso al ministero delle Politiche agricole.
«Tra gli scaffali ogni anno sono disseminati
1,8 milioni di chili di formaggio contrassegnato
da marchi falsificati» informa
il direttore dell’ente, Antonio Lucisano. «Il
giro d’affari illecito? Tra i 25 e i 30 milioni,
mentre oscillano tra i 75 e i 100 milioni
i ricavi ottenuti, in Italia e all’estero, dalla
vendita di latticini che utilizzano in modo
improprio la dicitura mozzarella di bufala
campana». Come non bastasse, ci sono
imprenditori che giocano sull’equivoco:
utilizzano nomi italiani, il tricolore e altre
immagini suggestive per pubblicizzare confezioni
che nulla hanno di made in Italy.
LATTE «IN NERO»
Il problema principale è la provenienza
del latte. Le 188.458 bufale nell’area dop
ne producono meno delle altre mucche, e
proprio quando la domanda del formaggio
s’impenna: in estate. Così la risposta
(fuorilegge) è l’aggiunta «in nero» di materie
prime contraffatte, o di latte vaccino.
Questo sistema, fortunatamente, non è
pericoloso per la salute, però è vietato
dalle norme disciplinari: il latte di mucca
costa solo 0,35 euro il litro, contro 1,40
euro di quello di bufala. Sul fenomeno gli
inquirenti hanno già individuato alcune
piazzole adibite allo smistamento delle
forniture clandestine. Nel 2009 i carabinieri
avevano bloccato alcune autocisterne
senza documenti sull’origine del prodotto,
dirette verso i caseifici campani di Castel
Volturno e Arnone. Tra il 2009 e il 2010 gli
ispettori del ministero avevano rilevato 50
irregolarità su 900 campioni di mozzarella
dop esaminati, quasi tutte per l’impiego di
latte vaccino. Per aumentare la trasparenza
nel settore, dal febbraio 2011 è prevista
per legge la rilevazione giornaliera della
produzione di ciascun animale: in attesa
che il provvedimento diventi operativo, la
tracciabilità comincia con il monitoraggio
informatico dei dati nei caseifici.
BUFALE DEL NORD
E poi c’è la guerra con il Nord Italia. A
individuare le rotte del commercio clandestino,
gli uomini del Corpo forestale
dello Stato: sono 87 i nuclei di polizia
agroalimentare, guidati da Giuseppe Vadalà.
Nei negozi di Benevento e Campobasso, in
marzo, hanno sequestrato oltre 1 quintale
di mozzarella e 300 confezioni dop falsi- e Puglia
ficate: erano preparate con latte di bufala
proveniente da allevamenti delle province
di Milano e Novara. Sulla vicenda indagano
tre procure. In un documento dell’Associazione
nazionale allevatori specie bufalina,
agli atti della commissione parlamentare
sull’Agricoltura, presieduta da Paolo Russo
(Pdl), si segnala un altro caso: «Con
l’apertura delle frontiere alla Romania e
alla Bulgaria, c’è la possibilità che vengano
introdotti legalmente capi di razza diversa
dalla mediterranea italiana».
«C’è il rischio di arrecare un danno molto
serio alla purezza della razza e, in futuro,
alla tipicità del prodotto dop» nota Luigi
Zicarelli, docente di zootecnia della facoltà
di medicina veterinaria della Federico II.
«L’ipotesi di usare latte proveniente da
animali d’origine diversa, anche se solo in
teoria, significa favorire l’importazione da
paesi lontani. E la possibilità di essere sommersi
da materie prime extracomunitarie».
PRODOTTI CONGELATI
Latte scongelato, e finto fresco, utilizzato
per produrre mozzarella: ecco un altro
«fenomeno allarmante e capace di deprimere
la reputazione della dop». L’allarme
era stato lanciato in un’altra risoluzione
della commissione parlamentare sull’Agricoltura,
nel febbraio 2009. Poi a Eboli
(Salerno) i Nas hanno scoperto il caso
più clamoroso: una ditta utilizzava il latte
congelato, operava senza permessi in un
fabbricato abusivo e scaricava i fanghi
delle lavorazioni nel fiume Sele. Sessantamila
i quintali di latte di bufala trovato
nelle celle frigorifere. Per il trasporto della
merce piratata, sui documenti, intercettati
nell’aprile 2010, erano segnati falsi numeri
di riconoscimento comunitario europeo.
PREZZO INGANNEVOLE
Tra i documenti della commissione Agricoltura,
che Panorama ha consultato, ce n’è
uno della Lega allevatori bufalini. Indica
che la guerra dei prezzi fra proprietari di
allevamenti e caseifici rischia di favorire i
pirati della tavola. «È fin troppo eviden
bile guerra è la qualità del prodotto finale»
avverte il presidente della Lega, Raffaele
Ambrosca. «Per capirlo basta recarsi presso
ogni punto vendita che esponga un prezzo
basso, talvolta inferiore addirittura ai 7
euro per chilo. La domanda è ovvia: come
può un prodotto che costa circa 7 euro essere
venduto a prezzi inferiori al suo stesso
valore di produzione? L’unica risposta è che
si produca mozzarella adulterata, spacciandola
come bufala campana dop, anche per
allentare la stretta dei prezzi imposti dai
produttori più forti. Il Consorzio di tutela,
così, ha appena fissato una soglia minima
di prezzo: «Nel pieno rispetto della libertà
di mercato, riteniamo che il prodotto a
marchio dop non possa essere venduto
sotto i 9 euro al chilo» stima il presidente
Luigi Chianese.
PROVETTE SCAMBIATE
Attenzione particolare meritano i controlli
a monte della produzione, che riguardano
lo stato di salute delle bufale. È
successo, per esempio, che un allevatore
di San Cipriano d’Aversa abbia tentato di
sostituire le provette al momento della
consegna dei campioni di latte da sottoporre
alle analisi periodiche disposte per
individuare pericolose tracce di diossina e
altre sostanze chimiche. Nel marzo 2010 il
bestiame era infetto da brucellosi e, in precedenza,
era stato contaminato da diossina.
Ma la manovra, utile a evitare altre verifiche
(e drastici provvedimenti), è stata scoperta
dai carabinieri e dai veterinari dell’asl.
Con un solo campione di latte positivo
su 62 analizzati oggi può comunque dirsi
rientrato l’allarme diossina, «che peraltro
incomprensiaveva
riguardato solo il 3 per cento del
latte di bufala esaminato» precisa Zicarelli.
«Nel periodo più nero arrivai ad accumulare
1 milione di mozzarelle invendute,
tutte di qualità certificata e senza alcun
rischio per la salute» ricorda l’imprenditore
Alfredo Iemma. La psicosi è stata superata
dal boom di vendite del 2010. Però, solo
per bloccare la diffusione della brucellosi,
48 mila capi bufalini malati sono stati
abbattuti in tre anni.
FORME ANOMALE
Su segnalazione del Consorzio di tutela,
nel novembre 2010 è stata anche avviata
un’indagine sulla «forma anomala» della
mozzarella venduta da una nota catena
commerciale. Tra le pieghe normative del
disciplinare che indica le caratteristiche
della dop, infatti, viene specificato che
sono ammesse la «forma tondeggiante» e
le altre «forme tipiche, quali bocconcini,
trecce, perline, ciliegine, nodini, ovolini».
Non le «testine», tipo fiordilatte, come è
stato riscontrato in questo supermercato.
Il primo esame di qualità, dunque, si basa
sulla vista. Ma anche l’hi-tech serve per stanare
le sofisticazioni. Risonanza magnetica
nucleare, risonanza magnetica per immagini
ed esame del dna: sono questi i progetti
in campo per riconoscere la mozzarella
adulterata. L’Università di Bari ha messo a
punto un marcatore molecolare che rileva
la cagliata refrigerata o congelata negli altri
formaggi a pasta filata. L’esito dei primi test
fa riflettere: per la Coldiretti, su 421 mila
quintali di mozzarelle vendute come pugliesi,
oltre il 35 per cento contiene prodotti
importati dall’estero. La bufala è servita.