Intelligenza artificiale, presto sarà un mercato di 90 miliardi. Ma per non sprecarla servono etica e formazione (foto)

Quasi il 20 per cento delle aziende italiane usa l’intelligenza artificiale. Il punto non è tanto quanti posti crea il robot e quanti ne distrugge, quanto come lo usiamo. In modo sostenibile, per migliorare la nostra vita. E al servizio dell’uomo

cos'è l'intelligenza artificiale

INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Chi ci salverà dai rischi dell’intelligenza artificiale? Come si riuscirà a renderla davvero sostenibile, e quindi alleata dell’uomo? Quali sono gli sprechi maggiori, rispetto alle enormi potenzialità, che si annidano dietro a un cambiamento epocale, ormai già in atto da tempo?  A queste domande bisogna provare a dare una risposta partendo innanzitutto da alcuni numeri. Si dice, per esempio, che il robot mette a rischio, in Italia, un posto su due; ma è anche vero che entro la metà del 2025 l’avanzamento tecnologico, attraverso un uso massiccio dei robot, dovrebbe creare nel mondo 133 milioni di posti di lavoro, a fronte dei 75 milioni che andrebbero perduti. E in ogni caso solo in Italia, un paese che sa anche innovare molto bene quando vuole, le aziende che usano l’intelligenza artificiale sono quasi il 20 per cento del totale, e presto diventeranno il 30 per cento, ovvero un terzo. Allo stesso tempo, il mercato mondiale dell’intelligenza artificiale ha un valore di 11,3 miliardi di dollari: saranno 90 miliardi di dollari entro il 2025.

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COS’È L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

I numeri dicono sempre tanto, ma mai tutto. E qui entrano in gioco i fattori decisivi per la partita che l’uomo sta giocando, con la sua intelligenza (non artificiale, ma naturale) rispetto all’avanzata travolgente della tecnologia, ad una velocità mai vista finora nella storia dell’umanità. Fattori come l’etica, il rispetto sempre e comunque della persona umana, la creatività, la formazione. L’Italia può e deve puntare sull’intelligenza artificiale, e ha tutte le carte in regola per stare in prima fila nel mondo in questo settore, ma non deve sprecare la storia, le radici culturali, anche religiose, e le competenze che già abbiamo, in termini di “nuovo umanesimo”, per cavalcare nel modo migliore, e più utile per tutti, l’onda lunga del cambiamento. Anche qui un numero aiuta a capire: il 19 per cento delle strutture sanitarie in Italia (innanzitutto ospedali) utilizzano l’intelligenza artificiale, con benefici importanti per i pazienti. Si va dalla cartella digitale che evita sprechi di tempo, talvolta prezioso, e di soldi, per avere notizie sulle proprie condizioni, alle applicazioni dell’intelligenza artificiale in delicatissime patologie. Malattie neurologiche e cardiache, cancro al seno e al polmone, interventi per il fegato.

ARTIFICIAL INTELLIGENCE

I fattori che abbiamo citato, a partire dall’etica, sono ormai al centro dell’attenzione nei luoghi dove si stanno sviluppando le ricerche più avanzate sulla A.I. (acronimo inglese di “artificial intelligence”, intelligenza artificiale) e più o meno di tutti i futuribili scenari in cui questa possa trovare applicazione. Il termine A.I. fu coniato per la prima volta, nel lontano 1956, da John McCarthy, geniale informatico statunitense che riunì un gruppo di ricercatori di diverse discipline per inquadrare il nascente fenomeno delle cosiddette thinking machines, macchine in grado di simulare – seppur in maniera approssimativa e quasi “embrionale” – capacità intellettive fino ad allora riconducibili esclusivamente all’uomo.

Oggi il bacino di riferimento dell’A.I. è stato ampliato a tutti quei sistemi computerizzati capaci di riprodurre operazioni tipiche dell’intelligenza umana, includendo anche ambiti quali le percezioni visive, il riconoscimento vocale e, soprattutto, ciò che gli anglofoni definiscono il decision-making, la capacità di prendere decisioni. Un tratto distintivo e peculiare del genere umano, affascinante quasi quanto la nostra capacità di sognare.

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APPLICAZIONI DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Allo stato attuale, l’A.I. è ben più di un sogno, basti pensare alle continue attività di ricerca sostenute da colossi come Amazon, Google, Apple e Microsoft, solo per citare alcuni tra i big player dell’informatica a stelle e strisce. Tuttavia, non poche sono le criticità riscontrate in fase di sviluppo, come nel caso della self-driving car a cui sta lavorando la Nvidia corporation, azienda leader nel settore delle schede grafiche. Il veicolo sviluppato dalla compagnia di Santa Clara è concepito sulla base di un algoritmo “discente”, capace cioè di imparare a guidare analizzando il comportamento umano. Le informazioni registrate via via dal veicolo, infatti, vengono immagazzinate e rielaborate in modo da produrre decisioni autonome.

Tuttavia, affidare a un’autovettura l’intero processo decisionale comporta, come immaginabile, rischi che devono essere ponderati. Uno dei maggiori problemi per i programmatori e gli sviluppatori risiede nella difficoltà di isolare i singoli processi decisionali assunti, così da poter intervenire per scongiurare determinazioni sbagliate.

ETICA NELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Le variabili che caratterizzano i comportamenti umani sono innumerevoli, ma viaggiano quasi sempre sui binari sicuri tracciati dalla logica e dall’etica. Due chiavi fondamentali del nostro modo di agire che la macchina ancora non riesce a riprodurre, almeno non completamente. Se per la logica diversi sono i progressi riscontrati nell’ultimo decennio, sul piano etico il lavoro da fare è così tanto da indurre la Stanford University e Google a dotarsi di think-thank destinati proprio all’ethics dell’intelligenza artificiale.

Il prestigioso ateneo californiano ha recentemente costituito l’Institute for Human-Centered Artificial Intelligence, un luogo pensato per supportare le ricerche sulla A.I. nell’ottica di migliorare la condizione umana, realizzando strumenti utili, socialmente accettabili e non dannosi sul lungo periodo. Un obiettivo davvero ambizioso che prevede l’apporto di competenze prettamente tecniche, ma anche di un patrimonio educativo di natura filosofico-morale. L’istituto sarà infatti presieduto da John Etchemendy, Professore di Filosofia presso l’ateneo, e da Fei-Fei Li, Professoressa di Computer Science e già direttrice dello “Stanford A.I. Lab”.

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GOOGLE INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Anche Google, gigante del Web con la “passione” per il pionierismo scientifico, ha deciso di dotarsi di una sorta di A.I. ethics panel, denominato Advanced Technology External Advisory Council (ATEAC). Il gruppo, composto da otto esperti di livello mondiale in discipline che spaziano dall’economia alla psicologia, si riunisce al fine di consigliare i vertici del colosso di Mountain View sui nuovi percorsi da intraprendere per sviluppare tecnologie eticamente sostenibili. Dell’ATEAC, oltre al noto diplomatico statunitense William Joseph Burns, fanno parte ben due italiani: Alessandro Acquisti della Carnegie Mellon University e Luciano Floridi dell’Università di Oxford.

INTELLIGENZA ARTIFICIALE NEL FUTURO

La costituzione dell’Advisory Council si inscrive nel solco dei principi sull’A.I. esposti lo scorso anno da Sundar Pichai, CEO dell’azienda. Il manager di origini indiane, in un suo post sul blog di Google, ha proposto una lista di sette obiettivi da perseguire nella realizzazione di applicazioni riguardanti l’intelligenza artificiale. In cima alla lista, Pichai colloca la necessità di “Be socially beneficial” ovvero di incidere positivamente su una società in continua evoluzione.

Non bisogna disporre del fervido ingegno di Isaac Asimov per ipotizzare un mondo in cui l’uomo sia progressivamente assistito da un’intelligenza artificiale “sempre più umana”. La sfida quindi non sembra più quella di rimpiazzare l’umanità nelle diverse attività lavorative, ma piuttosto quella di cooperare nella costruzione di un futuro di interdipendenza tra il genere umano e le macchine.

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