
In un momento nel quale dobbiamo fare i conti con l’arrivo anche dei profughi afghani c’è un’esperienza che può essere considerata come un piccolo modello di riferimento. Utile per integrare gli italiani con gli immigrati e innanzitutto per non sprecare i beni sequestrati alle mafie. Tanti beni, dagli immobili alle aziende, che spesso marciscono, nell’incompetenza e nell’opacità di gestioni a cavallo tra magistratura e una sorta di lobby dei commissari liquidatori.
FIORE RISTORANTE DELLA LEGALITÀ
Siamo a Lecco, una delle aree della Lombardia ad alto livello di reddito dove si sono concentrati negli anni molti investimenti della mafia e della ‘ndrangheta. Case, uffici, aziende, ristoranti, bar, pub. Qui ha messo radici, facendo ottimi affari il boss calabrese Franco Coco Trovato, fino a quando, nel 1992, un’operazione delle forze dell’ordine non riesce a incastrarlo. Il latitante viene arrestato e i suoi beni, compreso il ristorante Wall Street, molto frequentato a Lecco, vengono sequestrati.
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LA CONFISCA DEL RISTORANTE IL FIORE
Una volta confiscato, il ristorante finisce nel vicolo cieco delle gestioni parassitarie dei beni sequestrati alle mafie. Nessuno sa bene come utilizzarlo e come non sprecarlo. Magari qualcuno si illude che possa tornare, prima o poi, nelle mani della malavita organizzata. Passano anni e soltanto nel 2017 (parliamo di venticinque anni dopo il sequestro!) il ristorante viene affidato alle persone giuste. La cooperativa sociale Olinda, l’Arci e l’Auser Lecco, si uniscono e ottengono la gestione del ristorante, il cui nome diventa Fiore – Cucina in libertà. Un nome simbolico, in quanto i gestori vogliono indicare qualcosa che sboccia nella cucina confiscata al boss.
COME SI LAVORA AL RISTORANTE IL FIORE
Oggi il ristorante Fiore è tornato a essere un luogo accogliente e molto frequentato dagli abitanti di Lecco. Ma si viene qui solo per mangiare. Ci sono libri, piatti prelibati, un arredamento molto accogliente. E c’è una squadra che lavora nel locale che mette insieme uomini e donne italiani con immigrati. Al vertice ci sono Giorgio Antoniella, cuoco originario di Terni, e Raffaele Mattei, della Fabbrica di Olinda di Milano. Ma ci sono anche dipendenti che arrivano dall’Albania, dal Senegal e Ghana. Sono pasticcieri, pizzaioli, camerieri: in tutto undici persone, che dimostrano come, non sprecando il frutto del lavoro dei servitori dello Stato contro le bande dei criminali, si possono creare piccole ma straordinarie occasioni di lavoro e di integrazione.
Le immagini sono tratte dalla pagina Facebook del ristorante Fiore – Cucina in libertà
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IL RECUPERO DEI BENI CONFISCATI ALLA MAFIA: