Dove sono i faggi più antichi del mondo? In Italia

Dalla faggeta di Soriano nel Lazio alla foresta umbra in Puglia. Ma l'ultima scoperta porta sul Massiccio del Pollino, in Basilicata

faggi più antichi del mondo

I faggi (genere Fagus) più antichi del mondo si trovano principalmente in Europa e Asia, ma non sono singoli alberi come nel caso di alcune conifere millenarie, bensì boschi vetusti o esemplari molto vecchi che hanno resistito per secoli.

In Europa esistono una serie di foreste vetuste di faggi, protette come Patrimonio dell’Umanità con il marchio dell’Unesco, per il loro valore ecologico e storico: in Slovacchia, Germania, Albania e Ucraina. Ma è l’Italia, all’interno del perimetro del Vecchio Continente, ad avere un patrimonio unico al mondo di antiche faggete. 

Nella faggeta vetusta di Soriano nel Cimino, nel Lazio, una delle più antiche e meglio conservate d’Italia, alcuni esemplari hanno più di 400 anni, e scendendo verso le regioni meridionali merita una visita appropriata la foresta umbra, che si trova in Puglia, all’interno del Parco Nazionale del Gargano, nella provincia di Foggia. Il termine “umbra” non ha alcun riferimento con la regione dell’Umbria, ma deriva dal latino umbra, che significa “ombra”, ed evoca  la fitta vegetazione, collocata in una posizione tra le montagne e il mare, che caratterizza questa antica foresta, entrata, come nel caso della faggeta di Monte Cimino, nel gruppo dei luoghi protetti come Patrimonio dell’Unesco.

faggi più antichi del mondo
Faggi centenari. A sx troviamo Michele, faggio di 622 anni. Fonte: profilo Twitter della rivista Ecology)
Ma la scoperta più recente nel catalogo delle antiche faggete arriva dalla Basilicata, e precisamente dal Massiccio del Pollino, oasi naturalistica e boschiva dell’Appennino Meridionale. Qui i faggi, considerati i più vecchi d’Italia e tra i più vecchi al mondo, sono stati scovati da un team di esperti guidati dal professore Gianluca Piovesan, ordinario di Ecologia Forestale all’Università della Tuscia. La scoperta è stata pubblicata sulla rivista Ecology, ed è stata finanziata dal Ministero dell’Ambiente con il contributo del MIUR per un progetto di ricerca sulle montagne italiane.
Il metodo scientifico utilizzato dalla squadra di Piovesan è la dendrocronologia, cioè la misurazione degli anelli del tronco, studiati asportandone piccole sezioni. Ognuno rappresenta circa un anno di vita dell’albero. Con questo metodo si può dunque datare con precisione la durata della vita dell’albero, ma grazie all’osservazione dello spessore delle sezioni del tronco si possono capire le condizioni climatiche in cui la pianta si è formata.
Se, ad esempio, il clima durante il periodo di formazione di un anello presenta temperature favorevoli e abbondanti precipitazioni, l’anello sarà più spesso. All’opposto, se le condizioni sono sfavorevoli, si avranno anelli meno spessi. La storia della crescita individuale dei faggi è molto variabile: un albero può impiegare da uno a sette secoli per raggiungere una dimensione imponente, maggiore dei 60 centimetri di diametro, e le caratteristiche del sito del Pollino hanno fatto sì che i faggi crescessero in maniera lenta e regolare, in modo da assicurarsi una certezza di longevità.

Sul Pollino si è potuto osservare la relazione negativa tra incremento medio del tronco ed età dell’albero: semplificando, se un albero cresce in maniera lenta e graduale, con ritmo minore e minore incremento, solitamente è meno alto e più vecchio, e vi si riscontrano età dei tronchi maggiori di 600 anni. Le condizioni climatiche non facili del Pollino e più in generale degli ambienti montani mediterranei hanno permesso una maggiore longevità dei faggi. I faggi più antichi e a crescita lenta sono caratterizzati da corone spezzate e altezze stentate a causa delle condizioni ambientali difficili. Come Michele, faggio di 622 anni, chiamato così in ricordo di un illustre botanico italiano del diciannovesimo secolo, Michele Tenore.

In più, i vecchi alberi costituiscono dei veri e propri archivi naturali per ricostruire la storia dell’ambiente, e nel faggeto del Parco del Pollino, ma nei  grandi faggeti in generale, gli ostacoli climatici creano habitat per gli insetti saproxilici, quelli cioè, per semplificare, che vivono nel legno morto e se ne nutrono. Tra questi, la specie Osmoderma eremita, un coleottero europeo limitato alle zone di sradicamento di alberi cavi e attualmente in via di estinzione.

(Photo credits immagine in evidenza: Gianluca Piovesan)

Leggi anche:

Vuoi conoscere una selezione delle nostre notizie?
Torna in alto