Qualcuno bara sul biologico. E crea danni e sprechi enormi, in quanto fa perdere di credibilità a un settore diventato vitale per sostenere l’agricoltura made in Italy e la sua intera filiera, e colpisce le buone intenzioni dei consumatori disposti anche a riconoscere costi più alti per questi prodotti, ma non certo disponibili a essere ingannati e spremuti come limoni (bio o non bio, poco conta).
Ci sono almeno due piste che portano al capolinea della truffa con l’etichetta biologica: la prima riguarda i terreni coltivati (e generosamente sovvenzionati), grazie alla classificazione di “produzione biologica”; la seconda si riferisce invece al meccanismo con il quale i prezzi dei prodotti bio si gonfiano in modo esponenziale, e immotivato, al di là del legittimo guadagno e dei giusti margini, nei passaggi dal produttore agli scaffali dei punti vendita, e quindi al carrello dei consumatori.
Non facciamo altro che vantarci, come italiani, di essere un Paese ormai leader in Europa per la quantità di suolo agricolo destinato al biologico. circa 2,50 milioni di ettari, pari al 20,2 per cento del totale delle superfici agricole, mentre gli operatori censiti sono quasi 100mila.
Diciamolo forte e chiaro, a scanso di equivoci: la coltivazione biologica, che appartiene all’universo dell’agricoltura sostenibile (nel quale rientra anche l’agricoltura idroponica) , ha salvato un intero settore dell’economia italiana, consentendogli di modernizzarsi, di trovare nuovi sbocchi sul mercato (proponendo prodotti di qualità, di fascia alta, sui quali siamo imbattibili rispetto alla concorrenza degli altri paesi mediterranei), e di dare importanti opportunità di lavoro a tanti giovani, come dimostra anche la bassa età media dei titolari di aziende che operano nell’agricoltura biologica (il 25 per cento hanno meno di 40 anni).
Ma torniamo ai terreni e ai bari della (falsa) sostenibilità. Da un recente Rapporto del Sinab (Sistema informativo Nazionale sull’Agricoltura Biologica), cha tra i suoi scopi istituzionali, al servizio del ministero dell’Agricoltura, ha “la promozione, la divulgazione e lo sviluppo dell’agricoltura biologica”, e non certo la sua demolizione, si scopre che la metà dei terreni classificati come “biologici” in realtà non lo sono affatto, nel senso che non ospitano alcuna coltivazione con queste caratteristiche, ma servono solo a intascare generose e regolari sovvenzioni.
I numeri certificati dal Sinab sono a prova di qualsiasi verifica. Dei 2,5 milioni di ettari di terreni registrati con l’etichetta “da agricoltura biologica”, circa 500mila in realtà sono in una fase di conversione e se riusciranno a diventare biologici, questo salto potrebbe avvenire non prima di due-tre anni, quindi al momento non sono tali. Poi c’è un abbondante 30 per cento di terreni, sempre classificati come “da agricoltura biologica”, dove non si coltiva un fico secco. Si tratta di prati e campi incolti, dove crescono soltanto erbe selvatiche, e anche i “non agricoltori”, ma semplici proprietari di suoli, autentici abusivi del biologico, accedono a finanziamenti e contributi In totale la metà dei famosi terreni “da agricoltura biologica” per i quali l’Italia vanta il suo bel primato europeo sono falsi, taroccati si direbbe in gergo. Mentre sono assolutamente veri e documentati i soldi che vengono intascati per una presunta coltivazione biologica, di fatto inesistente, se non nella stucchevole narrazione del mito biologico=sostenibilità (falsa, evidentemente).
Non stiamo parlando di briciole. In Italia, dove la fantasia, quando si tratta di distribuire denaro pubblico e sprecarlo, non ha limiti, ci sono diversi tipi di contributi, incentivi e sussidi per i produttori, veri e falsi, impegnati con l’agricoltura biologica. Si va dalle varie sigle dei generosissimi rubinetti europei (PAC-FEASR-PSR, ovvero Politica Agricola Comune, Fondo Europe Agricolo per lo Sviluppo Rurale, Programmi di Sviluppo Rurale regionali), ai bandi regionali; dai 3 miliardi di euro previsti con la legge per il settore biologico, ad altri miliardi di euro previsti per sovvenzionare l’agricoltura sostenibile-biologica all’interno del PNRR (il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). Un vero pozzo di San Patrizio, nel quale allunga le mani e le bocche una legione di speculatori-truffatori.
La seconda pista ben battuta dai bari della (falsa) sostenibilità seduti al tavolo dell’agricoltura biologica è quella che colpisce in modo frontale i consumatori e le loro tasche. Anche qui, facciamo una doverosa premessa: senza assegnare ai prodotti biologici virtù taumaturgiche che non hanno, e senza considerarli “elisir di lunga vita”, non c’è dubbio che chi sceglie frutta, ortaggi e verdure biologiche ne può trarre un vantaggio in termini di stili di vita e contribuisce, allo stesso tempo, a dare qualche beneficio all’ambiente contrastando l’uso abnorme e pericoloso dei pesticidi nell’agricoltura tradizionale. Ma questo non può giustificare un salasso al momento di fare un acquisto in un supermercato che ha il suo bravo settore tutto dedicato ai prodotti bio, oppure in quella unga catena di negozi e marchi che propongono prodotti biologici, a colpi di esaltazione, da puro marketing e nulla di più, del green, della natura, dell’ambiente, della sostenibilità.
E invece è nuovamente il Rapporto del Sinab a farci scoprire qualche curioso dettaglio, che puzza lontano un miglio di truffa legalizzata. L’esempio, sicuramente uno dei più calzanti, è quello dei limoni. A forza di denunce sulla speculazione collegata alla moda del biologico, finalmente il differenziale dei prezzi tra i prodotti dell’agricoltura biologica e quella convenzionale, si è andato riducendo. In modo da scendere, nel caso dei limoni, ma l’esempio si può estendere a tutto il catalogo dell’ortofrutta, dal 40 al 12 per cento, una differenza, quest’ultima, ragionevole, in quanto comunque la produzione biologica può avere costi maggiori e ha sicuramente rendimenti, in termini di quantità dei prodotti per ettaro, più basso.
Peccato però che la discesa del differenziale ha riguardato soltanto i compensi riconosciuti agli agricoltori bio, ma non è arrivata fino agli scaffali dei grandi marchi del bio, di tutte le catene della grande distribuzione e dei piccoli negozi specializzati nel biologico (stiamo parlando, per capirci, di marchi ad hoc, come Alce Nero, ma anche di catene come Conad, Coop, Esselunga, Carrefour, etc…). Qui la distanza tra l’ortofrutta bio e quella convenzionale che si può acquistare da un qualsiasi fruttivendolo o in un qualsiasi reparto di frutta di un supermercato, resta altissima e irragionevole. Ovvero comprensibile soltanto attraverso una chiave di lettura: la speculazione a danno dei consumatori che credono, giustamente, nelle qualità del biologico, e per questo sono disposti anche a pagare scontrini più alti, ma non a essere di fatto rapinati.
L’aspetto più singolare, al confine della beffa, del quadro di imbrogli nel nome del (falso) biologico fotografati dalle dettagliate tabelle del Sinab, è che tutto viene fuori mentre si parla dell’introduzione di un ennesimo marchio bio, ovvero la dicitura “Biologico italiano”, a protezione dei produttori del settore. Ammettiamo che questa ennesima etichetta abbia un senso e un’utilità, e non sia un nuovo spreco che si va a sommare a un lunghissimo elenco di certificazioni, nazionali, europee, internazionali e regionali, c’è da chiedersi soltanto una cosa. Chi proteggerà tutti gli italiani, e tutti i consumatori bio, che di fatto vengono ogni giorno defraudati da questa (falsa) agricoltura sostenibile-biologica?
Si fa presto a dire cibo biologico: salvo poi scoprire che accanto ad alcuni, innegabili vantaggi, attorno a questo simbolo della (falsa) sostenibilità si consumano interessi enormi e diffuse fake news, o anche Grandi Bugie. La Fondazione Veronesi ha dovuto pubblicare sul suo magazine e sul suo sito una sorta di annuncio per mettere in guardia dalla falsa narrazione del cibo biologico come antidoto preventivo, prezioso per la salute delle persone. Scrivono gli studiosi della Fondazione Veronesi: “Da nessuno studio scientifico sono emerse differenze rilevanti per la salute tra il cibo biologico e quello tradizionale, soprattutto per quanto riguarda l’insorgenza dei tumori”. E nonostante questo, le storie di un marketing spregiudicato con il quale si rappresentano presunti miracoli dovuti al biologico, continuano a moltiplicarsi. Come si racconta in questo libro.
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