Che cosa significa vivere bene

La salute, innanzitutto. La tranquillità economica. Ma sono decisive le relazioni, dalla vita di coppia alle amicizie autentiche.

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L’importante è la salute. Quante volte, anche nel lampo di una riflessione consolatoria, pensiamo che per vivere bene sia necessario innanzitutto non avere problemi gravi di salute? E come potremmo darci torto? Perfino la longevità e l’allungamento della vita ci spaventano al solo pensiero di attraversare le sabbie mobili della vecchiaia con il peso di una insostenibile fragilità fisica, se non con qualche handicap che limita movimenti e pensieri, gesti e rapporti. Alla salute, nel classico binomio del benessere in versione desiderio, si abbina la stabilità e la sicurezza economica e finanziaria. Anche in questo caso, è davvero uno spreco di tempo, provare a misurare il rapporto tra il denaro e la serenità. Fermo restando che il denaro va sempre considerato come un mezzo e mai come un fine,non è certo una casualità che le persone costrette a ridimensionare il loro tenore di vita in seguito a una delle tante, possibili e gravi difficoltà economiche e finanziarie, siano più o meno condannate a forme depressive, a un latente ma profondo “mal di vivere”. Anche in questo caso, nulla di nuovo sotto il sole.

Di fronte a un quadro così limpido nella sua essenzialità, mi ha colpito, ma non sorpreso, l’ultimo risultato del progetto internazionale Global flourishing study, che punta a calcolare il benessere delle persone. Lo studio ha un valore scientifico molto interessante, a partire dalla durata della raccolta dei dati (cinque anni), dal numero delle persone coinvolte (200mila, in 22 paesi e 6 continenti), dalla completezza delle domande (che spaziano dall’idea di felicità al benessere finanziario, dalla salute fisica e mentale alle relazioni sociali). Insomma: un campione più che significativo, per provare a dare una risposta alla domanda dei cento coltelli, quella che nascondiamo dentro noi, e qualche volta chiudiamo a chiave nei cassetti della nostra anima, nella profondità dei pensieri che preferiamo non vedere mai affiorare. Che cosa significa vivere bene? 

vivi lieve Antonio Galdo

Se avete qualche risposta certa a questa domanda, consideratevi fortunati, vuol dire che le vostre idee sono chiare in una materia dove c’è piuttosto da suggerire l’esercizio del dubbio, l’interrogarsi alla ricerca di qualcosa che prima o poi verrà fuori. L’essere troppo sicuri sull’argomento, e restringerlo a una classifica calcistica, rischia di trascinarci nel banale e nell’inutile. Roba da bignami dei Consigli vita scritti su misura per gli allocchi che ci credono. E solo come spunto di riflessione, vi segnalo che secondo i primi risultati del progetto Global flourishing study, per vivere bene servono relazioni umane impregnate di qualità. Amicizie strette e solide, una buona vita di coppia, una famiglia nella quale ritrovarsi anche bagnati dalla pioggia dei conflitti, la partecipazione, in una delle infinite forme possibili, a una vita collettiva, a maggior ragione se combinata con una dimensione religiosa. 

Può sembrare strano che in un’epoca nella quale il denaro è diventato l’alfa e l’omega delle nostre esistenze, mentre scarseggiano anche solo sprazzi di generosità e altruismo, e anche le carriere sul lavoro si costruiscono più sul cinismo che sulla capacità di sentirsi parte di una squadra, fatta di persone in carne ed ossa, e non solo di gerarchie, in un’epoca del genere l’equazione del vivere bene si basa sulle relazioni. Buone amicizie, con persone alle quali vogliamo davvero bene. Una famiglia solida, con tutte le fatiche e le difficoltà che si collegano a una modello da tempo entrato in crisi e declinato ormai in una varietà di subordinate che escludono la principale: un padre, una madre e dei figli. Una voglia di legami in mondo che trema sotto i colpi delle sue fratture, sociali, economiche e belliche.

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Ma questa apparente contraddizione non deve stupire. Anzi. Proprio in momenti come questi, quando più sentiamo il disgregarsi dei nostri rapporti personali, avvertiamo la schiavitù presentista della tecnologia che ci imprigiona (non abbiamo mati tempo per gli altri, viviamo sommersi sotto il titolo “Vite di corsa”), sale un desiderio, talvolta inconscio, latente, ma non per questo meno potente, di costruire qualcosa di più solido di un capiente conto corrente in banca, o di una bella casa al mare, che pure non guastano mai. E questo quid cova e si dilata, nelle relazioni, possibilmente fisiche e non virtuali, una fonte di benessere psico-fisico che diventa sinonimo del “vivere bene”, dando un senso un compiuto a un’espressione alquanto generica e vaga. Un patrimonio di beni immateriali, assolutamente da coltivare e da non sprecare nell’affanno dell’indifferenza.

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