Reddito di inclusione, non trasformiamolo in una mancia elettorale. E assegni ai veri poveri

La lotta alla povertà fa un passo avanti, finalmente, con gli assegni da 190 a 485 euro al mese che andranno a 660mila famiglie. Servono più soldi, rigore nella selezione dei beneficiari, e impegno a cercare e trovare un lavoro.

reddito di inclusione

REDDITO DI INCLUSIONE

Il reddito di inclusione, dopo tante discussioni lunari, fa un passo avanti importante. È legge, definitiva, e da gennaio 2018 ci saranno circa 660mila famiglie povere (560mila con figli minorenni) che potranno ricevere un assegno mensile da 190 a 485 euro (quelle più numerose) per un periodo massimo di 18 mesi, durante i quali i beneficiari dell’aiuto dovranno anche essere accompagnati al reinserimento nel mondo del lavoro.

Il nostro commento iniziale è secco: finalmente! Chi nega la necessità di combattere, in modo concreto, una povertà in aumento, o vive fuori dal mondo, oppure è una persona indifferente e in malafede. Quindi, iniziare con questo passo significa rompere il tabù povertà sì-povertà no, e creare le condizioni per politiche sociali davvero utili al Paese e alle persone svantaggiate.

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REDDITO DI INCLUSIONE: COS’É

Tutto bene, quindi? Assolutamente no. La partita vera della lotta alla povertà inizia adesso, e su questo bisogna vigilare e darsi da fare. Con alcuni obiettivi precisi, tre in tutto, che serviranno a evitare di ridurre questa scelta a un gigantesco spreco di risorse, di opportunità e perfino di speranze.

Primo obiettivo: non ridurre il reddito di inclusione a un sussidio di tipo clientelare ed elettorale. Il fatto che questa legge diventi definitiva in prossimità di una decisiva campagna elettorale (le politiche del 2018) non deve indurci allo scetticismo e alla dietrologia: consideriamolo un fatto. Ma se governo e Parlamento hanno intenzione di fare sul serio, allora è chiaro che 1,7 miliardi di euro stanziati per finanziare, ogni anno, il provvedimento, sono quasi briciole. Anche con l’impegno di portarli a 2 miliardi di euro.

Servono più soldi per combattere davvero la povertà in Italia. E non venitemi a dire che non si possono trovare: per salvare le banche, inguaiate da truffatori e amministratori corrotti e spregiudicati, abbiamo già messo sul tavolo una decina di miliardi in pochi mesi. Vogliamo dire che i poveri contano meno dei risparmiatori e di lor signori della finanza?

REDDITO DI INCLUSIONE: A CHI SPETTA

Secondo obiettivo: fare in modo che gli assegni vadano davvero alle persone giuste, a quelle che ne hanno diritto e bisogno. E non ai finti poveri, che in Italia, credetemi, non sono affatto pochi. La nostra spesa pubblica alla voce Sprechi di massa è imbottita di assegni, sussidi, aiuti, che vanno a persone che imbrogliano. Ricordate, solo per fare un esempio, gli studenti che a Roma non pagano le tasse e vanno in giro in porsche? Oppure i falsi invalidi in quasi tutte le regioni italiane? E i finti disoccupati? L’elenco è sterminato, e soltanto chi mette i soldi per i poveri, lo Stato con la sua organizzazione, può fare in modo che non vengano sprecati. Noi proveremo a tenere gli occhi aperti, apertissimi, anche con l’aiuto della nostra comunità di nemici dello spreco, pubblico e privato.

Terzo obiettivo: chi riceve il sostegno deve impegnarsi a essere poi inserito, o reinserito, nel mondo del lavoro. Questo è un punto fondamentale del provvedimento, altrimenti saremmo di fronte a una evidente sussidio a pioggia, dei peggiori. Lo status di povertà non deve essere una condanna a vita, né tantomeno un ombrello sotto il quale ripararsi un minimo, grazie ai soldi pubblici. No: la povertà va sconfitta alla radice, con l’approdo a un reddito vero (non di inclusione ma di inclusi), frutto di un lavoro dignitoso, onesto e retribuito come merita.

COME COMBATTERE LA POVERTÁ:

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