Gli italiani cercano casa, in affitto o anche per acquistarla, se le condizioni economiche lo consentono. Secondo il Rapporto del 2025 intitolato “La casa in locazione in Italia e in Europa”, realizzato dall’Istituto di studi Scenari Immobiliari, circa 4 milioni di italiani sono attivamente alla ricerca di una casa in affitto, un numero enorme di persone, che rappresenta circa un quinto della domanda europea nel settore affitti. Quanto all’acquisto, secondo il Rapporto di Nomisma del 2024, ci sono tre milioni di famiglie pronte ad acquistare una prima casa, ma soltanto 980 mila possono essere considerate “realmente interessate”, in quanto hanno, almeno sulla carta, i mezzi per comprare una casa.
Il caro-alloggi e la mancanza di case a prezzi accessibili rappresentano, in modo combinato, uno dei problemi più importanti per il Paese, e meriterebbero un’attenzione, sia a livello di governo sia da parte delle amministrazioni locali, che al momento non si vede. Anzi. Continuiamo a sprecare diverse possibilità che abbiamo, tutte a portata di mano, per dare una casa agli italiani, innanzitutto i giovani, che la richiedono.
Partiamo da quello che servirebbe, e vediamo se è possibile arrivare all’obiettivo senza fare annunci e propaganda, ma con qualche azione concreta. Un riferimento storico da prendere in considerazione è sicuramente il “Piano Casa“, introdotto nel 1950 dall’allora ministro del Lavoro Amintore Fanfani (notate: un uomo politico di grande visione che non aveva una competenza specifica per l’Edilizia, ma doveva creare le condizioni per dare casa e lavoro agli italiani).In pochi anni, grazie a una serie di interventi e di incentivi molto mirati e a una legge fatta bene, è cambiato in modo definitivo il rapporto tra gli italiani e la casa. Siamo diventati un popolo di proprietari di prime case ( e poi anche di seconde e, per i più fortunati, di terze case), e il programma firmato dal ministro Fanfani è stato uno dei volani del boom economico, con il quale gli italiani sono diventati mediamente benestanti.
Oggi la situazione è all’opposto. Il ceto medio si sta impoverendo, innanzitutto per lo scandaloso livello degli stipendi e dei salari, fermi da decenni, le case sono diventate inaccessibili , se non per il club dei benestanti o dei ricchi, sia per i prezzi degli affitti sia per il costo delle case, in particolare nelle aree urbane. Inoltre non c’è all’orizzonte un politico illuminato come Fanfani e non ci sono, oggettivamente, le condizioni per un piano-casa simile a quello degli anni Cinquanta, che si andrebbe a tradurre in una nuova cementificazione di Paese dove il territorio è già stato devastato dall’abusivismo e dalla speculazione edilizia (compresa quella consumata sotto il segno di una falsa sostenibilità). Ma nonostante queste controindicazioni, abbiamo tutte le possibilità di inventare un nuovo Piano Casa, ispirato all’idea di non sprecare il nostro patrimonio abitativo già realizzato, recuperarlo e valorizzarlo. Si potrebbe dare una risposta alla fortissima domanda di case degli italiani, in testa i giovani e le famiglie, facendo leva, in modo coordinato, su almeno tre bacini di abitazioni disponibili. E finora sprecate.
In Italia c’è un patrimonio immenso di immobili pubblici abbandonati. Basti pensare che un’abitazione su dieci non è utilizzata. Dove nasce questo spreco enorme? Le pubbliche amministrazioni, innanzitutto i comuni, hanno un patrimonio immobiliare che non sono in grado neanche di censire. E lo fanno marcire, senza metterlo a disposizione dei cittadini. Stesso discorso vale per le caserme abbandonate, le ex centrali elettriche, gli ex alberghi e edifici pubblici fuori uso. O anche ospedali non più in servizio (le Asl detengono un enorme patrimonio immobiliare sprecato) e capannoni industriali di fabbriche non esistono più. Cittadinanza attiva, un’organizzazione nata già nel 1978 per promuovere e difendere i diritti dei cittadini, ha fatto una cosa molto utile in proposito, mettendo in Rete, con il progetto Disponibile! tutte le buone pratiche di cui è a conoscenza per recuperare immobili pubblici abbandonati.
Il secondo bacino dal quale attingere per un nuovo Piano Casa è quello dei borghi, piccoli, medi e grandi. Ovvero una sorta di gigantesca, diffusa e spesso molto bella e vivibile periferia rispetto alle città. Spostare una parte della popolazione dalle aree urbane alle zone dell’Italia “borghigiana” deve diventare un obiettivo strategico della politica abitativa nazionale. Non più interventi sporadici, locali, poco finanziati: ma un piano nazionale che possa accedere anche ai finanziamenti europei. Portare giovani famiglie a vivere nei borghi significa anche creare degli migliori condizioni di vita per loro, e dunque accompagnarli nella ricerca di un lavoro o di un’attività indipendente. Se vogliamo davvero ripopolare i borghi, e possiamo farlo in tutte le regioni italiane, non basta attirare qualche eccentrico straniero che ama l’Italia: dobbiamo dare una prospettiva di stabilità innanzitutto alle famiglie italiane. Che nei borghi troveranno un’alta qualità della vita a prezzi ragionevoli.Lo stesso discorso riguarda i progetti Case a 1 euro. Sul nostro sito li abbiamo sostenuti dalla nascita, e cerchiamo di seguirli mano a mano che crescono in tutta Italia. Dare una casa abbandonata a una cifra simbolica è un modo per azzerare un doppio spreco e risolvere un doppio problema. Eliminare una traccia di degrado e di abbandono in quel territorio e dare una possibilità abitativa per esempio a una giovane famiglia che intende andare a vivere in un borgo. Il meccanismo delle case a 1 euro si potrebbe applicare anche per gli immobili abbandonati che le pubbliche amministrazioni potrebbero mettere sul mercato per agevolare le famiglie più bisognose e per liberarsi dal peso di una manutenzione che non sono in grado di garantire. Una prospettiva molto allettante potrebbe anche essere quella rappresentata dal richiedere in gestione una casa cantoniera.
La terza direttrice del nuovo Piano Casa è quella della riqualificazione del gigantesco patrimonio edilizio delle periferie urbane. Il 60 per cento degli italiani vivono nelle periferie, ma ancora non abbiamo una linea nazionale per riqualificarle. Per fortuna, abbiamo rinunciato all’idea di abbattere interi quartieri, come è avvenuto in passato, per eliminare i mostri del passato. Ma bisogna fare un passo avanti e, come ha sempre chiesto Renzo Piano, investire sul rammendo delle periferie. Cambiarne il volto. Renderle più vivibili, attrezzarle con verde urbano e servizi, collegarle bene al centro delle città. E assegnare le case a chi decide di venire qui a vivere.
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