Privacy: siamo travolti dalla carte ma indifesi dagli attacchi del telemarketing

Una babele di leggi che non ci proteggono, ma ci assillano. Intanto siamo tormentati dalle offerte promozionali.

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Siamo soffocati dalla privacy. O meglio, da una montagna di leggi, decreti e testi unici che sforniamo ininterrottamente da quasi vent’anni, dal 1996 per essere precisi. Tutto, in teoria, per proteggere la nostra riservatezza, i cosiddetti dati sensibili, da un numero di cellulare a un certificato medico. In pratica, però, l’effetto di questa tipica bulimia di norme all’italiana ha gonfiato come una bolla il peso di una burocrazia della privacy che invece di rassicurarci ci angoscia. E ci complica maledettamente la vita. Ogni volta che apriamo un conto corrente, stipuliamo una polizza, allacciamo una fornitura di gas o di elettricità, siamo costretti a firmare l’autorizzazione, o il diniego, a trattare i nostri dati. Carte su carte, firme su firme, senza sapere bene neanche che cosa stiamo sottoscrivendo. L’associazione nazionale dei chirurghi ha protestato con il ministero della Sanità perché ogni medico prima del più banale degli interventi, anche di un quarto d’ora, deve compilare 39 pagine di documenti che il paziente poi firma. Gran parte sono fogli che riguardano la privacy. In Lombardia il governatore Roberto Maroni ha creato una squadra di “angeli della burocrazia”, un gruppo di giovani laureati che assistono le piccole imprese di fronte alla valanga di adempimenti. Una buona percentuale di queste carte che avvelenano la giornata di un artigiano, di un imprenditore, di un professionista, riguardano la tutela della privacy. E perfino dall’universo del volontariato è salito l’urlo contro l’eccesso di burocrazia che regola la vita di associazioni senza fini di lucro. «Non siamo i difensori civici che devono tutelare la riservatezza dei nostri iscritti, e non possiamo perdere ore ed ore a preparare carte che poi non servono a nulla» hanno protestato in coro le associazioni del volontariato.

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PRIVACY E BUROCRAZIA IN ITALIA –

A fronte  di una febbre di regole, e di potenziali divieti, ognuno di noi poi si scopre del tutto indifeso, con le mani in alto in segno di resa, quando l’attacco alla privacy è compiuto attraverso altre leggi, non scritte ma efficacissime, che hanno a che fare con la potenza del mercato. A quel punto diventiamo un numero da martellare, un consumatore da inseguire, notte e giorno, un acquirente da catturare, fino a metterlo in trappola. È l’evoluzione del marketing, e del telemarketing, che non ci concede scampo. Anche quando l’ombra di questa sorta di Grande Fratello, pronto a intercettarci, non appare. In America un’associazione di consumatori ha portato davanti ai giudici una società di informatica incaricata da una catena di grandi magazzini di inseguire i clienti durante la spesa e di studiarli, passo dopo passo. In pratica, attraverso delle telecamere nascoste venivano registrate tutte le reazioni dei potenziali acquirenti di fronte alla merce esposta negli scaffali. «Una palese violazione della privacy» ha provato a protestare l’associazione dei consumatori. Inutilmente. Perché il giudice ha riconosciuto il diritto della società di sviluppare le sue politiche di marketing, come se fossero prevalenti rispetto alla riservatezza di una povera casalinga che non sa di essere filmata mentre sceglie una scatola di pelati. In Italia l’attacco del telemarketing non ha argini che funzionano con efficacia, e basta lasciare il proprio numero di telefono, magari per acquistare un biglietto aereo o per richiedere un prodotto attraverso le rete dell’ecommerce, e il gioco è fatto. Il rischio di essere martellati con proposte promozionali di vario genere diventa altissimo. Personalmente, ho un numero di ufficio iscritto al Registro delle opposizioni: dovrei dunque essere protetto dalle incursioni dei call center. E invece ogni settimana, puntuale come la scadenza della rata di un mutuo, mi arriva la telefonata con qualche nuova offerta di linee telefoniche, pay tv, polizze, luce e gas. All’inizio protestavo, minacciavo denunce, convinto di avere un numero al riparo dagli scocciatori di professione. Poi mi sono rassegnato, ho imparato a liquidare con gentilezza l’anonimo interlocutore considerando questo un esercizio di tolleranza, e spero solo che non arrivi una nuova legge per proteggere la mia privacy.

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